La determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni rappresentate da titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri è regolata dagli articoli 94 e 101 del Tuir.

L’articolo 94 prevede precise regole che riguardano la valutazione di azioni, obbligazioni, altri titoli in serie o di massa che rientrano nell’attivo circolante. Al comma 4, lettera a), è sancito che, per i titoli quotati, il valore minimo fiscalmente riconosciuto è determinato "in base ai prezzi rilevati nell’ultimo giorno dell’esercizio ovvero in base alla media dei prezzi rilevati nell’ultimo mese". Tale comma introduce un criterio di determinazione del valore minimo fiscalmente riconosciuto fortemente innovativo rispetto a quello previsto dal comma 3 dell’articolo 61 del vecchio Tuir. Infatti, dal 1° gennaio 2004, il valore minimo può essere determinato anche in base al valore puntuale dei prezzi rilevati nell’ultimo giorno dell’esercizio. Il dato puntuale costituisce, senz’altro, la scelta meno influenzabile da fattori soggettivi e corrisponde a quanto previsto dai principi contabili internazionali. Pur tuttavia, la media delle quotazioni effettuate per un periodo significativo, quale l’ultimo mese, è da considerarsi meglio rappresentativa dell’andamento del mercato.

L’articolo 101, invece, si occupa della determinazione del valore di quei titoli e partecipazioni non detenuti per esigenze di tesoreria o fini speculativi, ma considerati dall’imprenditore elementi patrimoniali destinati a essere utilizzati durevolmente nell’impresa e che, per tale motivo, sono iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie. Al suo secondo comma, si afferma che, per i titoli iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie negoziati nei mercati regolamentati, "le minusvalenze sono deducibili in misura non eccedente la differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto e quello determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo semestre". In questo caso, la norma riprende in modo più puntuale il dettato contenuto nell’articolo 66 del vecchio Tuir (in vigore fino al 31 dicembre 2003), che, al comma 1-bis, indicava il criterio di valutazione dei titoli quotati iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie nello medesimo modo.

In entrambe le norme richiamate, il legislatore usa alcune espressioni sulle quali è necessario soffermarsi per una corretta applicazione delle norme stesse. Si vuole far riferimento, a tal proposito, al problema dell’individuazione dei “mercati regolamentati”, nonché alla scelta, tra i tanti esistenti, del “prezzo rilevato” sul mercato da ritenere più significativo per la valorizzazione del titolo quotato.

Mercati regolamentati
In più di un’occasione, l’Amministrazione finanziaria ha precisato cosa debba intendersi per mercato regolamentato. Con la circolare n. 165/1998, infatti, ha affermato che "in tale nozione vanno ricompresi non solo la borsa ed il mercato ristretto, ma ogni altro mercato disciplinato da disposizioni normative; più specificamente, si intende far riferimento ai mercati regolamentati di cui al D.lgs. 23 luglio 1996, n. 415" (ora trasfuso nel Dlgs n. 58/1998, “Testo unico della finanza”)", nonché a quelli di Stati appartenenti all’OCSE, istituiti, organizzati e disciplinati da disposizioni adottate o approvate dalle competenti autorità in base alle leggi in vigore nello Stato in cui detti mercati hanno sede".
Tale concetto è stato ripreso in modo sostanzialmente analogo sia nella circolare n. 173/2000 che nella circolare n. 12/2002.
Per mercato regolamentato deve intendersi, pertanto, qualsiasi mercato di strumenti finanziari che risulti assoggettato, nel proprio Paese, a specifiche regole di organizzazione, di gestione e di controllo.

Nelle circolari sopra richiamate si evidenzia una forte restrizione al riconoscimento dei mercati regolamentati. Infatti, l’Amministrazione finanziaria ha voluto limitare tale fattispecie a quei mercati che presentino almeno uno dei seguenti requisiti:

  • siano inclusi in un apposito elenco tenuto dalla Consob, ai sensi degli articoli 63 e 67 del Tuf
  • siano istituiti in un Paese appartenente all’Ocse.

L’elenco previsto dal Tuf comprende unicamente i mercati dei Paesi comunitari (articolo 63) oppure quei mercati extra-comunitari che rispondono ai requisiti delle direttive comunitarie ma che trovano iscrizione unicamente a seguito di specifici “accordi” conclusi con le autorità di vigilanza del Paese dove ha sede il mercato stesso (articolo 67). Attualmente, tali mercati extra-comunitari iscritti sono solamente sei (quattro statunitensi, uno svizzero e uno inglese). Non è tuttavia ben chiaro quali motivazioni dovrebbero spingere l’ente gestore di un determinato mercato finanziario (che risultino naturalmente conformi alle direttive comunitarie) a richiedere l’iscrizione nell’elenco tenuto dalla Consob ai sensi del Tuf. Ciò comporta, come accennato, una scarsissima presenza di mercati finanziari non comunitari e, soprattutto, l’assenza di mercati di importanza mondiale, quale il Nasdaq.

Il secondo requisito richiesto dall’Amministrazione finanziaria permette di allargare molto la gamma di mercati borsistici riconosciuti come mercati regolamentati. Infatti, è sufficiente che il mercato finanziario appartenga a uno Stato membro dell’Ocse per ottenere automaticamente il riconoscimento di mercato regolamentato (purché, ovviamente, risulti organizzato, disciplinato e vigilato da disposizioni adottate o approvate dalle competenti autorità in base alle leggi in vigore nello Stato in cui tale mercato ha sede).
Si evidenzia però che anche fuori dal contesto Ocse si riscontrano mercati finanziari che adottano norme di regolamentazione e di controllo sufficientemente adeguate a offrire la massima garanzia di vigilanza in tema di trasparenza e correttezza delle transazioni. Si pensi a mercati ormai di levatura mondiale, quali la Borsa di Hong Kong o anche quella di Singapore che, per il solo fatto di non appartenere a Stati membri dell’Ocse, si trovano a non essere considerati dal nostro ordinamento tributario come dei “mercati regolamentati”.

Prezzi rilevati
Il criterio di valutazione dei titoli quotati si basa sui "prezzi rilevati" nei suddetti mercati. Ciò fa sorgere alcuni dubbi sulla esatta determinazione del valore fiscalmente riconosciuto, in quanto sui mercati finanziari non esiste un unico prezzo per i titoli quotati, e si pone, dunque, il problema di stabilire quale, tra i molteplici prezzi elaborati dal mercato, si debba prendere come riferimento per la valutazione fiscale dei titoli quotati.
E’ plausibile considerare che debba essere utilizzato il prezzo considerato più “significativo” secondo la prassi del mercato in cui il titolo è negoziato.

Ma per i titoli azionari negoziati di continuo, qual è il prezzo ritenuto più significativo?
Ogni seduta della borsa di Milano, ad esempio, organizzata secondo il modello dell’asta continua, comincia con l’asta di apertura in cui gli operatori possono immettere nel sistema telematico le loro proposte di acquisto o di vendita con l’indicazione del “limite di prezzo” o “al prezzo di apertura”. Il prezzo ottenuto nel corso dell’asta di apertura determinerà il cosiddetto "prezzo di apertura" che viene poi controllato nella fase di “validazione”; segue la “fase di apertura” vera e propria durante la quale avvengono le “assegnazioni”. Per i principali segmenti (blue chip, Star, Sbo), comincia quindi la fase di “negoziazione continua”, nella quale le contrattazioni danno luogo a una serie di prezzi dei singoli titoli che sono il frutto dei flussi di domanda e di offerta che si incrociano nel corso della seduta, fino ad arrivare all’asta di chiusura, che permette di ottenere il "prezzo di chiusura".

Oltre a quelli sopra indicati, vi sono altre tipologie di prezzi indicativi che di seguito vengono sinteticamente evidenziati:

  • il prezzo ufficiale definito dal prezzo giornaliero di ciascun strumento finanziario quotato nei mercati di borsa, dato dal prezzo medio ponderato dell’intera quantità dello strumento medesimo negoziata nel mercato durante la seduta, al netto della quantità scambiata mediante l’utilizzo della funzione cross-order (proposte di acquisto e di vendita per la stessa quantità di titoli immessi da un operatore di borsa che opera per conto terzi nel sistema telematico)
  • il prezzo di riferimento definito dal prezzo medio dell’ultimo 10 per cento di contrattazioni che hanno luogo durante la sessione diurna. Viene calcolato nella fase di chiusura del mercato (tra le 17.30 e le 17.50) e costituisce la base per il calcolo della variazioni percentuali, ed è in genere diverso dal prezzo ufficiale. Esclusivamente nel mercato Mta e nel mercato dei covered warrant, il prezzo di riferimento coincide con il prezzo di asta di chiusura; qualora non sia possibile determinare il prezzo dell’asta di chiusura, anche in questo caso, il prezzo di riferimento è posto pari alla media ponderata dell’ultimo 10 per cento delle quantità negoziate, al netto delle quantità scambiata mediante l’utilizzo della funzione cross-order. Inoltre, nel caso in cui non siano stati conclusi contratti nel corso della seduta, il prezzo di riferimento è pari al prezzo di riferimento del giorno precedente
  • il prezzo di controllo corrispondente al prezzo di riferimento in asta di apertura, al prezzo di apertura nella fase di negoziazione e durante l’asta di chiusura, al prezzo di riferimento della giornata nella sezione serale (possibile per alcuni segmenti) nel mercato Trading after hours. Tale prezzo si prende come base per la seduta successiva.
Dalla lettura delle definizioni sinteticamente sopra specificate, il "prezzo ufficiale" sembra poter costituire la tipologia di prezzo più indicato per calcolare le variazioni di prezzo che si hanno nel corso di una seduta borsistica e fra le varie sedute, in quanto il prezzo di riferimento, invece, è maggiormente legato alla fase finale delle contrattazioni. La lettura combinata dei due prezzi offre indicazioni sulla tendenza del corso azionario nella fase finale delle contrattazioni, e in linea generale i due prezzi sono prossimi solo se il titolo non crolla negli ultimi minuti.

Per quanto sopra, secondo parte della dottrina, si può affermare che per quanto concerne la scelta del prezzo di riferimento di una giornata di negoziazioni, per quelli negoziati di continuo alla Borsa di Milano, ad esempio, si dovrebbe avere riguardo al prezzo ufficiale, mentre per le borse estere si potrà far riferimento ai prezzi di chiusura.
Un ulteriore problema si presenta nel caso in cui uno stesso titolo viene negoziato in mercati sia italiani che esteri per stabilire quale mercato si deve assumere come riferimento ai fini di una determinazione di una eventuale svalutazione. Nel silenzio della legge e in assenza di prassi, "tenendo conto che scopo della svalutazione è quello di anticipare le perdite che deriverebbero da un realizzo di titoli, è da ritenere che la svalutazione dovrà essere computata con riferimento al mercato che quota il titolo al prezzo più alto, essendo chiaro che in caso di realizzo del titolo la vendita sarà effettuata nel mercato che consente una perdita inferiore" (da “Le imposte sui redditi nel Testo Unico” di Maurizio Leo - Giuffrè Editore – 2006).

A parere di Primo Cappellini e Roberto Lugano, invece, "per la scelta del mercato di riferimento, in caso di negoziazione del titolo in più mercati, è possibile considerare il mercato in cui il titolo è negoziato con quantitativi maggiori, oppure qualora esistano mercati in cui il titolo è negoziato per quantitativi similari, è possibile utilizzare la media dei prezzi rilevati in tali mercati" (da “Testo Unico delle imposte sui redditi” - Il Sole24Ore – 2004).

Infine, per quanto riguarda l’influenza, ai fini della valutazione dei titoli denominati in valuta estera, delle oscillazioni dei tassi di cambio, considerato che i titoli vengono iscritti secondo il cambio del giorno in cui il loro costo è stato sostenuto, l’articolo 110 del Tuir dispone che "la valutazione secondo il cambio alla data di chiusura dell'esercizio dei crediti e debiti in valuta, anche sotto forma di obbligazioni, di titoli cui si applica la disciplina delle obbligazioni ai sensi del codice civile o di altre leggi o di titoli assimilati, non assume rilevanza"; in tal modo si ritiene, salvo quanto indicato nel secondo periodo del citato comma 3, che il diverso cambio rilevato a fine esercizio rispetto a quello al quale i titoli sono stati contabilizzati non incida in alcun modo sulla loro valutazione.


Fonte: Antonio Baldazzi e Felice Vella - Agenzia Entrate.

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