La decisione della Corte costituzionale, di dichiarare l'eccesso di delega nelle previsioni del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 che avevano introdotto e disciplinato l'obbligatorietà dello svolgimento del tentativo di conciliazione, riapre la discussione in ordine agli spazi che la mediazione può e deve avere nel nostro ordinamento, nelle controversie civili e commerciali che vertano su diritti disponibili. Il tema del rapporto tra autonomia negoziale e soluzione eteronoma della crisi di cooperazione acquista ancora una volta centralità, anche per la necessità che si sciolga, una volta per tutte, il nodo concernente il ruolo del mediatore nella dinamica della negoziazione volta alla risoluzione di una controversia.
Le questioni di illegittimità costituzionale
Con la sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di costituzionalità che erano state sollevate da ben otto ordinanze di rimessione in merito agli artt. 5 e 16 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, 2653, primo comma, n. 1), c.c., e 16 del D.M. 18 ottobre 2010, n. 180, come modificato dal D.M. 6 luglio 2011, n. 145, per contrasto con gli artt. 24 e 77 Cost. Le doglianze erano principalmente relative al fatto che l’introduzione di una condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materie, rilevabile anche d’ufficio, non solo non fosse in linea con le previsioni della legge delega, ma, enfatizzando «un procedimento para-volontario di componimento delle controversie», mirasse alla «de-istituzionalizzazione e de-tecnicizzazione della giustizia civile e commerciale», contemporaneamente, e in controtendenza, attribuendo all’atto che conclude la mediazione, sia pure previa omologa, l’efficacia di titolo esecutivo e di titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, sulla falsariga delle statuizioni giurisdizionali. E ciò pur se - osservavano i giudici rimettenti - nella disciplina introdotta dal legislatore delegato il profilo della competenza tecnica del mediatore «sbiadisce e anche il diritto positivo viene in evidenza solo sullo sfondo, come cornice esterna ovvero come generale limite alla convenienza delle posizioni giuridiche in esso coinvolte (divieto di omologare accordi contrari all’ordine pubblico o a norme imperative, art. 12 del d.lgs.)».
A quelle doglianze se ne aggiungevano altre, relative al contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., per avere, il legislatore delegato, condizionato al pagamento di una somma di denaro l’accesso al giudice e creato disparità di trattamento tra meno abbienti e abbienti; per avere introdotto un termine di quattro mesi in contrasto con la ragionevole durata del processo; per avere realizzato «un meccanismo di determinante influenza di situazioni preliminari sulla tutela giudiziale dei diritti, posto che l’art. 5 ha configurato, nella materie previste, l’attività degli organismi di conciliazione come imprescindibile e per ciò stesso idonea a conformare definitivamente i diritti soggettivi coinvolti», in difetto di un’adeguata definizione della figura del mediatore.
Non solo, ma, quale ricaduta della previsione dell’obbligatorietà della mediazione in materia di diritti reali, veniva censurato anche l’art. 2653 c.c., che, nel prevedere un elenco tassativo di domande soggette a trascrizione, non vi ricomprende la domanda di mediazione, con conseguente impossibilità per l’attore vittorioso di «giovarsi dell’effetto cosiddetto prenotativo della domanda di mediazione, non trascrivibile »: costringendo così «il soggetto procedente (…) a sopportare sia i costi della mediazione, sia il pagamento del contributo unificato per l’instaurazione del giudizio, senza in ogni caso potersi giovare dell’effetto deflattivo della procedura di mediazione ».
La Corte costituzionale ha ritenuto di esaminare con priorità, per ragioni di ordine logico, le questioni di legittimità sollevate, in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., nei confronti dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 28/2010, con particolare riguardo al carattere obbligatorio attribuito dalla norma al preliminare esperimento della procedura di mediazione, e ha concluso nel senso che né gli atti dell’Unione europea richiamati dalla legge delega, né la legge delega stessa, consentissero di ritenere incluso, tra i principi e i criteri direttivi contemplati all’art. 60 della L. 18 giugno 2009, n. 69, la previsione del carattere obbligatorio della mediazione finalizzata alla conciliazione. Diversamente da quanto aveva ritenuto un articolato provvedimento del 16 agosto 2011, del Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria, il quale aveva offerto una differente prospettiva della normativa comunitaria richiamata dalla legge delega, la Corte costituzionale ha giudicato che, pur nel favor dimostrato verso l’istituto della mediazione, come strumento idoneo a fornire una soluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, il diritto dell’Unione non imponga e nemmeno consigli l’adozione del modello obbligatorio, limitandosi a stabilire che resta impregiudicata la legislazione nazionale che quell’obbligatorietà eventualmente preveda.
Ciò, nonostante la Corte di giustizia, con la pronuncia del 18 marzo 2010 resa a proposito del tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni,  avesse ritenuto che la previsione di un tentativo facoltativo di conciliazione, anziché uno obbligatorio, non potesse rappresentare uno strumento altrettanto efficace per la realizzazione degli obiettivi perseguiti, trattandosi, ad avviso della Corte costituzionale, di un rilievo, quello del Giudice dell’Unione, che «non può costituire un precedente, sia perché si tratta di un obiter dictum », sia perché la sentenza in questione è intervenuta «su una procedura conciliativa concernente un tipo ben circoscritto di controversie (quelle in materia di servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori di tali servizi), là dove la mediazione di cui si discute riguarda un numero rilevante di vertenze, che rende non compatibili le due procedure anche per le differenze strutturali che le caratterizzano».


Fonte: IPSOA

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