L’Amministrazione finanziaria può sindacare la congruità dei compensi corrisposti dalle società agli amministratori, disconoscendone parzialmente la deducibilità se ritenuti sproporzionati.
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 3243 dell’11 febbraio.

Il fatto
L’ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione una parte del compenso corrisposto da una società a responsabilità limitata al proprio amministratore unico. Il costo, infatti, era stato ritenuto sproporzionato e la società, inoltre, non aveva né dedotto né fornito prova dell’esistenza di ragioni economiche giustificative.L’atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria era stato impugnato in Commissione tributaria provinciale che, con sentenza confermata dai giudici di appello, aveva disatteso le ragioni della contribuente.
La società, a questo punto, si era rivolta ai giudici di legittimità, censurando la decisione della Commissione tributaria regionale laddove aveva riconosciuto all’Amministrazione il potere di valutare la deducibilità del compenso corrisposto all’amministratore unico.

La pronuncia
La Corte di cassazione, con sentenza 3243 dell’11 febbraio, ha rigettato il ricorso, compensando tra le parti le spese del giudizio.
A tal fine, ha ribadito che rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni. Ciò, pur in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o di vizi negli atti giuridici d’impresa, con la possibilità di negare la deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, non essendo l’ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali o nei contratti (cfr Cassazione, sentenza 9497/2008).

La stessa Corte suprema ha altresì ripetutamente ritenuto che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, grava sul contribuente “l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi”. Inoltre, “poiché nei poteri dell’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi” (cfr Cassazione, sentenze 4554/2010 e 26480/2010).
Si tratta, secondo i giudici di piazza Cavour, di principi che non risultano incompatibili con il mancato riferimento, da parte dell’articolo 95 del Tuir, a tabelle o altre indicazioni vincolanti, che pongano limiti massimi di spesa, oltre i quali la deduzione è interdetta.

In più, è inopponibile all’Amministrazione finanziaria il risultato elusivo ottenuto dall’impresa nel conseguimento di vantaggi fiscali raggiunti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (cfr Cassazione, sentenze 12622/2012 e 30055/2008, quest’ultima delle sezioni unite).

Tanto premesso, la sentenza 3243/2013 ha riaffermato che la deducibilità dei compensi degli amministratori non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere sociali o in contratti (cfr Cassazione, sentenze 13478/2001 e 12813/2000), rientrando nei normali poteri dell’ufficio la verifica dell’attendibilità economica delle rappresentazioni esposte nel bilancio e nella dichiarazione.

Osservazioni
Si è molto discusso, in passato, sulla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di sindacare la congruità del compenso corrisposto agli amministratori. Al riguardo, la stessa giurisprudenza di legittimità non ha assunto una posizione unanime.
Se da un lato (Cassazione, sentenze 12813/2000 e 13478/2001) ha negato la deducibilità per mancanza di inerenza di compensi sproporzionati rispetto al volume di affari della società (considerando legittimo il sindacato dell’Amministrazione finanziaria), dall’altro ha stabilito che, in tema di determinazione del reddito d’impresa, l’Amministrazione non ha il potere di valutare la congruità dei compensi corrisposti agli amministratori, che sono pienamente deducibili (cfr Cassazione, sentenza 24957/2010). Sarebbe, auspicabile, dunque, una pronuncia della Corte suprema a sezioni unite.

Da segnalare, infine, che l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 113/E del 2012, nel ribadire la deducibilità dal reddito d’impresa degli emolumenti corrisposti agli amministratori di società, ha affermato che l’Amministrazione finanziaria ha la possibilità, in sede di controllo, di disconoscere totalmente o parzialmente la deducibilità degli stessi allorché i compensi appaiano insoliti, sproporzionati o strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi.


Fonte: Agenzia Entrate

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