Secondo la Corte di cassazione, il liquidatore della Srl che non versa le imposte risponde del reato di dichiarazione fraudolenta, quale reato proprio. Ciò anche se ha incaricato un commercialista delle incombenze fiscali.
È quanto emerge dall’ordinanza 175 del 7 gennaio.

Il fatto
La vicenda oggetto della sentenza è quella di un liquidatore di una Srl, che veniva condannato alla reclusione quale responsabile del reato di cui all’articolo 10-bis del Dlgs n. 74/2000, per non avere versato entro il termine previsto per la dichiarazione annuale dei sostituti di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore a 50mila euro.

La condanna veniva confermata dalla Corte d'appello, nei cui confronti l’imputato ricorre per cassazione, lamentando:
che la sentenza impugnata sarebbe viziata nella forma in quanto emessa a carico dell’imputato a titolo personale, invece che nella qualifica dallo stesso rivestita di “liquidatore” della società
che a carico del ricorrente non sussisterebbe alcuna responsabilità per il reato ascritto, per avere incaricato un professionista esterno alle incombenze fiscali.

Omesso versamento di ritenute certificate
Il reato di cui all’articolo 10-bis del Dlgs 74/2000 ha ad oggetto le ritenute complessivamente operate nell’anno d’imposta, cui si riferisce la soglia di punibilità fissata dalla norma, e prevede quale termine per l’adempimento quello stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale dei sostitute d’imposta (31 luglio dell’anno successivo), con la conseguenza che, maturando tale scadenza, si verifica l’evento dannoso per l’Erario previsto dalla fattispecie penale (Cassazione 25875/2010).
Dunque, la condotta omissiva propria si protrae fino alla scadenza del citato termine, che coincide con la data di commissione del reato, mentre a nulla rileva il già verificatosi inadempimento agli effetti fiscali (punito con sanzione amministrativa prevista dagli articoli 13 e 14 del Dlgs 471/1997).

Sono tenuti a presentare la dichiarazione con il modello 770 i soggetti che nell’anno precedente hanno corrisposto somme o valori soggetti a ritenuta alla fonte su redditi di capitale, compensi per avviamento commerciale, contributi a enti pubblici e privati, riscatti da contratti di assicurazione sulla vita, premi, vincite e altri proventi finanziari, compresi quelli derivanti da partecipazioni a organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero, utili e altre somme equiparate, derivanti da partecipazioni in società di capitali, titoli atipici, indennità di esproprio e redditi diversi (articoli 23 e seguenti, Dpr 600/1973).

La decisione
Nel decidere la vertenza, la terza sezione penale ha dichiarato inammissibile il ricorso, stabilendo che è soggetto alla condanna per dichiarazione fraudolenta il liquidatore di società che omette il versamento delle imposte derivanti dalla liquidazione.
Infatti, la tesi della difesa dell’imputato, che aveva sostenuto di aver incaricato un professionista esterno per le incombenze fiscali, non ha smontato l’impianto accusatorio, che è rimasto integro anche al vaglio del terzo giudizio.
Ciò perché, si legge in un passaggio della motivazione della sentenza, il reato di cui all’articolo 10-bis del Dlgs 74/2000, quale reato “proprio”, richiede che il liquidatore, in quanto sostituto d’imposta, effettui le ritenute e riversi all’Amministrazione finanziaria gli importi.

In tema di reati fallimentari, è stato, infatti, stabilito che i consulenti, commercialisti o esercenti la professione legale, concorrono nei fatti di bancarotta quando, consapevoli dei propositi distrattivi dell’imprenditore o degli amministratori della società, forniscano consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assistano nella conclusione dei relativi negozi ovvero ancora svolgano attività dirette a garantire l’impunità o a favorire o rafforzare, con il proprio ausilio o con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui proposito criminoso (Cassazione 569/2003, 10742/2008 e 39988/2012).

Pertanto, la tesi di un’inconsapevolezza del proprio comportamento distrattivo quale mero liquidatore della società, è contraddetta dalla compiuta e logica motivazione espressa sul punto dalla Corte territoriale con particolare riferimento proprio a una carica, quella di liquidatore, che non può essere rivestita da un quivis de populo, del tutto digiuno delle necessarie competenze per portare a compimento l’opera di estinzione della società, trattandosi invece di soggetto deputato a compiere le operazioni e quindi a risponderne in caso di inadempimento (Cassazione 12083/1992).


Fonte: Agenzia Entrate

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