I caratteri di organicità e unicità dell'insieme dei beni che costituiscono un'azienda non cessano di esistere all'atto di apertura di una procedura concorsuale nei confronti del contribuente, né l'inattività giustifica il venir meno dell'elemento dell'organizzazione. Così ha deciso la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16818 del 20 giugno scorso, rigettando definitivamente il ricorso di una società di capitali contro un avviso di rettifica relativo al 1992 emesso dall'ufficio Iva di Trieste. Secondo i giudici, ai fini fiscali, per la qualificazione di un atto come "cessione d'azienda", rileva unicamente la causa reale del negozio e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti. Nel senso che essi abbiano voluto non già il trasferimento di uno o più beni considerati nella loro individualità giuridica ma di un insieme organicamente finalizzato ex ante all'esercizio dell'attività d'impresa.

La vicenda, dunque, inizia negli anni novanta, quando, mediante scrittura privata, una Srl acquistava dai liquidatori di una società cooperativa a responsabilità limitata, in stato di liquidazione coatta amministrativa (autorizzati a ciò dalla regione Friuli, quale amministrazione vigilante), "macchinari ed impianti specifici e generici, attrezzature, il manufatto metallico amovibile pertinente all'edificio molino, mobili e arredi che si trovano allo stato…la licenza di macinazione…rilasciata dalla camera di commercio…,vidimata fino al 1990…per il prezzo convenuto di L. 1.000.000.000 e alla espressa "condizione sospensiva della voltura della licenza di macinazione dalla SCRL".

La vendita veniva assoggettata a Iva, di cui l'acquirente aveva domandato il rimborso nella dichiarazione annuale 1992. L'ufficio finanziario procedeva successivamente a effettuarne la rettifica, disconoscendo il rimborso Iva, in quanto riteneva che la vendita non aveva a oggetto singoli beni, bensì un organico compendio aziendale e pertanto andava assoggettata all'imposta proporzionale di registro ed esclusa dall'Iva (ai sensi dell'articolo 2, comma 3, Dpr 633/1972).

La società proponeva ricorso contro l'avviso e la Commissione tributaria di primo grado di Trieste lo accoglieva, assumendo non essere dato "rinvenire" dall'esame del contratto "un solo elemento che possa far ritenere una sua simulazione, essendo inequivocabile che l'oggetto del contratto era limitato esclusivamente all'acquisto…di beni strumentali e della licenza".

La Ctr del Friuli aveva confermato, nel 2001, la pronuncia di primo grado e disatteso l'appello dell'ufficio - fondato sulla organicità dei beni ceduti (intero complesso aziendale) - sottolineando che "con l'avvio della procedura concorsuale tale organicità viene meno, essendo la procedura finalizzata a soddisfare i creditori sulla base delle risultanze dello stato passivo, mediante la liquidazione,al presumibile valore di realizzo, dei beni facenti capo alla massa attiva della procedura".

L'Amministrazione finanziaria, nel ricorso di legittimità, aveva ritenuto "pacifico" che a essere stato ceduto era l'intero complesso delle attrezzature (impianti generici e specifici, macchinari, arredi, capannone eccetera) costituenti, in altri termini l'apparato produttivo; che era stata ceduta la licenza di esercizio della macinazione; che, infine, il contratto era stato sottoposto alla condizione sospensiva che la camera di commercio volturasse la licenza della società acquirente, autorizzando, cioè, il subentro di questa nel rapporto autorizzatorio.

Di segno completamente opposto ai giudici di merito è stato, invece, il parere della Cassazione che ha accolto in via definitiva la tesi del Fisco. Questo perché - ha spiegato la Suprema corte - la procedura concorsuale (quindi, anche la liquidazione coatta amministrativa cui era sottoposta la venditrice) non determina affatto, né ipso iure né in via di mero fatto, il sicuro e certo dissolvimento dell'azienda gestita dall'imprenditore assoggettata alla stessa.

Dai giudici di legittimità arriva, dunque, una ulteriore conferma del pensiero della stessa Cassazione (cfr sentenze n. 7731/2004, n. 4010/1998 e n. 9174/1997) secondo cui "non si è mai dubitato che, anche quando l'amministrazione della procedura concorsuale non opti per l'esercizio provvisorio dell'impresa, può ben permanere il bene giuridico azienda, inteso come il complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell'esercizio di un'impresa, poiché la mera cessazione dell'attività per un periodo più o meno lungo, non implica di per sé il venire meno dell'organizzazione aziendale".

Dunque, è erroneo ritenere, come ha fatto la Ctr, che già con il solo "avvio" di una procedura concorsuale viene meno l'"organicità" dell'azienda, perché non è sempre e necessariamente vero, come affermato dai giudici friulani, che il fine di "soddisfare i creditori", perseguito dalla "procedura concorsuale", sia raggiunto e/o raggiungibile unicamente con il disgregamento (mediante alienazione atomistica dei componenti) dell'azienda dell'imprenditore sottoposto alla procedura stessa.

Infine - ha ribadito e ricordato altresì la sentenza - ai fini fiscali, per la qualificazione di un atto come "cessione di azienda", rileva unicamente la causa reale del negozio e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti (nel senso che essi abbiano voluto non già il trasferimento di uno o più beni considerati nella loro individualità giuridica ma di un insieme organicamente finalizzato ex ante all'esercizio dell'attività di impresa - Cassazione, sentenze n. 13580/2007 e n. 1913/2007). Neppure conta la circostanza che il cedente sia munito di autorizzazione all'esercizio, ovvero che al momento della cessione l'azienda sia o meno in concreto esercizio: per configurare una cessione di azienda, infatti, non si richiede che l'esercizio dell'impresa sia attuale, bastando la sola preordinazione dei beni strumentali, tra loro interdipendenti, ad integrare la potenzialità produttiva dell'azienda.


Fonte: Agenzia Entrate

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