​Un contribuente svedese era stato chiamato a comparire dinanzi al Tribunale del proprio Paese per rispondere dell’imputazione di frode fiscale aggravata. In particolare, era accusato di aver fornito informazioni inesatte nelle dichiarazioni fiscali relative gli anni 2004 e 2005, con conseguente rischio per l’erario di perdere consistenti entrate collegate alla riscossione dell’imposta sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto.
In precedenza, l’Amministrazione tributaria svedese aveva inflitto al contribuente sanzioni fiscali per i medesimi esercizi 2004 e 2005, sulla base della stessa comunicazione di dati inesatti assunta a fondamento dell’accusa formulata dal pubblico ministero nel procedimento penale principale.
Per tale motivo, dinanzi al giudice a quo era sorta la questione se il procedimento penale nei confronti dell’imputato dovesse essere considerato inammissibile. Il contribuente, infatti, era già stato condannato per la stessa fattispecie nell’ambito di un altro procedimento, circostanza questa che avrebbe comportato la violazione del divieto del ne bis in idem sancito dall’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU e dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La decisione del giudice di rinvio
Dunque, sospeso il procedimento penale, il tribunale aveva chiesto, in via pregiudiziale, alla Corte  di giustizia dell’Unione europea se fosse ammessa l’imputazione per reati fiscali, nell’ambito di applicazione del principio del ne bis in idem di cui all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU e all’articolo 50 della Carta, qualora all’imputato fosse già stata inflitta una pena pecuniaria (sovrattassa) nell’ambito di un precedente procedimento amministrativo, a seguito della stessa comunicazione di dati inesatti.
Si rammenta che l’articolo 50 della Carta così recita “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.

La competenza della Corte
Da segnalare che i governi svedese, ceco e danese, l’Irlanda ed il governo olandese, la Commissione europea, hanno contestato la ricevibilità della questione pregiudiziale, riconoscendo la competenza della Corte solo nel caso in cui le sovrattasse inflitte al contribuente, nonché il procedimento penale nei suoi confronti fossero derivati direttamente dall’attuazione del diritto dell’Unione europea.
Al riguardo, la Corte ha evidenziato che:
•    le sovrattasse, inflitte nel caso di specie al contribuente, e il procedimento penale in cui è imputato, sono in parte collegati a violazioni dei suoi obblighi dichiarativi in materia di Iva;
•    le norme comunitarie impongono ad ogni Stato membro di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’imposta sul valore aggiunto sia interamente riscossa nel suo territorio e di lottare contro le frodi e le attività lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive;
•    le risorse proprie dell’Unione comprendono, in particolare, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili Iva armonizzati determinati secondo regole comunitarie.

Ne deriva, per i giudici comunitari, che sovrattasse e procedimenti penali per frode fiscale, come quello in esame, costituiscono un’attuazione del diritto dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E, quando i giudici nazionali sono chiamati ad interpretare le disposizioni della Carta, essi hanno la possibilità e, se del caso, il dovere di adire la Corte in via pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 del TFUE.
Pertanto, con riferimento al caso di specie, la Corte è senz’altro competente a rispondere alla questione pregiudiziale sollevata dal tribunale svedese e a fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice del rinvio, della conformità della normativa nazionale con il principio del ne bis in idem sancito dal più volte citato articolo 50 della Carta.

La pronuncia
Per quanto concerne l’applicazione del principio del ne bis in idem, sancito dall’articolo 50 della Carta, a procedimenti penali per frode fiscale come quello in questione, la Corte di giustizia ha precisato che essa presuppone che i provvedimenti già adottati nei confronti dell’imputato, ai sensi di una decisione divenuta definitiva, siano di natura penale.
Per i giudici comunitari, l’articolo 50 della Carta non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di Iva, una combinazione di sovrattasse e sanzioni penali. Infatti, per assicurare la riscossione di tutte le entrate provenienti dall’Iva e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili (cfr. in tal senso sentenze del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia, 68/88; del 7 dicembre 2000, de Andrade, C-213/99 e del 16 ottobre 2003, Hannl-Hofstetter, C-91/02). Esse possono, quindi, essere inflitte sotto forma di sanzioni amministrative, penali o di una combinazione delle due. Soltanto qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi dell’articolo 50 della Carta, e sia divenuta definitiva, tale disposizione osta a che procedimenti penali per gli stessi fatti siano avviati nei confronti di una stessa persona.
Inoltre, la Corte ha ricordato che, ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri (cfr. sentenza del 5 giugno 2012, Bonda, C-489/10):
a)    la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale;
b)    la natura dell’illecito;
c)    la natura nonché il grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere.

Le conclusioni della Corte
Spetta al giudice del rinvio, secondo gli eurogiudici, valutare, alla luce di tali criteri, se occorra procedere a un esame del cumulo di sanzioni tributarie e penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standard nazionali, circostanza che potrebbe eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario a detti standard, a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive (cfr., per tutte, sentenza del 10 luglio 1990, Hansen, C-326/88).
A conclusione del proprio iter argomentativo, la Corte di giustizia ha stabilito che il principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta non osta a che uno Stato membro, imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di Iva, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale, circostanza che deve essere verificata dal giudice nazionale.


Fonte: Agenzia Entrate

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