E' manifestamente infondata la questione di legittimitàà costituzionale dell'art. 39 del D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, laddove vieta al rappresentante in "conflitto di interessi" di rappresentare l'ente.p>La Cassazione si pronuncia sulla disciplina della rappresentanza dell’ente nel procedimento in materia di responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231.

La norma di riferimento è quella dell’art. 39 del D.Lgs. n. 231 del 2001, dove, “a pena di inammissibilità”, sono stabilite le condizioni in forza delle quali l’ente può costituirsi nel procedimento mediante una persona fisica che lo rappresenta.

La scelta del rappresentante trova una esplicita limitazione normativa, nel senso che non può trattarsi della persona fisica che sia imputata o indagata per gli stessi fatti per i quali si procede a carico dell’ente [il cosiddetto “reato presupposto”].

In tale evenienza, la legittimazione del rappresentante legale viene meno per il realizzarsi di un conflitto di interessi (art. 39, comma 1, cit.).

Ne deriva che l’eventuale costituzione in giudizio dell’ente mediante un rappresentante in “conflitto di interessi” si riverberebbe sull’ammissibilità della costituzione, con effetti immediati sia sulla ritualità della costituzione [i requisiti formali indicati nell’art. 39 vanno rispettati, appunto, “a pena di inammissibilità”], sia sull’ammissibilità degli atti processuali compiuti dal legale rappresentante “incompatibile”. Ad esempio, come nel caso qui esaminato dalla Corte, dovrebbe essere dichiarata inammissibile la richiesta di riesame del sequestro proposta in nome e per conto dell’ente dal legale rappresentante indagato o imputato per il reato presupposto.

Proprio in relazione a tale questione, con il ricorso avverso l’ordinanza del tribunale della libertà che aveva dichiarato inammissibile l’appello presentato dal rappresentante legale “in conflitto di interessi” avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca adottato nei confronti dell’ente (ex art. 53 in relazione all’art. 19 del D.Lgs. n. 231 del 2001), la difesa aveva prospettato l’incostituzionalità della disciplina tratteggiata nell’art. 39 del D.Lgs. n. 231 del 2001, laddove pone un divieto assoluto di rappresentare l’ente per la persona fisica in conflitto di interessi perché indagata o imputata del reato presupposto da cui dipende l’illecito amministrativo.

Si deduceva, in proposito, la compromissione del diritto di difesa dell’ente (art. 24 della Costituzione) e dei principi del “giusto processo” (art. 111 della Costituzione), oltrechè la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione).

La Cassazione ha escluso qualsivoglia dubbio di costituzionalità, ritenendo la questione manifestamente infondata.

Infatti, si è argomentato, a fronte del divieto normativo, la persona giuridica ha la possibilità di optare per almeno tre distinte soluzioni, nessuna delle quali in grado di comprometterne la difesa.

L’ente, intanto, può nominare un nuovo rappresentante legale ovvero può nominarne uno con poteri limitati alla sola partecipazione al procedimento (procuratore ad litem): in entrambi i casi il soggetto collettivo può così partecipare al procedimento instaurato a suo carico previa costituzione nelle forme di cui all’art. 39 del D.Lgs. n. 231 del 2001 e può pienamente difendersi.

Ma anche qualora l’ente rimanga inerte, senza provvedere cioè ad alcun tipo di sostituzione del rappresentante legale in conflitto di interessi, il sistema consente adeguati spazi per la difesa.

Nell’udienza preliminare e nel giudizio, infatti, l’ente sarà dichiarato contumace ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. n. 231 del 2001, con conseguente nomina della disciplina codicistica in materia, compresa la nomina di un difensore di ufficio: anche in tale evenienza nessun pregiudizio può derivare per l’esercizio del diritto di difesa.

Anche nella fase delle indagini preliminari, dove non è prevista la formale dichiarazione di contumacia, la difesa dell’ente sarà garantita dalla nomina del difensore di ufficio, che il pubblico ministero è tenuto ad effettuare se deve essere compiuto un atto per il quale è prevista l’assistenza del difensore [cfr. art. 369 del C.p.p.], onde è parimenti esclusa alcuna lesione del diritto di difesa.

Anche nell’ipotesi dell’inerzia dell’ente, in definitiva, non ci sarebbero vuoti di difesa, in quanto il difensore di ufficio potrà esercitare in nome e per conto dell’ente i diritti e le facoltà che all’ente non siano personalmente riservati: potrà, ad esempio, proporre impugnazione avverso i provvedimenti cautelari reali ovvero potrà partecipare all’udienza prevista dall’art. 47, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2001 per il caso di richiesta di misura cautelare interdittiva avanzata dal pubblico ministero.

Nel caso di difesa di ufficio, ammette però la Cassazione, l’unico limite è rappresentato dall’impossibilità di esercizio da parte dell’ente degli atti di difesa “personalissimi”, che presuppongono la diretta partecipazione del soggetto collettivo attraverso il proprio rappresentante legale, giacché questi, siccome incompatibile, non potrà “spendere” la volontà dell’ente nel processo; né tali atti potrebbero essere compiuti dal difensore di ufficio, siccome privo di procura speciale (cfr. art. 39, comma 2, lett. b) del D.Lgs. n. 231 del 2001).

Il difensore di ufficio, tanto per esemplificare, non potrà avanzare la richiesta di ammissione ai riti alternativi, né potrà presentare la dichiarazione di ricusazione o di rinuncia alla prescrizione.

Questa limitazione oggettiva all’esercizio pieno delle facoltà difensive, peraltro, sfugge da qualsivoglia censura di costituzionalità.

Infatti, osserva esattamente il giudice di legittimità, trattasi di una situazione in cui la mancata possibilità di esercitare appieno le facoltà difensive dipende da una scelta volontaria dell’ente e questo, sulla base delle indicazioni convergenti della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, esclude possa configurare lesione del diritto di difesa.

In linea con le conclusioni cui qui è prevenuta la Corte, si è già espressa Cassazione Sezione VI, 5 febbraio 2008, Società A.R.I. international s.r.l., che, in una fattispecie in cui il rappresentante legale dell’ente era anch’egli indagato nell’ambito del procedimento penale per il reato presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente, ha ritenuto corretta la decisione del tribunale del riesame che aveva per l’effetto dichiarata inammissibile la richiesta di riesame del sequestro probatorio adottato nei confronti della società siccome proposta da tale soggetto, che si trovava in situazione di possibile conflitto di interesse con l’ente.

(Cassazione penale Sentenza, Sez. VI, 28/10/2009, n. 41398)


Fonte: IPSOA

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