L’espressione exit taxation viene utilizzata per indicare le varie forme di imposizione, il cui presupposto è rappresentato dal trasferimento all’estero della residenza fiscale e, quindi, dal venir meno, in capo al contribuente, del criterio di collegamento su cui, in genere, si fonda la potestà impositiva dello Stato d’origine (cosiddetto Stato outbound).
La previsione di una exit tax ha come scopo quello di evitare che i redditi maturati prima del trasferimento della residenza all’estero, quando ancora sussisteva la piena potestà impositiva dello Stato di origine, sfuggano completamente a imposizione nel medesimo Stato, con conseguente perdita di gettito.
In genere, il meccanismo di tassazione previsto si fonda su una “finzione di realizzo” in virtù della quale i plusvalori latenti maturati nello Stato d’origine vengono ivi attratti a tassazione. In tal modo, a essere assoggettato a imposizione fiscale nello Stato outbound è un reddito non effettivo (plusvalori maturati, ma non ancora realizzati).

Limitando il campo di indagine all’Unione europea, si evince che meccanismi di exit taxation sono previsti dalla maggior parte degli ordinamenti degli Stati membri, con soluzioni piuttosto eterogenee le une dalle altre. Una tale eterogeneità di soluzioni è stata certamente favorita dall’esclusione dell’imposizione diretta dal novero delle materie oggetto di armonizzazione comunitaria. Ciò ha consentito, ai singoli Stati, una ampia libertà di manovra, da cui è scaturito un quadro normativo composito e variegato. Tuttavia, l’iniziale varietà delle discipline previste dagli ordinamenti interni si è andata progressivamente attenuando per effetto degli interventi della Corte di giustizia europea, le cui pronunce, infatti, hanno profondamente inciso sulle diverse normative nazionali in termini di adeguamento ai principi del diritto comunitario.

Exit tax e diritto comunitario: la giurisprudenza della Corte di giustizia europea
La materia della exit taxation è stata oggetto di numerose pronunce della Corte di giustizia europea, nella misura in cui le diverse discipline nazionali sono state interessate da eccezioni di compatibilità con il diritto comunitario, sotto il profilo del rispetto delle libertà previste dal Trattato (in particolare, libertà di stabilimento e libertà di circolazione delle persone e dei capitali).
Nel corso del tempo, la Corte di giustizia ha avuto modo di sindacare le diverse normative interne, realizzando un processo di “armonizzazione negativa”, attuato mediante la censura di quei profili ritenuti insanabilmente in contrasto con i principi comunitari. In tal modo, la Corte ha delineato un possibile modello comunitario di exit tax, a cui i legislatori nazionali sono chiamati a ispirarsi.

Tra le prime pronunce con cui la Corte ha dato il via al ricordato processo di armonizzazione negativa, si segnalano, tra le altre, le sentenze 11 marzo 2004, causa C-9/02, Hughes de Lasteyrie du Saillant e 7 settembre 2006, causa C-470/04, N., entrambe relative al trasferimento di residenza di una persona fisica. Con tali pronunce è stato per la prima volta affermato il fondamentale principio secondo cui la tassazione dei plusvalori maturati, ma non ancora realizzati, al momento del trasferimento della residenza fiscale viola la libertà di stabilimento. Il momento impositivo, pertanto, non può coincidere con quello della mera perdita della residenza, essendo necessario il successivo effettivo realizzo dei plusvalori latenti.

Questo principio è stato ribadito e precisato nella sentenza 29 novembre 2011, causa C-371/10, National Grid Indus, con cui la Corte è stata chiamata a giudicare la compatibilità con la libertà di stabilimento della disciplina dell’exit tax prevista dall’ordinamento olandese. La pronuncia rappresenta il leading case in materia di exit tax relativa al trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte delle società (nel caso di specie, una società olandese aveva trasferito la propria residenza fiscale nel Regno Unito).
La sentenza National Grid Indus ha rivestito una particolare importanza sia perché ha fatto seguito a una serie di procedure di infrazione, avviate dalla Commissione europea nei confronti di diversi regimi di exit tax previsti da alcuni Stati membri (tra cui l’Italia), sia perché, per la prima volta, la Corte ha delineato, in maniera netta, i principi cui gli Stati membri devono attenersi nel disciplinare la exit tax relativa al trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte delle società.

Il giudice comunitario ha, innanzitutto, affermato che ciascuno Stato membro, in applicazione del principio di territorialità fiscale, può legittimamente assoggettare a imposizione, in caso di trasferimento all’estero della residenza fiscale da parte di una società, le plusvalenze latenti venute a maturazione nel periodo in cui la società stessa risiedeva nel territorio nazionale. Ciò per salvaguardare e garantire la potestà impositiva di ciascuno Stato membro, in ordine ad attività prodotte sul proprio territorio.
Pertanto, la restrizione della libertà di stabilimento, che i meccanismi di exit taxation inevitabilmente comportano, è giustificata dalla necessità di mantenere un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri.

Tuttavia, la Corte ha precisato che è certamente lesiva della libertà di stabilimento la previsione della riscossione immediata dell’exit tax; della riscossione, cioè, prevista nel momento stesso del trasferimento della residenza.
La tassazione immediata delle plusvalenze latenti, ma non ancora realizzate, è una misura sproporzionata, di per sé idonea a ostacolare l’effettivo esercizio della libertà di stabilimento. Ai fini della compatibilità con il diritto comunitario dell’exit tax, quindi, il momento della riscossione deve essere differito al momento dell’effettivo realizzo della plusvalenza.

In altri termini, è legittimo che lo Stato outbound trattenga a sé il potere impositivo sui plusvalori maturati nel periodo in cui la società era residente sul proprio territorio, ma la materiale riscossione del quantum debeatur deve essere realizzata nel successivo momento in cui il contribuente effettivamente realizzi il valore della plusvalenza, sebbene in quel momento la potestà impositiva sul contribuente spetti allo Stato inbound (Stato di destinazione).
Inoltre, viene precisato che lo Stato di uscita, nel quantificare in via definitiva l’imposta dovuta, deve tener conto solo delle plusvalenze originatesi sul suo territorio fino al momento del trasferimento della residenza, non considerando eventuali plusvalenze (e minusvalenze) generatesi successivamente.

In conclusione, quindi, la Corte ha statuito che non osta alla libertà di stabilimento e rispetta il principio di proporzionalità una disciplina nazionale che, nel prevedere un meccanismo di exit taxation, riconosca alla società trasferita la possibilità di optare tra la riscossione immediata e la riscossione differita (tax defferal) al momento del realizzo dei plusvalori latenti. Inoltre, a tutela della riscossione differita, al contribuente lo Stato di uscita potrebbe legittimamente richiedere il rilascio di un’apposita garanzia.

La Corte di giustizia, con successive sentenze (tra le altre, sentenza 6 settembre 2012, C-38/10 e 31 gennaio 2013, C-301/11), ha avuto modo di ribadire ulteriormente i principi sopra descritti, confermando che:
in via di principio, la exit tax, assoggettando a tassazione plusvalori maturati ma non ancora realizzati, implica una restrizione alla libertà di stabilimento
una tale restrizione, tuttavia, trova giustificazione nella necessità di garantire e salvaguardare la corretta ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri
i plusvalori da sottoporre a tassazione nello Stato di origine devono essere determinati nel momento del trasferimento della residenza
la riscossione immediata dell’imposta (cioè prima dell’effettivo realizzo) è misura non proporzionata
al contribuente va garantita la possibilità di optare per il pagamento differito dell’imposta (cosiddetta tax defferal).


Fonte: Agenzia Entrate

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