Il titolare dell’impresa familiare è tenuto al versamento dell’Irap in quanto detta imposta colpisce il valore della produzione netta dell’impresa e la collaborazione dei partecipanti all’impresa familiare integra quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare. Sono esenti, invece, dal versamento del tributo i familiari suoi collaboratori.
È sicuramente questo il principio più importante affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 10777 dell’8 maggio 2013.


La vicenda giudiziaria
La Commissione tributaria provinciale aveva respinto il ricorso di un contribuente, compartecipe nella misura del 51% di un’impresa familiare costituita con il coniuge, contro il silenzio-rifiuto opposto dall’ufficio finanziario sull’istanza di rimborso (per la parte eccedente la quota di partecipazione) dell’Irap versata negli anni 1998, 1999, 2000 e 2001. In particolare, i giudici di primo grado avevano ritenuto fondata l’eccezione di decadenza dell’azione, per decorso del termine di cui all’articolo 38 del Dpr 602/1973 (48 mesi dalla data del versamento), relativamente ai versamenti effettuati negli anni 1998 e 1999, e corretta la determinazione dell’ufficio, quanto al rimborso dei versamenti effettuati negli anni 2000 e 2001, rientrando l’impresa familiare tra i soggetti passivi dell’Irap ed essendo costituita la base imponibile dal valore della produzione netta dell’impresa.

La Commissione tributaria regionale aveva poi confermato la pronuncia dei giudici di primo grado, ritenendo:
da un lato, applicabile all’Irap la disposizione di cui all’articolo 38 del Dpr 602/1973, trattandosi di norma contenuta in un testo normativo concernente la riscossione in generale di tutte le imposte dirette e mancando, nella disciplina dell’Irap previsioni specifiche riguardanti la riscossione
dall’altro lato, assoggettabile a tassazione il valore della produzione netta di tutte le entità, incluse le imprese familiari, esercitanti un’attività autonomamente organizzata volta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.
Il contribuente si era dunque rivolto alla Corte di cassazione, lamentando, in primo luogo, la violazione dell’articolo 38 del Dpr 602/1973, non essendo il termine di decadenza, previsto da tale norma per le sole imposte sui redditi, applicabile anche alle istanze di rimborso dell’Irap versata in eccesso, e, in secondo luogo, dell’articolo 3 del Dlgs 446/1997, non rientrando l’impresa familiare tra i soggetti passivi dell’Irap.

Il termine di decadenza per l’istanza di rimborso
Con la sentenza 10777 dell’8 maggio 2013, la Corte di cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso in quanto, come già chiarito in tema di Irap (cfr sentenza 23882/2010), l’istanza di rimborso dell’imposta, ritenuta illegittimamente versata, va presentata dal contribuente entro il termine di decadenza previsto dall’articolo 38 del Dpr 602/1973.
Infatti, l’articolo 25 del Dlgs 446/1997 stabilisce che, fino a quando non abbiano effetto eventuali leggi regionali, per le attività di controllo e rettifica delle dichiarazioni, per l’accertamento e per la riscossione dell’imposta regionale, nonché per il relativo contenzioso, si applicano le disposizioni in materia d’imposte sui redditi.
Inoltre, l’articolo 30, nel disciplinare la riscossione dell’Irap, prevede che essa sia riscossa mediante versamento del soggetto passivo da eseguire con le modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi e che la riscossione coattiva avvenga mediante ruolo sulla base delle disposizioni che regolano la riscossione coattiva delle imposte sui redditi.

D’altronde, hanno aggiunto i giudici di piazza Cavour, “il termine di decadenza previsto dall’articolo 38 del Dpr 602/1973 ha portata generale, riferendosi a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e quindi a errori tanto connessi ai versamenti, quanto riferibili all’an o al quantum del tributo”.
Il termine ordinario di cui all’articolo 37 dello stesso decreto è invece applicabile alle sole ipotesi di ritenuta diretta, operata dalle amministrazioni dello Stato nei confronti dei propri dipendenti (cfr sentenza 24058/2011). Nel caso di specie, dunque, essendo stata presenta l’istanza di rimborso nell’aprile del 2004, era indubbio che fosse maturato il termine di decadenza in relazione ai pagamenti effettuati negli anni 1998 e 1999.

L’impresa familiare
La Corte di cassazione ha ritenuto infondato anche il secondo motivo di ricorso in quanto tutti i soggetti che producono reddito di impresa, commerciale o agricola, sono colpiti dall’imposta regionale sulle attività produttive, laddove non espressamente esentati. Sono soggetti passivi dell’Irap, quindi, anche le imprese familiari di cui all’articolo 230-bis del codice civile.

In generale, il legislatore tributario si occupa delle imprese familiari nell’articolo 5, commi 4 e 5, del Tuir. Il comma 4 prevede, in particolare, che “i redditi delle imprese familiari di cui all’articolo 230-bis del cc, limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.
Ai fini tributari, è necessaria la formalizzazione dell’impresa familiare anteriormente al periodo d’imposta, attraverso la redazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, da cui risultino nominativamente i familiari partecipanti, con l’indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l’imprenditore.
L’Irap, ha evidenziato la Corte di cassazione nella sentenza in esame, a differenza delle altre imposte dirette, concerne non il reddito o il patrimonio in sé, ma lo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi.

In questo quadro normativo, “mentre il reddito derivante dall’impresa familiare e risultante dalla dichiarazione dei redditi viene imputato, a determinate condizioni, proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione dei partecipanti (ma l’imprenditore deve essere titolare come minimo del 51%), l’imprenditore familiare, non i familiari collaboratori, è anche soggetto passivo Irap, in quanto detta imposta colpisce il valore della produzione netta dell’impresa e la collaborazione dei partecipanti all’impresa familiare integra quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare (etero-organizzazione dell’esercente l’attività)”.

Fra l’altro, concludono i giudici, l’elencazione delle figure che sono soggette al tributo, contenuta nell’articolo 3 del Dlgs 446/1997, è esemplificativa e non tassativa.


Fonte: Agenzia Entrate

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