La mera presentazione dell'istanza di condono non autorizza la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento delle opere oggetto della richiesta di sanatoria, le quali, fino al momento dell'eventuale accoglimento della domanda di condono, devono ritenersi comunque abusive
Laddove poi si tratti di opere eseguite in area vincolata – come nella specie - occorre che venga acquisito il parere delle autorità competenti ed è inapplicabile il meccanismo del silenzio assenso, alla luce delle disposizioni di cui alla legge summenzionata. Pertanto l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.

Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l'immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell'art. 35, l. n. 47 del 1985.

Detta norma consente — in presenza dei richiesti presupposti, fra i quali che si tratti di opere di cui all'art. 31, non comprese tra quelle indicate nell'art. 33 — queste non suscettibili di sanatoria in quanto incidenti su aree gravate da vincoli di inedificabilità assoluta — il completamento sotto la propria responsabilità» di quanto già realizzato e fatto oggetto di domanda di condono edilizio «solo al decorso del termine dilatorio di trenta giorni dalla notifica al Comune del proprio intendimento, con allegazione di perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi.

Pertanto alcun rilievo hanno i riferimenti di parte ricorrente circa l’impossibilità per l’Amministrazione di demolire opere oggetto di condono, da intendersi esitato con silenzio assenso con il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione dell’istanza (primo motivo), ovvero comunque in pendenza della definizione del procedimento di condono (secondo motivo), essendo stata la rimessione in pristino disposta con l’ordinanza gravata con il ricorso principale adottata in relazione alle opere successivamente realizzate dalla ricorrente e non rientranti nel progetto di condono.

In ogni caso, a prescindere da tali assorbenti rilievi, il primo motivo di ricorso è infondato anche laddove postula che la domanda di condono doveva intendersi definita positivamente per silenzio assenso.

Infatti in tema di condono edilizio, il silenzio-assenso previsto dall'art. 35, l. n. 47 del 1985 non si forma per il solo fatto dell'inutile decorso del termine indicato da tale norma (ventiquattro mesi dalla presentazione dell'istanza) e del pagamento dell'oblazione, senza alcuna risposta del Comune, ma occorre altresì la prova della ricorrenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi stabiliti dagli art. 31 e ss. della stessa legge cui è subordinata l'ammissibilità del condono.

Parte ricorrente non ha al riguardo dato prova della ricorrenza di tutti i requisiti per la condonabilità delle opere oggetto dell’istanza di condono, né della completezza della documentazione, per cui alcuna prova vi è che l’istanza in oggetto si sia definita per silenzio assenso.

Il termine biennale per la formazione del silenzio assenso su domanda di condono edilizio, previsto dall'art. 35, l. 28 febbraio 1985 n. 47, non decorre qualora la domanda sia carente dei documenti necessari ad identificare compiutamente le opere oggetto della richiesta sanatoria e dunque quando manchi la prova concreta della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti, con la conseguenza che il termine di ventiquattro mesi, fissato dall'amministrazione comunale per determinarsi sull'istanza stessa decorre, in caso di incompletezza della domanda o della documentazione inoltrata a suo corredo, soltanto dal momento in cui dette carenze sono state eliminate.

Inoltre la zona in cui sono stati realizzati gli interventi de quibus è sottoposta a vincolo, ex L.R. n. 35/87, come si evince dal gravato provvedimento, per cui il silenzio assenso dell'amministrazione comunale si poteva formare, ferma restando la necessità della ricorrenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per la condonabilità delle opere, in relazione al disposto dell'art. 32 della stessa L. n. 47/1985, con il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla conclusione in senso favorevole per l’istante del procedimento relativo al rilascio del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso, laddove si afferma il difetto di motivazione e di istruttoria del gravato provvedimento, per non avere l’Amministrazione considerato la sanabilità delle opere di cui è causa e in considerazione della scarsa incidenza delle opere medesime sull’assetto urbanistico.

Ed invero presupposto per l’adozione dell’ordine di demolizione di opere abusive è soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del prescritto titolo abilitativo, con la conseguenza che, essendo tale ordine un atto dovuto, esso è sufficientemente motivato con l’accertamento dell’abuso, e non necessita di una particolare motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso stesso, - che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato - ed alla possibilità di adottare provvedimenti alternativi.

Pertanto alcuna valutazione sulla sanabilità delle opere de quibus doveva essere effettuata dall’Amministrazione in quanto le opere medesime non hanno formato oggetto di alcuna istanza di sanatoria; pertanto l’ingiunzione di demolizione si giustifica con il mero richiamo alla realizzazione delle stesse in assenza del prescritto permesso di costruire.

Inoltre le opere de quibus, come detto, costituiscono opere di completamento di un fabbricato da ritenersi abusivo fino al momento della definizione del procedimento di condono, per cui ripetono le caratteristiche di abusività dell’immobile principale al quale accedono, secondo la richiamata giurisprudenza.

Infine tali opere necessitavano comunque di permesso di costruire, a prescindere dalla circostanza che trattasi di opere di completamento di un fabbricato rispetto al quale non era stato ancora concesso il condono, in quanto trattasi per lo più di opere esterne – opere murarie e di tettoie di rilevanti dimensioni – incidenti sui prospetti, realizzate tra l’altro in zona sottoposta a vincolo ex L.R. n. 35/87.

Gli interventi consistenti nell’installazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito), possono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell’immobile cui accedono.

Invece tali strutture non possono ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando abbiano dimensioni, come nell’ipotesi di specie, tali da arrecare una visibile alterazione del prospetto dell’edificio

Del pari necessitava di permesso di costruire, ex art. 10 D.P.R. 380/01, la realizzazione del bagno nel locale sottoscale, in considerazione dell’aumento di superficie connesso alla trasformazione della superificie non residenziale del locale sottoscala nel quale lo stesso è stato realizzato a superficie residenziale, con conseguente aumento superificie.

(Sentenza TAR NAPOLI 08/04/2011, n. 1999)


Fonte: IPSOA

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