Non c’è abuso di diritto nello stipulare all’estero un contratto di finanziamento bancario a medio e lungo termine, con effetti giuridici principalmente in Italia.
Così risponde l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 20/E del 27 marzo, a un interpello sulla corretta applicazione dell’imposta sostitutiva sui contratti relativi a finanziamenti formalmente sottoscritti all’estero, ma di fatto formati nel territorio italiano.
Allo stesso tempo, però, aggiunge che, ai fini fiscali, è importante stabilire con certezza dove l’accordo è stato effettivamente raggiunto, se al di qua o al di là delle Alpi.


Non basta una firma oltre confine per l’abuso di diritto
Nel caso proposto le due parti sono entrambe residenti in Italia, i prestiti sono utilizzati nel territorio dello Stato, ma i contratti, almeno formalmente, sono formati per atto pubblico firmato all’estero, anche se sottoposti alla giurisdizione interna.
Si tratta, in linea di massima, di finanziamenti per l’erogazione dei quali gli atti con i termini dell’accordo sono predisposti nel nostro Paese e, solo successivamente, trasmessi all’estero per la stampa e la sottoscrizione.
L’operazione, chiede l’interpellante, può configurare un abuso di diritto, visto che la sottoscrizione fuori d’Italia può apparire finalizzata ad ottenere un indebito vantaggio fiscale?

La risposta dell’Amministrazione prende le mosse dalla giurisprudenza, che individua l’abuso di diritto nell’utilizzazione distorta di mezzi giuridici leciti, non supportata da ragioni economicamente apprezzabili diverse dall’aspettativa di un risparmio fiscale.
E il luogo di sottoscrizione del contratto, si legge nella risoluzione, “non sembra rientrare nella definizione di abuso del diritto finora elaborata dalla giurisprudenza, per la configurazione della quale appare necessario un quid pluris idoneo a realizzare finalizzato all’ottenimento di un risparmio fiscale ”.

Ma l’estero deve essere veramente fuori confine
È questo che spiega poi l’Agenzia delle Entrate.
Se, infatti, scontano l’imposta sostitutiva gli “atti indicati nella tariffa se formati per iscritto nel territorio dello Stato” (sono gli stessi criteri stabiliti per quelli da registrare secondo l’articolo 2 del Tur), è pure vero che, per l’articolo 1326 del codice civile, un contratto è considerato concluso nel momento in cui l’accordo è stato raggiunto e le parti ne sono a conoscenza.
Inoltre, specifica la risoluzione, per il finanziamento bancario a medio e lungo termine, affinché l’atto possa essere considerato “formato”, non è richiesta la scrittura pubblica o privata autenticata, ma è sufficiente una scrittura privata semplice.
Di conseguenza, tornando all’ipotesi dell’interpello, se l’accordo e gli elementi che lo costituiscono sono stati definiti in Italia, poco conta se successivamente c’è stato un atto pubblico o privato sottoscritto all’estero: il contratto, in realtà, è “tricolore”, è quindi dovuta l’imposta sostitutiva.
Del resto, basta un term sheet o altri semplici documenti a comprovare che le condizioni e il finanziamento sono stati “sottoscritti” nel nostro Paese e che quel che è avvenuto presso la sede straniera è stata una mera formalità.

Con l’occasione l’Agenzia delle Entrate ricorda che i soggetti che svolgono questo tipo di attività, rilevante ai fini dell’imposta sostitutiva, devono comunicare le somme sulle quali va calcolato il tributo e devono farlo in due step: una dichiarazione per il primo semestre d’esercizio entro tre mesi dalla scadenza del semestre e una per il secondo semestre entro tre mesi dalla chiusura dell’esercizio (articolo 20 del Dpr n. 601/1973).
La risoluzione precisa inoltre, che per l’omessa o tardiva presentazione della dichiarazione è dovuta una sanzione che va dal 120 al 240% dell’imposta dovuta.
Invece, in caso di dichiarazione presentata, per le omissioni di cespiti o per dichiarazione infedele la sanzione sale dal 200 al 400% della differenza tra il tributo dovuto e quello già applicato.


Fonte: Agenzia Entrate

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