Nell’ottica di una pubblica Amministrazione che ha il dovere di applicare la legge correttamente e in

modo imparziale, se si verifica che l’Amministrazione constata di aver commesso un errore, danneggiando

ingiustamente il cittadino, può annullare il proprio operato e correggere l’errore senza necessità

di una decisione del giudice.

Questo potere di autocorrezione si chiama “autotutela”, ed è importante tenere presente che l’esercizio

dell’autotutela è una facoltà discrezionale il cui mancato esercizio non può costituire oggetto di

impugnazione .

CHI È COMPETENTE AD ANNULLARE GLI ATTI ILLEGITTIMI

L’Agenzia delle Entrate, attraverso i suoi uffici, può provvedere all’autocorrezione in via del tutto autonoma,

“d’ufficio”, oppure dietro iniziativa del contribuente.

Non è necessario, quindi, che il contribuente abbia presentato una domanda di annullamento né tanto

meno che abbia presentato ricorso alla Commissione tributaria.

Competente per l’annullamento dell’atto illegittimo è lo stesso Ufficio locale che ha emanato l’atto.

Se ricorrono i requisiti per l’esercizio dell’autotutela e l’ufficio competente, a causa di “grave inerzia”,

non provvede all’annullamento dell’atto, è la Direzione regionale da cui l’Ufficio dipende che, in via

sostitutiva, può procedere all’annullamento dovuto.

Il parere preventivo della Direzione Regionale è comunque obbligatorio se l’importo dell’imposta, delle

sanzioni e degli oneri accessori supera complessivamente 516.456,90 euro.

IN QUALI CASI

I casi più frequenti di annullamento di un atto o di revoca dello stesso si hanno quando l’illegittimità

deriva da:

 errore di persona;

 evidente errore logico o di calcolo;

 errore sul presupposto dell’imposta;

 doppia imposizione;

 mancata considerazione di pagamenti regolarmente eseguiti;

 mancanza di documentazione successivamente presentata (non oltre i termini di decadenza);

 sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente

negati;

 errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione.

L’annullamento dell’atto illegittimo può essere effettuato anche se è pendente il giudizio o se l’atto è

divenuto ormai definitivo per decorso dei termini per ricorrere e anche se il contribuente ha presentato

ricorso e questo è stato respinto per motivi formali (inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità)

con sentenza passata in giudicato.

Se sulla questione si è formato un giudicato sostanziale (se, cioè, il contribuente ha impugnato l’atto

e i giudici tributari, con decisione non più revocabile, hanno dato ragione all’Amministrazione), l’annullamento

è possibile soltanto per motivi di illegittimità del tutto diversi da quelli esaminati e respinti

dai giudici.

L’annullamento dell’atto illegittimo comporta automaticamente l’annullamento degli atti ad esso consequenziali

(ad es., il ritiro di un avviso di accertamento infondato comporta l’annullamento della conseguente

iscrizione a ruolo e delle relative cartelle di pagamento) e l’obbligo di restituzione delle somme

riscosse sulla base degli atti annullati.

CHE COSA DEVE FARE IL CONTRIBUENTE

L’annullamento dell’atto, come già chiarito, può avvenire sia per iniziativa dello stesso Ufficio che lo

ha emanato, sia su domanda del contribuente.

L’istanza non è soggetta al rispetto di forme particolari: è sufficiente, ad esempio, trasmettere all’Ufficio

competente una semplice domanda in carta libera (vedi schema in appendice) contenente

un’esposizione sintetica dei fatti corredata dalla documentazione idonea a comprovare le tesi

sostenute.

In particolare deve essere specificato:

 l’atto di cui si chiede l’annullamento

 i motivi che fanno ritenere tale atto illegittimo e, di conseguenza, annullabile in tutto o in parte.

Qualsiasi atto può essere oggetto di riesame.

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