Non c'è peculato punibile se l'uso del telefono di ufficio non abbia arrecato un danno apprezzabile all'amministrazione.

La Cassazione si pone nel solco di un orientamento consolidato in tema di trattamento sanzionatorio dell’ uso a fini privati del telefono d’ufficio da parte del pubblico funzionario.

Il fatto può integrare il reato di peculato; più in particolare, il reato di peculato comune, di cui all'articolo 314, comma 1, c.p., e non quello del peculato d'uso, di cui al successivo comma 2, che punisce la condotta di chi abbia fatto solo un uso momentaneo della cosa e questa, dopo l'uso, abbia immediatamente restituito.

Infatti, come è noto, il fatto lesivo si sostanzia, a ben vedere, non nell'uso improprio dell'apparecchio telefonico come "oggetto fisico" [restituibile dopo l’uso], bensì nell'appropriazione, che attraverso tale uso si consegue, delle "energie" [non più “restituibili”] formate dagli impulsi elet­tronici attraverso i quali si trasmette la voce e che sono nella disponibilità dell'amministrazione proprie­taria dell'apparecchio (cfr., tra le tante, Cassazione, Sezione VI, 15 gennaio 2003, Proc. gen. App. Campobasso in proc. Santone; Sezione VI, 22 settembre 2000, Sale).

L’aspetto interessante della decisione riguarda però i limiti di configurabilità del peculato, avendo all’importo effettivo delle telefonate abusive.

La Corte è partita dal rilievo che il peculato integra un reato plurioffensivo, in quanto configura, da un lato, un delitto di abuso della situazione giuridica di cui il soggetto è titolare e, dall’altro, un delitto contro il patrimonio pubblico di cui si vuole tutelare l’integrità economica, anche se, nel rapporto tra i due interessi tutelati quello cui si deve dare prevalenza non può che essere il patrimonio pubblico, giacchè il reato si realizza con l’appropriazione a proprio profitto e per finalità diverse da quelle di ufficio di un bene economico rientrante nella sfera pubblica.

Da ciò il giudice di legittimità ha fatto discendere la conseguenza che l’uso privato da parte del pubblico dipendente dell’apparecchio telefonico dell’ufficio non configura il reato di peculato allorquando la condotta abusiva si sia sostanziata nell’effettuazione di telefonate per un importo di tale modesta entità da non aver arrecato alcuna lesione all’integrità patrimoniale della pubblica amministrazione.

E’ conclusione più che ragionevole: infatti, l’applicazione della sanzione può essere giustificata dall’ordinamento solo quando la rigorosa afflizione stabilita dalla norma incriminatrice sia proporzionata al fatto commesso, nella prospettiva di un’effettiva esigenza di emenda dell’agente (cfr. Cassazione, Sezione VI, 9 giugno 2010, Fantino), dovendosi negare certamente la rilevanza penale dell'uso del telefono d'ufficio fatto in via episodica, per contingenti esigenze personali e con incidenza economica minima per l'ente intestatario dell'utenza (per tutte, Cassazione, Sezione VI, 7 novembre 2000, Veronesi; nonché, più di recente, Sezione VI, 29 aprile 2009, Artale; Sezione VI, 19 ottobre 2010, PG in proc. Ermini).

Qui la Cassazione ha annullato con rinvio la decisione di condanna, rilevando come non fosse stato adeguatamente approfondito proprio il profilo del danno subito dall’amministrazione per l’uso abusivo del telefono di servizio: la corte di appello non aveva affatto affrontato il tema, pur a fronte di una decisione di primo grado che già risultava avere valutato il danno come di modesta entità, senza però i doverosi approfondimenti.



(Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 10/01/2011, n. 256)


Fonte: IPSOA

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