Il termine di 60 giorni per proporre appello incidentale, fissato dalle norme sul processo tributario, è perentorio e decorre dalla notificazione dell'appello principale. Questo il canone interpretativo che si ricava dalla sentenza della Corte di cassazione n. 16285/2007, in cui è stato anche chiarito che tale regola deriva dall'applicazione di principi generali dell'ordinamento processuale. L'inammissibilità dell'impugnazione derivante dall'inosservanza dei termini stabiliti a pena di decadenza, essendo correlata alla tutela di interessi di carattere generale, è insanabile, oltre che rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Con avviso di accertamento, l'ufficio finanziario - sulla base delle risultanze di una verifica della Guardia di finanza - rettificava la dichiarazione Irpeg/Ilor presentata da una Srl per l'anno d'imposta 1994.

Avverso la rettifica, la società ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che accoglieva parzialmente il ricorso.

Contro la sentenza, la stessa Srl proponeva appello, mentre l'ufficio, a sua volta, impugnava la sentenza in via incidentale.

La Commissione tributaria regionale dichiarava inammissibile per tardività l'appello incidentale dell'ufficio e accoglieva in parte l'appello della società contribuente, riducendo ulteriormente l'accertato.

La sentenza della Ctr veniva impugnata dall'Amministrazione finanziaria davanti alla Corte di cassazione, con ricorso sorretto da due motivi, cui resisteva con il controricorso e ricorso incidentale condizionato la società.

Con il primo motivo del ricorso, l'unico di rilievo in questa sede, l'Amministrazione denunciava violazione e falsa applicazione dell'articolo 54, comma 2, del Dlgs 546/1992, in relazione all'articolo 360, primo comma, nn. 3) e 4), del Codice di procedura civile.

In particolare, l'Amministrazione finanziaria riteneva che l'inammissibilità contemplata dalla norma citata non si riferirebbe anche al mancato rispetto del termine di costituzione, stabilito dal precedente comma 1 del medesimo articolo, con rinvio all'articolo 23 dello stesso testo normativo. Il fatto che l'articolo 54, comma 1, prescriva il termine non direttamente, ma tramite un mero rinvio al termine previsto dall'articolo 23 per il procedimento di primo grado, rafforzerebbe l'interpretazione. Ciò in quanto sarebbe pacifico che il termine di costituzione in primo grado stabilito dall'articolo 23 non ha natura perentoria, non essendo prevista alcuna decadenza in caso di sua mancata osservanza.

Secondo la Suprema Corte tale ricostruzione interpretativa è errata.

Invero, osservano i giudici di legittimità, il comma 2 dell'articolo 54 del Dlgs 546/1992 prevede espressamente che l'appello incidentale può essere proposto, a pena di inammissibilità, nei modi e nei termini di cui al precedente articolo 23: ciò comporta che lo stesso debba essere depositato presso la segreteria della Commissione tributaria regionale nel termine, perentorio, di 60 giorni dal giorno in cui l'appello principale è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale.

Ne deriva quindi che, una volta che tale lasso di tempo sia inutilmente trascorso, la proposizione dell'appello incidentale non è più consentita.

La ragione di tale conseguenza, spiegano i togati della Suprema corte, risiede nella considerazione che, al di là del dato letterale della norma che prevede espressamente l'inammissibilità dell'appello incidentale in caso di tardività nella proposizione dello stesso, "l'inammissibilità discende dalle categorie proprie del giudizio di impugnazione che prevedono la perentorietà dei termini per la proposizione dei mezzi di gravame".

Il principio della perentorietà dei termini d'impugnazione, precisa la Cassazione, è condiviso dalla giurisprudenza di legittimità e deve ritenersi applicabile anche al processo tributario "sia perché consequenziale espressione delle categorie giuridiche proprie del giudizio di impugnazione, sia per il richiamo espresso operato dall'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992".

Naturalmente, conclude la sentenza in esame, l'inammissibilità dell'impugnazione derivante dall'inosservanza dei termini all'uopo stabiliti a pena di decadenza, essendo correlata alla tutela di interessi di carattere generale, è insanabile, oltre che rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

La sentenza in rassegna costituisce un importante chiarimento in ordine alla corretta individuazione del termine massimo oltre il quale non è più consentita la proposizione dell'appello incidentale.

Al riguardo, è bene ricordare, in via preliminare, che, nell'ambito del giudizio d'appello, il solo criterio per distinguere tra appello principale e appello incidentale è costituito dal momento temporale di proposizione.

Come chiarito nella circolare 98/1996, infatti, "Ciò che rileva è il solo fattore temporale e non già le denominazioni che possono aver impiegato le parti. Deve considerarsi principale l'impugnazione proposta per prima".

Nella casistica in materia di impugnazioni, di regola, la tardività - con conseguente inammissibilità - dell'impugnazione incidentale veniva ricollegata a quelle ipotesi in cui la stessa fosse stata proposta oltre il termine ordinario, di un anno dal deposito della sentenza di primo grado, quando l'impugnazione principale veniva dichiarata, per qualunque motivo, inammissibile.

La sentenza in rassegna chiarisce che nel concetto di "impugnazione incidentale tardiva" e, quindi, inammissibile, vanno ricomprese, oltre queste ipotesi, anche quelle in cui la seconda impugnazione venga proposta decorsi 60 giorni dalla notifica dell'impugnazione principale.

Fonte: Agenzia Entrate.

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