La controversia è relativa al diniego opposto dall'ufficio al rimborso Iva richiesto da una Srl.

Il ricorso della società non trovava accoglimento e anche il suo appello era rigettato dalla Commissione tributaria regionale, in considerazione che l'attività svolta dalla società non poteva configurarsi come attività imprenditoriale, non solo in quanto era priva del carattere della sistematicità e dell'abitualità, ma anche perché le operazioni attive riguardavano esclusivamente "contratti di locazione stipulati con società caratterizzate da identica base personale, visto che i relativi soci erano anche soci della società locatrice".

Le ragioni alla base del provvedimento dei giudici di legittimità meritano un preventivo, seppur breve, esame della normativa di riferimento.

L'articolo 4 del Dpr 633/1972, primo comma, prevede che: "per esercizio d'impresa s'intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli artt. 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma d'impresa, nonché l'esercizio di attività, organizzate in forma d'impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 del codice civile".

In base alla giurisprudenza costante della Corte di giustizia comunitaria (sentenze 20 giugno 1991, causa C - 60/90, 22 giugno 1993, causa C - 333/1991, 20 giugno 1996, causa C - 155/1994), per attività economica organizzata "deve intendersi un'attività che può essere esercitata da un'impresa privata in un mercato, organizzata in modo professionale e generalmente caratterizzata dall'intento di generare profitti".

L'attività economica è, dunque, individuata attraverso un doppio criterio: quello funzionale relativo all'attività e quello strutturale relativo all'organizzazione. Deve, inoltre, essere svolta per "professione abituale".

A tal proposito, in ordine al concetto di "abitualità e professionalità", la risoluzione ministeriale n. 550326 del 29/11/1988, ha precisato che la "professione abituale" ricorre ove un soggetto ponga in essere con regolarità, sistematicità e ripetitività una pluralità di atti economici coordinati e finalizzati al raggiungimento di uno scopo, con esclusione, quindi, delle ipotesi di atti economici posti in essere in via meramente occasionale; tuttavia, l'esercizio abituale di un'attività economica può derivare anche da un solo affare, purché comporti una complessa struttura organizzata, oppure una rilevante entità economica.

In buona sostanza, l'abitualità, sistematicità e continuità (dell'attività economica, pur se non svolta in via esclusiva), sono indice della professionalità necessaria per l'acquisto della qualità di imprenditore e requisiti necessari per qualificare l'esercizio delle attività commerciali o agricole.

Tanto premesso, i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso, affermando sostanzialmente che sia la riscontrata identità della compagine sociale della società locatrice e di quella locataria, sia l'esiguo numero dei contratti di locazione posti in essere (nella specie, erano stati stipulati solo due contratti) facevano presumere che si trattasse di una società di comodo.

Si ricorda brevemente, per quanto d'interesse in questa sede, che le "società di comodo" rappresentano uno dei tipici strumenti utilizzati da coloro che intendono "mettere al sicuro" i propri immobili, attribuendone la formale titolarità giuridica a società, perciò definite di "comodo", costituite a scopi "commerciali" (acquisto, vendita, gestione, costruzione e ristrutturazione di immobili), ma che poi, in concreto, non effettuano alcuna attività di natura imprenditoriale, limitandosi alla mera amministrazione dei beni sociali.

Tale fenomeno delle "società senza impresa" è, nella pratica, molto diffuso; si pensi, ad esempio, al caso di società immobiliari il cui patrimonio sia costituito da una villa utilizzata per le vacanze dagli stessi soci o dai loro familiari (magari a titolo di comodato) o, più in generale, alle ipotesi di intestazione di beni immobili di nuclei familiari a società di capitali i cui soci sono gli stessi membri della famiglia.

Per la Cassazione, dunque, l'attività svolta dalla società contribuente era da considerarsi non commerciale in quanto non svolta in modo continuativo e stabile, ma tipicamente finalizzata a consentire un mero godimento di beni e servizi da parte dei diretti e indiretti titolari.

Più specificatamente, a giudizio della Corte, la circostanza secondo cui i soci non si limitavano a partecipare allo svolgimento dell'attività sociale, ma assumevano anche il ruolo di destinatari di beni e di servizi alla cui offerta era finalizzato l'esercizio della medesima attività sociale, unitamente alla mancanza dei caratteri di sistematicità, abitualità e professionalità, faceva ritenere che l'attività di locazione in questione non potesse configurarsi come un'attività imprenditoriale.

Di conseguenza, la mancanza dei requisiti di imprenditorialità previsti dal sopra menzionato articolo 4 del Dpr 633/1972 ("secondo cui devono, invece, ritenersi rilevanti solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi eseguite nell'esercizio di attività commerciali continuative e stabili e non quelle esaurentesi in isolati atti di produzione o commercio"), comportando l'estraneità della società dal campo di applicazione dell'Iva, legittimava il diniego opposto dall'ufficio al rimborso (cfr Cassazione, sentenza 13999/2003, 10430/2001, 3406/1996).

Peraltro, l'omessa contestazione, da parte della società ricorrente, delle risultanze documentali e la mancata indicazione di decisivi elementi idonei a giustificare una diversa valutazione delle prove e dei fatti, confermava maggiormente l'ipotesi che si trattasse di una "società di comodo".

Da ultimo, i giudici hanno giustamente osservato che l'accertamento in ordine alla riconducibilità della cessione di un bene a un'attività di commercio, posta in essere nell'esercizio abituale e professionale di un'impresa, dovendo essere valutato in relazione alle concrete modalità e al contenuto oggettivo e soggettivo dell'atto, costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, quando sia stato congruamente motivato.


Fonte: Agenzia Entrate

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