Il brogliaccio trovato presso i clienti rende superflua l'ispezione sulle scritture contabili, in quanto l'Amministrazione fiscale può accertare induttivamente l'imposta sul valore aggiunto anche se la Guardia di finanza che ha effettuato il controllo non ha ispezionato la contabilità del fornitore (Corte di cassazione, sentenza n. 23585 del 6 novembre 2009).

 

Il fatto

Nel corso di una verifica eseguita a carico di una società era stato rinvenuto un brogliaccio dal quale risultava l'omessa contabilizzazione di corrispettivi introitati per cessione di beni da parte di una ditta individuale, concessionaria in esclusiva della vendita dei prodotti della società ispezionata.

L'ufficio finanziario, di conseguenza, notificava alla ditta individuale avviso di rettifica per il recupero degli incassi non dichiarati, dopo che le risultanze della verifica alla società erano state trasfuse in apposito processo verbale di constatazione nei confronti della prima, redatto in contraddittorio con la stessa.

 

L'avviso di rettifica veniva opposto per carenza di motivazione e manifesta infondatezza della pretesa erariale, doglianze che trovavano favorevole riscontro nella Commissione tributaria provinciale adita, la quale riteneva l'atto impugnato viziato:

a.    per insufficiente motivazione,

b.    perché non idoneo al raggiungimento dello scopo in quanto la documentazione allegata non era supportata da un riscontro analitico della contabilità del contribuente accertato, essendosi l'ufficio basato nell'emissione dell'accertamento esclusivamente sulle risultanze del verbale della Guardia di finanza.

 

La sentenza di prime cure veniva confermata in appello, nei cui confronti l'agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione sulla base di un articolato motivo, suddistinto in due censure:

1.    violazione di legge, per avere il giudice del riesame "erroneamente" interpretato l'articolo 54 del Dpr 633/1972, ritenendo che "la documentazione extracontabile rinvenuta presso terzi fosse priva di rilevanza probatoria e lesiva del diritto di difesa della contribuente"

2.    insufficiente motivazione, in quanto la Commissione regionale non avrebbe attentamente valutato la documentazione allegata al fascicolo processuale, peraltro mai contestata dal contribuente con la confutazione delle relative risultanze.

 

Prima di procedere oltre, è appena il caso di rilevare che la richiamata disposizione prevede al comma 3 che l'ufficio può procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l'esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l'inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture, nonché dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi a ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, oltreché da altri atti e documenti in suo possesso.

 

Il giudizio di legittimità

La Corte di cassazione ritiene fondati entrambi i profili del motivo di opposizione.

Relativamente al primo profilo di doglianza, il Collegio ricorda che, sul testo dell'articolo 54, comma 3, del Dpr 633/1972 applicabile ratione temporis, la giurisprudenza di legittimità si è ripetutamente pronunciata (ex plurimis, Cassazione 9100/2001, 19837/2005, 8255/2008), affermando il principio di diritto che, in tema di Iva, l'uso di elementi acquisiti nell'ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola le disposizioni che regolano l'accertamento o il principio del contraddittorio in quanto:

•l'articolo 63, comma 1, dello stesso Dpr 633/1972, prevede espressamente che, nell'ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di finanza trasmette loro tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria

• l'articolo 54, comma 2, stabilisce che gli uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di "verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti" (articolo 54, comma 4, Dpr 633/1972).

In merito al profilo della valenza probatoria della documentazione extracontabile, la giurisprudenza di legittimità:

•da un lato, ha ritenuto la piena attendibilità di un brogliaccio, comprese agende, calendari, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari, eccetera, ai fini della legittimità dell'accertamento induttivo ai fini Iva (Cassazione 5786/1992)

•dall'altro, ha affermato che il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, costituisce indizio grave, preciso e concordante dell'esistenza di imponibili non riportati sulla contabilità ufficiale, elementi che conseguentemente abilitano l'Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo (Cassazione 6949/2006).

La Corte esclude pertanto che nel caso di specie siano state violate le regole del principio del contraddittorio oppure i diritti di difesa della contribuente (articolo 24 della Costituzione), considerato che nel corpus del ricorso si era più volte fatto riferimento alla circostanza che le risultanze della verifica eseguita presso la società erano state trasfuse - e, quindi, in tal modo legittimate - nel verbale a carico della ditta individuale, anche in contraddittorio con la stessa. Tanto più che, anche in ambito processuale, l'articolo 7 del Dlgs 546/1992 consente alle Commissioni tributarie di acquisire e utilizzare elementi conoscitivi in possesso della Guardia di finanza.

 

Per tali motivi, la Suprema corte ritiene fondato anche il denunciato vizio di motivazione insufficiente, avendo il giudice di merito omesso di valorizzare come dovuto "gli elementi emergenti dal processo verbale di constatazione perchè basato su fatti risultanti da una verifica eseguita presso terzi".

 

Osservazioni

Dall'analisi della motivazione della sentenza 23585/2009 deriva che i brogliacci rinvenuti fuori dalla sede lavorativa costituiscono vere e proprie prove, che fanno assumere piena attendibilità alla documentazione extracontabile, assurgendo nel contempo a indizi dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (ex articolo 2729 c.c.) di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale. Circostanze queste che tendono escatologicamente a rendere incontestabile l'accertamento induttivo dell'imponibile che si fonda su tale tipologia di prova. Risultato significativo è, quindi, la possibilità e non l'obbligo per l'Amministrazione finanziaria di tenere conto dei documenti in discorso.

 

Nella concreta fattispecie, peraltro, gli elementi posti a base dell'accertamento sono stati ritualmente portati a conoscenza del contribuente attraverso la notifica del verbale di constatazione formato in contraddizione con lo stesso (articolo 52, comma 6, Dpr 633/1972), senza che tale circostanza sia stata da quest'ultimo confutata, fornendo la prova contraria che quanto asserito dall'Amministrazione non attestasse la realtà effettiva (articolo 2729, comma 2, c.c.).

 

Occorre poi considerare che, accogliendo il ricorso dell'ente impositore, la Corte consolida l'orientamento di legittimità secondo cui gli "appunti riportati su agende" costituiscono un adeguato mezzo di prova per sostenere la validità dell'accertamento in quanto la contabilità parallela ("in nero"), risultante da appunti personali e informali dell'imprenditore, costituisce un valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'articolo 39 del Dpr 600/1973 e dall'articolo 54, comma 2, secondo periodo, Dpr 633/1972, rispettivamente, per le imposte sui redditi e per l'Iva (sentenze 17627/2008, 1987/2006, 11459/2001).

 

Al riguardo, la Suprema corte ha ritenuto che vanno ricomprese tra le scritture contabili disciplinate dagli articoli 2709 e seguenti del codice civile tutti i documenti che registrino in termini quantitativi o monetari i singoli fatti d'impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell'imprenditore e il risultato economico dell'attività svolta. Sicché gli appunti del contribuente rinvenuti in sede di verifica possono essere ricondotti nel novero dei documenti riepilogativi e costitutivi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa, legittimandone l'utilizzo quale elemento indiziario fornito dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, per la valutazione della contabilità che contempla ogni e qualsiasi documento dal quale si rilevino i fatti di gestione (Cassazione 25610/2006).

 

Conclusioni

In chiusura, si può affermare che il ritrovamento in sede ispettiva di un "brogliaccio" (che rimanda a una contabilità parallela a quella ufficiale) legittima l'autonoma rettificabilità della dichiarazione Iva ai sensi dell'articolo 54 del Dpr 633/1972, a prescindere dalla concorrenza concomitante anche di altri elementi, ferma restando la concreta verificabilità in sede contenziosa di tali presupposti, della cui iniziativa deve farsi portatore il contribuente (secundum alligata et probata).

Con la sentenza 23585/2009, quindi, nel sottolineare "sommessamente" tali circostanze, la Suprema corte ha inteso riaffermare che, tanto in sede di accertamento induttivo fondato sul ritrovamento della contabilità in nero tanto in sede contenziosa, ricade comunque sul contribuente l'onere probatorio contrario, ossia la possibilità di fornire spiegazioni attendibili circa i dati annotati sul brogliaccio rinvenuto "anche presso terzi" (sentenza 5497/2009).

 

 

Fonte: Agenzia Entrate

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