Il nuovo regime fiscale per i contribuenti minimi, previsto dalla Finanziaria all'esame del Parlamento, introduce importanti e appetibili novità, ampliando e rafforzando il disegno di semplificazione avviato con le norme introdotte lo scorso anno. Sulle novità proposte si è già acceso un vivace dibattito che in alcuni casi ha cercato di sminuirne la portata, puntando a evidenziare il fatto, secondo i critici, che non vi sarebbe un significativo risparmio di imposta rispetto al precedente regime.

È chiaro, per il momento, che l'analisi di seguito proposta dell'istituto (che per i contribuenti minimi costituisce il regime naturale, salva opzione per l'applicazione di quello ordinario) è di tipo preventivo, e, come tale, può fondarsi solo su pochi elementi: la ratio legis in primis e il dato normativo su cui il nuovo regime viene a incidere. Ci pare, tuttavia, che sia l'una che l'altro possano offrire delle chiavi di lettura delle disposizioni che orientano serenamente verso un giudizio di convenienza e appetibilità del nuovo regime.

Semplificazione, riduzione degli adempimenti e riduzione dei relativi "costi". Convenienza del regime

Prima di analizzare, distinguendo i diversi settori impositivi, i vantaggi del nuovo regime, un'osservazione preliminare può essere utile a superare, in parte, alcuni pregiudizi nei confronti dell'istituto.

La stessa rubrica dell'articolo 4 ("Semplificazioni fiscali per i contribuenti minimi") ne introduce la ratio agevolativa, che consiste nell'obiettivo di ridurre, a beneficio dei contribuenti, l'entità degli adempimenti procedurali nell'ambito di un sistema, quale quello fiscale, in cui gli adempimenti di tipo "formale" sono imprescindibili al pari di quelli "sostanziali", in quanto a questi ultimi strettamente e intimamente connessi.

La semplificazione e la conseguente "selezione" degli adempimenti necessari, vista dal lato del contribuente, oltre che essere finalizzate a costruire un sistema razionale, conoscibile e facilmente attuabile, porta con sé indiscussi benefici in termini economici oltre che fiscali, laddove la riduzione del numero degli adempimenti procedurali abbatte, di conseguenza, i relativi costi.

A questa logica risponde, in buona sostanza, il nuovo regime, laddove dispone l'esonero dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili previsto ai fini delle imposte dirette, o nella parte in cui, escludendo la soggettività passiva dei minimi ai fini dell'Irap, ne esclude anche i relativi adempimenti.

In questo senso ancora più significativo è l'esonero dagli adempimenti formali ai fini Iva; in questo settore, infatti, vengono meno tutti gli obblighi di versamento, gli obblighi di dichiarazione e comunicazione, nonché quelli di tenuta e conservazione dei registri, fatti salvi l'obbligo di numerare e conservare le fatture di acquisto e le bollette doganali, l'obbligo di certificazione dei corrispettivi, nonché gli obblighi connessi ai casi in cui, come si vedrà anche in seguito, permane la soggettività Iva dei minimi (operazioni intracomunitarie e operazioni soggette al regime della cd inversione contabile).

Contribuenti minimi e franchigia ai fini dell'imposta sul valore aggiunto

Venendo ora all'esame dei diversi settori impositivi, il nuovo regime dei contribuenti minimi si pone quale naturale prosecuzione del regime di franchigia, di cui all'articolo 32-bis (di cui, peraltro, è prevista l'abrogazione).

La norma prevede espressamente che "i contribuenti minimi non addebitano l'imposta sul valore aggiunto a titolo di rivalsa e non hanno diritto alla detrazione dell'imposta sul valore aggiunto assolta, dovuta o addebitata sugli acquisti anche intracomunitari e sulle importazioni".

Con ciò la norma non ha inteso privare i minimi della soggettività passiva Iva (che resta, infatti, come dice lo stesso articolo per le operazioni intracomunitarie o per le altre operazioni per le quali gli stessi risultano debitori d'imposta), ma intende escludere solo l'applicazione dell'ordinario meccanismo della rivalsa e della detrazione, tipico delle operazioni imponibili.

Abbiamo già visto come la riduzione degli adempimenti procedurali nel settore si traduce in un beneficio indiretto sul contribuente, orientando, quindi, positivamente il giudizio sulla convenienza del regime. Né in senso inverso valgono le considerazioni riferite alla detrazione, ove si sostiene che per effetto del suo mancato esercizio l'imposta finisce per incidere economicamente sull'operatore(1); ciò in quanto, il mancato addebito dell'imposta al cliente può portare a decisioni autonome in ordine alla fissazione del prezzo finale del bene o della prestazione, soprattutto per i contribuenti che operano direttamente nei confronti dei consumatori finali. Il prezzo del bene al consumo, in sintesi, può restare invariato rispetto al passato, con conseguente trasformazione dell'Iva in quota del prezzo finale(2).

Contribuenti minimi e imposte sui redditi

Se alla luce di quanto detto nel paragrafo precedente, sono poche le novità della Finanziaria rispetto alle previsioni dell'articolo 32-bis del Dpr 633/1972, è negli altri settori impositivi che il regime dei minimi introduce importanti novità.

Sul fronte delle imposte sui redditi e delle addizioni regionali e comunali, l'applicazione del regime comporta l'applicazione di un'imposta sostitutiva del 20 per cento sul reddito stesso, calcolato come differenza tra ricavi o compensi percepiti nel periodo d'imposta e spese sostenute nel medesimo esercizio, comprese le plusvalenze e le minusvalenze dei beni relativi all'impresa, all'arte o alla professione.

In primo luogo, il reddito si determina applicando principio di cassa, il che costituisce un'importante novità con riferimento ai redditi d'impresa; ciò comporta, tra l'altro, un'immediata e integrale rilevanza dei costi, anche quelli inerenti i beni strumentali, circostanza che soprattutto in fase di avvio dell'attività produttiva può rappresentare un incentivo notevole per gli operatori economici.

La novità più rilevante, come anticipato, resta tuttavia legata all'Iva che, divenuta indetraibile (oltre che non più addebitabile a titolo di rivalsa ai propri clienti), proprio per questo si trasforma in un costo deducibile ai fini delle imposte sui redditi (ex articolo 99 del Tuir), consentendo, in tal modo, di recuperare su un piano più generale l'effetto disincentivante che si produce sul piano più particolare dell'imposizione indiretta nell'eventualità- poco probabile- che si riducano i prezzi alla vendita.

Sempre in tema di imposte sui redditi, norme di tipo agevolativo sono dettate dal comma 11 dell'articolo 4 in commento, che, ai fini della determinazione del reddito dell'ultimo esercizio ante ingresso nel regime, introduce una sorta di "franchigia" entro il cui ammontare restano assorbiti i componenti "residui" di reddito riferiti a esercizi precedenti l'ingresso nel regime, la cui tassazione o deduzione è stata rinviata in conformità alle disposizioni del Tuir.

La previsione è retta da una logica incentivante la permanenza nel regime; in particolare, essa prevede espressamente che "i componenti positivi e negativi di reddito riferiti ad esercizi precedenti a quello da cui ha effetto il presente regime, la cui tassazione o deduzione è stata rinviata in conformità alle disposizioni del citato testo unico delle imposte sui redditi che consentono o dispongono il rinvio, partecipano per le quote residue alla formazione del reddito dell'esercizio precedente a quello di efficacia del predetto regime solo per l'importo della somma algebrica delle predette quote eccedente l'ammontare di 5.000 euro. In caso di importo non eccedente il predetto ammontare di 5.000 euro, le quote si considerano azzerate e non partecipano alla formazione del reddito del suddetto esercizio. In caso di importo negativo della somma algebrica lo stesso concorre integralmente alla formazione del predetto reddito".

Come risulta anche dall'esemplificazione numerica recata nella relazione ministeriale di accompagnamento al Ddl, la determinazione della franchigia di 5mila euro vale ad "assorbire" parte delle (eventuali) quote residue risultanti dalla somme algebrica di componenti positivi e negativi, la cui tassazione o deduzione è stata rinviata conformemente alle previsioni di legge; in altre parole partecipano alla formazione del reddito ante ingresso nel regime le somme eccedenti l'ammontare della franchigia (ove la somma algebrica dei componenti sia di segno positivo), mentre la partecipazione alla formazione del reddito è integrale se la somma algebrica è di segno negativo.

Resta invariata rispetto alle regole generali la disciplina delle perdite fiscali, generatesi sia nei periodi d'imposta anteriori al regime, sia quelle formatesi nel corso del predetto regime.

Contribuenti minimi ed esclusione dalla soggettività passiva Irap

Si è già detto, parlando della semplificazione e della ratio agevolativa sotto il profilo degli obblighi formali, come nel campo dell'Irap l'applicazione del regime in commento comporti un azzeramento totale dei costi connessi al tributo.

Ciò è legato, sotto il profilo sostanziale, all'esclusione della soggettività passiva Irap dei contribuenti minimi, pensata in funzione delle caratteristiche che li contraddistinguono al fine dell'ingresso e della permanenza nel regime in commento (soprattutto avendo riguardo all'ammontare ridotto dei ricavi o compensi, all'assenza di personale dipendente o collaboratori ed all'assenza o esiguità dei beni strumentali acquistati nel triennio precedente).

I riflessi del regime sull'accertamento: l'esclusione dagli studi di settore e i poteri dell'Amministrazione

Un'ultima notazione riguarda l'esclusione espressa dei minimi dall'applicazione degli studi di settore che comporta un innegabile vantaggio, sotto il profilo della riduzione dei costi, anche di tipo collaborativo, e degli adempimenti connessi all'applicazione degli studi di settore.

L'esclusione, in particolare, ha destato qualche perplessità in ordine alla compatibilità del nuovo regime con gli obiettivi di lotta all'evasione e potenziamento dell'attività accertatrice dell'Amministrazione che connotano gli ultimi provvedimenti normativi in materia.

È stato evidenziato in vari articoli di stampa che la riduzione degli adempimenti contabili e di alcuni obblighi dichiarativi e comunicativi (quale, ad esempio, la trasmissione degli elenchi clienti e fornitori) e l'esclusione dal campo applicativo degli studi di settore costituiscono fattori che incidono negativamente sul potere di controllo dell'Amministrazione, generando così un alto rischio di abuso del regime in esame.

L'affermazione è vera solo in parte, perché l'applicazione del nuovo regime non indebolisce il controllo, ma lo orienta e lo fonda su basi diverse; non v'è dubbio, infatti, che l'Amministrazione disponga di altri strumenti che consentono un controllo sulla sussistenza dei requisiti per l'accesso e per la permanenza nel regime nonché sulla corretta applicazione del regime impositivo in esame. Anzi, proprio ai fini della repressione di possibili abusi del contribuente, sono state previste sanzioni per i casi di infedele dichiarazione dei dati attestanti i requisiti e le condizioni richieste dalla legge.

Il controllo, infatti, e la correlata attività sanzionatoria restano sempre possibili e, anzi, doverose, soprattutto in considerazione dell'appetibilità del regime. Nella sua ordinaria attività di selezione e controllo, l'Amministrazione, in particolare, potrà controllare la sussistenza delle condizioni necessarie per l'applicazione del regime. A tal fine, elementi utili possono derivare, solo a titolo d'esempio, dalle fatture d'acquisto (di cui resta obbligatoria la numerazione e la conservazione), dalla certificazione dei corrispettivi, dai documenti emessi e ricevuti di cui è obbligatoria la conservazione ai fini delle imposte sui redditi o, ancora, da quanto emerge dall'incrocio dei dati, come quelli desumibili dagli elenchi clienti e fornitori inviati dai fornitori stessi dei contribuenti minimi.

NOTE:

1) Se questo effetto è indiscutibile, il suo peso va calibrato alla luce della diversa incidenza che l'Iva non più detraibile acquista sul piano delle imposte sui redditi, ove diventa un costo deducibile (si veda anche il paragrafo dedicato alle imposte sui redditi).

2) Sotto un profilo strettamente fiscale, ove il prezzo del bene, come è verosimile, resta invariato, l'imposta si trasforma in ricavo tassabile e concorre alla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi; nell'ipotesi in cui il prezzo globale della vendita si riduce, si riduce anche la base imponibile, rispetto a quella del regime ordinario, perché su di essa cresce l'incidenza dell'Iva indetraibile quale costo deducibile.


Fonte: Agenzia Entrate

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