Ai sensi del comma 2 dell'articolo 26 del Dpr n. 633 del 1972, se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24 del Dpr n. 633/1972, “viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose, o in conseguenza di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto a portare in detrazione ai sensi dell'art.19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'art.25”.

Con la sentenza in epigrafe (n. 8535/2014), la Suprema corte ha offerto una analitica indicazione dei presupposti la cui esistenza dovrà essere provata dal contribuente, al fine di legittimare l'emissione della nota di variazione Iva, in caso di sopravvenute cause risolutive di contratti.
In particolare, la Corte ha evidenziato che, in detta ipotesi, per l'applicabilità dell'articolo 26 del Dpr n. 633/1972, è necessario dimostrare l'esistenza dei seguenti presupposti:
l'effettuazione e la corretta contabilizzazione di un'operazione imponibile (che sia reale ed esistente)
la realizzazione di una causa di scioglimento del contratto (non essendo, viceversa, necessario l'accertamento dell'intervenuta risoluzione del contratto)
la sussistenza di un titolo idoneo a realizzare gli effetti solutori del precedente contratto (con la precisazione che l'eventuale accordo solutorio deve manifestarsi con la stessa forma giuridica richiesta per il contratto principale)
l'identità delle parti dei due accordi negoziali
il regolare adempimento degli obblighi di registrazione dei contratti
il verificarsi della vicenda risolutiva entro un lasso temporale annuale, qualora la medesima abbia natura consensuale (su tale ultimo presupposto, si veda anche Cassazione 6 ottobre 2011, n. 20445).
In presenza di una molteplicità di ragioni che possono determinare il venir meno dell'operazione, secondo la Cassazione, ciò che rileva, per volontà legislativa, non è tanto la modalità secondo cui si manifesta la causa di variazione dell'imponibile, quanto che di detta variazione e della sua causa, si effettui la registrazione ai sensi degli articoli 23, 24 e 25 del Dpr n. 633/1972 (in senso analogo, Cassazione 17 giugno 2009, n. 14031).
Infatti, il diritto alla detrazione, conseguente all'emissione della nota di variazione Iva, spetta solo qualora sia provata l'identità tra l'oggetto della fattura e delle registrazioni ordinarie, da un lato, e, dall'altro, l'oggetto della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili e sia verificata la tempestività degli stessi (in tal senso: Cassazione 6 luglio 2001, n. 9188; 11 dicembre 2013, n. 27698).

La sentenza in epigrafe, quindi, fissa un ulteriore importante principio, riconoscendo la possibilità per il contribuente di ricorrere ad altri strumenti probatori, qualora (come nel caso di specie) la cennata corrispondenza non emerge dal contenuto della fattura e dalle registrazioni. L'utilizzo di detti strumenti probatori, tuttavia, dovrà avvenire sempre nel rispetto dei principi generali in tema di prova.

Con specifico riferimento alla fattispecie sub iudice, quindi, la Corte ha ritenuto legittimo l'operato dell'Amministrazione finanziaria che aveva negato il diritto all'esercizio della detrazione, in quanto il contratto preliminare di compravendita concluso fra le parti e sottoposto a condizione sospensiva (che non si era verificata) aveva la forma di una scrittura privata non autenticata, priva di data certa opponibile all'Amministrazione finanziaria ex articolo 2704 cc (sull'inopponibilità al fisco della data della scrittura privata non autenticata, si veda: Cassazione 11 dicembre 2006, n. 26360; 17 dicembre 2008, n. 29451).

Con riferimento alla diversa ipotesi di note di variazione Iva emesse a fronte di “abbuoni o sconti” contrattuali, si segnala che la Suprema corte ha da tempo evidenziato che, ove la legge non preveda speciali forme per la conclusione del contratto, la modifica degli accordi negoziali che comporta una riduzione del corrispettivo può essere anche il frutto di un accordo orale (volendo successivo alla conclusione del contratto), la cui esistenza può essere provata con qualunque mezzo, compresa la mera esistenza delle note di credito (Cassazione 22 giugno 2001, n. 8558), ovvero la trasfusione del patto stesso in note di accredito, emesse con l’allegazione della causale (Cassazione 12 dicembre 2011, n. 26513).

A tale ultimo proposito, la Corte ha altresì specificato che “è preciso onere della parte contribuente fornire elementi certi dai quali desumere che oggetto della pattuizione siano degli sconti e non un premio di fine anno, che non dà diritto a detrazione”. Secondo la Corte, infatti, il premio di fine anno non è un componente che incide direttamente sul prezzo della merce, ma un contributo autonomamente riconosciuto a fine esercizio al cliente, in base al raggiungimento di un determinato fatturato, quale incentivo per future operazioni (fra le altre: Cassazione 29 maggio 2013, n. 13312; 5 marzo 2007, n. 5006).


Fonte: Agenzia Entrate

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