Nel processo tributario il divieto di proporre domande nuove nel corso del giudizio di primo grado, essendo rivolto a preservare la celerità del processo, non è rimesso alla volontà delle parti processuali e, pertanto, non può essere derogato dall'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte.
Questo il principio di diritto desumibile dalla ordinanza della sezione tributaria della Corte di cassazione n. 23123 del 30 ottobre 2009.

La vicenda
La controversia trae origine dal ricorso proposto dal contribuente avverso una cartella di pagamento, successivamente annullata dai giudici di prime cure.

Avverso la sfavorevole sentenza della Commissione tributaria, l'agenzia delle Entrate proponeva appello lamentando l'inammissibilità della accolta eccezione di decadenza dal potere accertativo sollevata dal contribuente, in quanto formulata, in violazione dell'articolo 24 del Dlgs 546/1992, soltanto con memoria integrativa.

Nel prosieguo, la Ctr rigettava l'appello, asserendo che l'introduzione del motivo aggiunto sarebbe stata conforme al precetto di cui al citato articolo 24 e che l'Agenzia non poteva invocare l'inammissibilità del motivo poiché aveva controdedotto sul punto.

Contro tale ultima decisione, l'agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, assumendo la violazione e falsa applicazione della legge in merito alla circostanza secondo cui l'eccezione di decadenza, in quanto non formulata con il ricorso introduttivo, non avrebbe potuto essere esaminata dai giudici della Commissione tributaria provinciale.

La pronuncia della Cassazione
Il Supremo collegio, rilevando che l'integrazione dei motivi di ricorso (nella specie l'eccezione di decadenza dalla potestà accertativa), ai sensi dell'articolo 24, comma 2, del Dlgs 546/1992, è ammessa soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti, ha ritenuto fondato il ricorso dell'agenzia delle Entrate.

I giudici di legittimità, inoltre, hanno precisato che "...nel rito tributario il divieto di proporre domande nuove nel corso del giudizio di primo grado - di cui è espressione l'articolo 24 cit. è in funzione dell'accelerazione del procedimento e, in quanto rispondente ad esigenze di ordine pubblico, esorbita dalla tutela del privato interesse delle parti, sicché la proposizione della nuova domanda non può essere sanata dall'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte e la sua inammissibilità è rilevabile anche d'ufficio".

Osservazioni
La pronuncia in esame ribadisce la centralità del principio di immodificabilità della domanda nell'ambito del processo tributario.
Infatti, proposto il ricorso, è fatto divieto al contribuente, salvo naturalmente che si tratti di eccezioni rilevabili d'ufficio, di integrare i motivi già evidenziati nell'atto introduttivo del giudizio.

L'unica eccezione, in virtù del disposto di cui all'articolo 24 del Dlgs 546/1992, è rappresentata dalla possibilità, per il ricorrente, di integrare i motivi, originariamente dedotti, nel caso in cui tale esigenza sia sorta in relazione al deposito di documenti non conosciuti, ad opera delle altre parti processuali o per ordine della Commissione.

L'ordinanza in esame ha chiarito che il principio sopra richiamato, non può essere derogato per volontà della avversa parte processuale manifestata attraverso l'accettazione del contraddittorio, in quanto esso trova fondamento in una esigenza di ordine pubblico, rappresentata dalla "speditezza" del processo tributario.

A salvaguardia del predetto interesse pubblico, l'ordinamento ha, inoltre, previsto la sanzione dell'inammissibilità, la quale può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice, prescindendo, quindi, dalla formulazione di una specifica eccezione della parte che vuol far valere l'inammissibilità dei motivi aggiunti.


Fonte: Agenzia Entrate

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