È legittima la sanzione emessa dall’ufficio per dichiarazione di successione presentata oltre i termini, se il ritardo non è imputabile alla specifica circostanza che i beni sono entrati a far parte dell’asse successivamente al decesso.
Con la sentenza n. 409 del 10 gennaio, la Cassazione chiarisce il concetto di “sopravvenienza ereditaria”.

Cosa stabilisce la norma
L’articolo 31, comma 1, del Dlgs n. 346/1990 (“Testo unico imposta di successione e donazione”), prevede che la dichiarazione di successione debba essere presentata entro dodici mesi dalla data di apertura della successione stessa. Il successivo comma 2 prevede, poi, delle eccezioni alla decorrenza prevista nel comma 1, elencando una serie di situazioni che spostano il dies a quo di decorrenza del termine per la presentazione della dichiarazione in un momento diverso rispetto alla data di apertura della successione. In particolare, la lettera f) del comma 2 prevede che il termine per la presentazione decorra dalla data delle sopravvenienze contemplate all’articolo 28, comma 7, del Tus.

Il caso giudiziario
La controversia in esame nasce a seguito del ricorso interposto dal contribuente contro l’avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni emesso dal competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate per la dichiarazione di successione integrativa presentata (in ritardo) dal contribuente in riferimento al decesso di suo fratello.
Col citato ricorso il contribuente contestava la sanzione relativa alla presentazione tardiva della dichiarazione (causato da un ritardo nella comunicazione dei saldi da parte della banca).
L’ufficio resisteva affermando la correttezza della sanzione irrogata poiché il ritardo era imputabile unicamente alla mancata dichiarazione di titoli aggiuntivi e non invece a una sopravvenienza di nuove entità patrimoniali venute a conoscenza tardivamente.

A seguito della soccombenza nei due gradi di giudizio di merito, il contribuente ricorreva contro la sentenza della Ctr sostenendo di:
aver presentato la denuncia di successione integrativa nel termine previsto dall’articolo 31, comma 2, lettera f), del Tus, termine decorrente dalla data della comunicazione bancaria
aver assolto all’onere della prova di non trovarsi nella situazione di errore colpevole nella compilazione della denuncia di successione con la produzione della lettera della banca con la quale venivano tardivamente comunicati i saldi dei rapporti in essere dal de cuius al momento della morte, in ragione anche del disposto dall’articolo 6, comma 1, Dlgs 472/1997, in tema di cause di non punibilità.

La decisione della Corte
La Cassazione, nel respingere il ricorso per infondatezza dello stesso, ha motivato la propria decisione fornendo innanzitutto la corretta interpretazione da dare all’espressione “sopravvenienze ereditarie” (articolo 28, comma 7, del Tus), in base al rimando operato dal citato articolo 31, comma 2, lettera f), al fine di determinare il dies a quo di decorrenza del termine annuale (all’epoca dei fatti, semestrale) per la presentazione della dichiarazione di successione.
Secondo la Cassazione, il senso dell’espressione legislativa “sopravvenienza ereditaria” dev’essere individuata nella funzione, integrativa del contenuto della dichiarazione (ex articolo 29 del Tus), svolta dalla stessa.

La norma impone ai soggetti obbligati alla presentazione della denuncia di dichiarare non solo la presenza di beni e diritti compresi nell’attivo ereditario al momento dell’apertura della successione, ma anche le eventuali attività che dovessero sopravvenire in seguito a tale momento.
Per sopravvenienze ereditarie dovranno quindi intendersi quei beni e diritti che entrano a far parte giuridicamente nel patrimonio del defunto solo in un momento successivo e che si ritengono a questo riferibili, in forza di un idoneo titolo, nonostante sopravvengano al momento dell’apertura della successione.
Per la configurazione di dette sopravvenienze, invece, non rilevano eventuali situazioni soggettive di conoscenza o meno in ordine a beni e diritti che, al momento della morte, fanno già parte dell’asse ereditario.

In base a tale argomentazione, i giudici di legittimità hanno escluso che la dichiarazione integrativa presentata potesse essere considerata tempestiva, poiché le attività dichiarate, a seguito della comunicazione da parte della banca, erano già esistenti al momento dell’apertura della successione nell’asse del de cuius e, pertanto, non costituivano sopravvenienze ereditarie.

In ultimo, per rigettare la invocata causa di non punibilità invocata dal ricorrente ex articolo 6 del Dlgs 472//1997, il quale prevede che “se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da colpa”, la Corte ha fatto riferimento alla propria consolidata giurisprudenza sul tema. In particolare, ha ribadito che “l'errore sulla liceità della relativa condotta (…) indicato come "buona fede", può rilevare, in termini di esclusione della responsabilità amministrativa (…) soltanto quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all'autore dell'infrazione, idoneo a ingenerare in lui la convinzione riferita liceità, senza che il medesimo autore sia stato negligente o imprudente ovvero che quest'ultimo abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero gli possa essere mosso”.

Secondo la Cassazione, quindi, tale principio non risulta affatto applicabile al caso in trattazione, dal quale, invece, emerge l’assoluta insussistenza di “buona fede” da parte del ricorrente, nei termini appena enunciati, non avendo lo stesso neppure dimostrato di aver fatto tutto il possibile per cercare di avere le informazioni.


Fonte: Agenzia Entrate

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