In tema di accertamento delle imposte sui redditi, gli uffici tributari sono legittimati ad avvalersi della “prova per presunzioni”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente. Questi, ove intenda contestare l’efficacia presuntiva dei fatti addotti dall’ufficio a sostegno della propria pretesa, oppure intenda sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei fatti medesimi, deve, a sua volta, dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano. Ne consegue che, legittimamente, l’ufficio può qualificare come reddito gli assegni corrisposti da un’azienda a un notaio, in assenza di plausibile prova contraria da parte del professionista.

E’ quanto affermato dalla sezione tributaria della Cassazione, con la sentenza n. 10345, depositata il 7 maggio 2007.

La concreta fattispecie, sottoposta al giudizio di legittimità, ha a oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, con il quale l’ufficio finanziario aveva rettificato il reddito di un notaio a seguito di una verifica della Guardia di finanza presso un oleificio, dove erano stati rinvenuti taluni assegni a favore del professionista, senza che quest’ultimo li avesse dichiarati al Fisco.

Nei primi due gradi di giudizio, il notaio rimaneva vittorioso. Secondo i giudici di merito, infatti, costituiva onere dell’Amministrazione provare che gli assegni in questione fossero effettivamente andati ad aumentare il reddito del notaio, il quale, comunque, aveva affermato, a suo discapito, di non avere, nel periodo in esame, redatto atti notarili per l’oleificio, circostanza desumibile, fra l’altro, dai repertori notarili.

L’Amministrazione finanziaria, ricorreva, pertanto, innanzi alla Suprema corte, la quale ha riconosciuto, invece, la legittimità della pretesa erariale.

La Cassazione, infatti, intervenendo nella controversia, ha, prima di tutto, sottolineato che le norme, di cui agli articoli 37 e seguenti del Dpr 60/1973, consentono agli uffici tributari di accertare l’esistenza di beni o di redditi, attraverso prove legali, oppure attraverso indizi e presunzioni. Allo stesso tempo, hanno osservato i giudici, il contribuente, che intende contestare le presunzioni adottate dal Fisco, deve dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano.

Nel caso di specie, quindi, è legittimo l’accertamento dell’ufficio finanziario basato sulla presunzione che gli assegni ricevuti da un notaio costituiscano “corrispettivo di prestazioni professionali”, nel caso in cui il professionista non fornisca la prova contraria. La Corte ha, quindi, segnalato che il notaio, oltre a non aver fornito la prova volta a sostenere la sua affermazione di non aver stipulato atti pubblici nei confronti dell’impresa, non è stato in grado di documentare se la dazione degli assegni avvenne comunque ad altro titolo (rimborso spese, recupero crediti, eccetera).

La decisione in esame viene a consolidare il recente orientamento della Cassazione, volto a riconoscere e confermare la validità delle presunzioni utilizzate degli uffici tributari, per supportare la propria attività di accertamento.

Sono stati, infatti, ritenuti legittimi gli accertamenti analitico-induttivi, fondati sul comportamento “antieconomico” dell’imprenditore. Secondo la Corte, infatti, è coerente e razionale la presunzione che l’imprenditore opera in conformità a uno standard di ragionevolezza, volto a massimizzare i profitti. Sicché il comportamento antieconomico del contribuente legittima l’inattendibilità della contabilità aziendale da parte del Fisco e, quindi, l’accertamento di un maggior reddito (sentenze nn. 20748/2006, 19260/2005, 739/2004, 398/2003, 10802/2002, 6337/2002, 1821/2001, 10062/2000).

Allo stesso modo, sempre la Cassazione ha ritenuto legittimo il ricorso alle presunzioni al fine di accertare il maggior reddito in capo alle persone fisiche. Si è, quindi, ritenuto che il possesso di auto storiche, da parte del contribuente, è indice di capacità contributiva, in quanto costituisce fatto certo e noto il dato che la manutenzione di tali beni comporta ingenti spese (sentenza n. 1294/2007) e che il consumo di carburante, da parte di un agente di commercio, "costituisce un dato di comune esperienza, certo e condivisibile" di rilevazione "di una proporzionale e corrispondente produzione reddituale" (sentenza n. 15124/2006).

Da ultimo, è necessario citare l’intervento della Suprema corte (sentenza n. 7957/2007), in tema di accertamenti bancari, sulla possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di presumere l’appartenenza di somme al contribuente sottoposto ad accertamento, affluite sui conti correnti bancari intestati ai propri familiari e dei quali lo stesso ha la disponibilità. A parere dei giudici di piazza Cavour, infatti, spetta al contribuente dimostrare la non connessione fra i movimenti bancari dei conti intestati ai propri familiari e il proprio reddito, confermando così la validità della presunzione di appartenenza delle somme medesime al reddito del contribuente accertato.

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