La prescrizione del diritto di ripetere gli interessi indebitamente versati alla banca non può decorrere dal giorno dell'annotazione in conto
Tizio conveniva in giudizio la Banca Alfa chiedendo che fosse rideterminato il saldo del conto corrente acceso presso l’Istituto di credito dall’aprile del 1994 al dicembre del 1998. In particolare, chiedeva che i conteggi fossero riformulati tenendo conto dell’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale sulla nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di massimo scoperto, affinché la banca fosse condannata alla restituzione dell’indebito versato.

La Banca convenuta, per parte sua, contestava le richieste avversarie e, per l’effetto, chiedeva il rigetto della domanda.

Il giudice adito ha ritenuto sussistere i presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, della Legge n. 10 del 2011, di conversione del Decreto Milleproroghe (D.L. 29 dicembre 2010 n. 225).

Il testo così recita: “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa.

In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”.

In particolare, il medesimo giudice ha evidenziato più motivi in forza dei quali ritenere fondata la questione di legittimità costituzionale. In primo luogo, il giudice ha sottolineato come la norma in commento violerebbe i limiti individuati dalla Corte costituzionale in ordine all’ammissibilità di una legge di interpretazione.

Invero, l’art. 2, comma 61, della L. 10/2011, ha individuato il dies a quo dal quale deve decorrere il termine di prescrizione del diritto di ripetizione dell’indebito nell’annotazione in conto corrente, circostanza di fatto che esula dalla sfera conoscitiva del cliente, il quale è reso edotto delle movimentazioni del proprio conto solo con la ricezione dell’estratto conto.

Pertanto, ha precisato il giudice, «chi non ha avuto conoscenza (né avrebbe potuto conoscere) dell’esistenza di addebiti in proprio sfavore, perché semplicemente annotati in conto e non anche comunicati, non è nelle condizioni giuridiche di esercitare qualunque pretesa restitutoria o di altra natura».

Una tale soluzione, evidentemente, urta con quanto previsto dall’art. 2935 c.c. il quale va interpretato anche alla luce delle norme specificamente dettate per il diritto di cui si tratta.

Così, ad esempio, nel contratto di apertura di credito, la decorrenza della prescrizione si sarebbe dovuta individuare

- a) nel versamento (nell’ipotesi di conto in passivo, senza affidamento, così come di superamento del limite affidato);

- b) nella chiusura del rapporto (quando non siano effettuati versamenti, in pendenza di rapporto, o quando il versamento, effettuato in pendenza di rapporto, abbia funzione meramente ripristinatoria dell’affidamento).

Perciò, all’atto di emanazione del Decreto Milleproroghe e della sua conversione in legge, tra le possibili opzioni ermeneutiche dell’art. 2935 c.c. e della disciplina della materia, non vi era, né avrebbe potuto esserci anche quella fatta propria dalla disposizione censurata.

Ulteriore motivo di dubbia legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 61, della Legge n. 10 del 2011 è stato individuato nella sua violazione del principio di azione ex art. 24 Cost., in quanto, impedendo la ripetizione dei versamenti indebitamente eseguiti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge, ha, di fatto, introdotto in via legislativa, il divieto di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte dal cliente alla banca.

La norma de qua è stata poi censurata per violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza in quanto avrebbe introdotto, tra l’altro, un’inammissibile disparità di trattamento tra banche e utenti del sistema bancario. Invero, menomando i poteri di reazione processuale dei clienti, assicura un ingiustificato privilegio per le banche.

A tingere di dubbia costituzionalità la norma in esame sarebbe anche la sua violazione dell’art. 111 Cost. sul c.d. giusto processo, andando, considerata la sua portata retroattiva, a paralizzare i processi già pendenti alla data di entrata in vigore della norma stessa, ed aventi ad oggetto proprio la ripetizione degli interessi passivi trimestralmente capitalizzati.

In ultimo, il giudice ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità della norma in esame, anche alla luce dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU.

Invero, il legislatore nazionale ha emanato una norma interpretativa, in presenza di un notevole contenzioso e di un orientamento della Corte di cassazione, sfavorevole alle banche, così violando il principio di «parità delle armi», non essendo prefigurabili «ragioni imperative d’interesse generale» che permettano di escludere la violazione del divieto d'ingerenza in forza del quale, appunto, sarebbe vietato al legislatore di uno Stato contraente di interferire nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie.


Fonte: IPSOA

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