L'atto di citazione che introduca, davanti al giudice ordinario, una causa civile strumentale nei confronti di un pubblico ufficiale e per ragioni della sua attivita' d'ufficio, anche se finalizzato a condizionarne il successivo comportamento, non costituisce condotta riconducibile ai concetti di minaccia o violenza e non integra, quindi, il reato di cui all'articolo 336 c.p.
L'atto di citazione che introduca, davanti al giudice ordinario, una causa civile strumentale nei confronti di un pubblico ufficiale e per ragioni della sua attività d'ufficio, anche se finalizzato a condizionarne il successivo comportamento, non costituisce condotta riconducibile ai concetti di minaccia o violenza e non integra, quindi, il reato di cui all’articolo 336 c.p..

La Cassazione, con principio innovativo, ha affermato che l’effettivo esercizio di un’azione civile, mediante la notificazione di un atto di citazione (o il deposito di un ricorso, secondo il rito), anche se motivato da ragioni strumentali, quali l’introduzione, davanti al giudice ordinario, di una causa civile strumentale nei confronti di un pubblico ufficiale e per ragioni della sua attività d’ufficio, in modo da condizionarne il futuro comportamento, non è idoneo a costituire condotta riconducibile ai concetti normativi penali di minaccia o violenza rilevanti per poter ravvisare il reato di cui all’articolo 336 c.p.

Ed alla stessa conclusione, per il giudice di legittimità, deve pervenirsi in caso di presentazione di una denuncia penale con analoga finalità strumentale.

Infatti, si è argomentato, nell’uno come nell’altro caso, è il sistema giudiziario “strumentalmente” attivato che prevede in sé rimedi specifici proprio nei confronti dell’azione “temeraria”, sia nel settore civile che in quello penale: rimedi che sono attivabili d’ufficio dal magistrato, oltre a poter essere sollecitati dal convenuto/denunciato (in particolare, a seconda dei casi, la responsabilità per calunnia ovvero la responsabilità ai sensi dell’articolo 96 del codice di procedura civile, ora anche con specifico riferimento all’ultimo comma di tale norma come novellato dalla legge n. 69 del 2009, laddove si prevede, nel caso di condanna alle spese della parte soccombente, la possibilità della condanna, anche d’ufficio, al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata; oltre, ovviamente, alle ulteriori iniziative risarcitorie possibili attivabili dalla parte danneggiata dall’azione giudiziaria temeraria).

Da queste premesse la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza che aveva, invece, ravvisato il reato di cui all’articolo 336 c.p. a carico di un imputato cui era stato addebitato di avere presentato un atto di citazione dinanzi al tribunale civile nei confronti di un consulente tecnico del pubblico ministero, sull’assunto che si trattasse di una iniziativa strumentale diretta a porre il consulente in una situazione di apparente incompatibilità, a condizionarne la testimonianza nonché ad indurlo a rinunciare ad altri incarichi.

(Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 11/02/2011, n. 5300)


Fonte: IPSOA

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