La terza sezione penale della Corte di cassazione ha stabilito, con la sentenza 37749 del 15 settembre 2014, che l’accertamento induttivo realizzato dall’Agenzia delle Entrate può essere utilizzato dal giudice penale ai fini della condanna per il reato di dichiarazione infedele.
Il ragionamento di carattere indiziario è del tutto compatibile con i criteri che presiedono alla valutazione delle prove da parte del giudice, che può prendere in considerazione le risultanze dell’accertamento basato sulle presunzioni tributarie per determinare la somma non dichiarata.


Il fatto
La vicenda concerne la condanna in primo grado di due contribuenti, rei di avere indicato nella dichiarazione annuale dei redditi elementi attivi inferiori a quelli effettivi ed elementi passivi fittizi con superamento della soglia di punibilità, come previsto per il reato di “dichiarazione infedele” dall’articolo 4 del Dlgs 74/2000.
All’esito confermativo dell’appello seguiva ricorso per cassazione, con il quale i ricorrenti lamentano, principalmente, difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermazione della loro responsabilità, deducendo che la Corte territoriale ha recepito gli esiti dell’accertamento induttivo operato dall’ente impositore senza procedere a valutazione autonoma dei fatti, mentre le risultanze fiscali, basate su presunzioni tributarie (ossia prive di gravità, precisione e concordanza di cui all’articolo 2729 cc), possono tutt’al più rilevare come indizi da valutarsi criticamente.
In altri termini, secondo i ricorrenti, il giudice dell’appello non avrebbe proceduto ad accertare concretamente se il meccanismo negoziale utilizzato dalle due società, formalmente ricondotto a un contratto di know how, ma nella sostanza consistente in un affitto di azienda, avesse dato luogo a una effettiva evasione di imposta rilevante ai fini penali, evasione che in concreto, secondo la difesa, non sussisterebbe.

Motivi della decisione
Davanti al giudice di legittimità, tuttavia, non è passato il tentativo degli imputati di valorizzare l’affitto d’azienda “travestito” da contratto di cessione know-how. Di conseguenza, il ricorso è stato rigettato dalla Corte suprema.
In particolare, la prospettiva dei contribuenti, con la quale hanno lamentato che il giudice di merito sarebbe giunto all’individuazione degli effettivi elementi attivi nonché all’accertamento della fittizietà degli elementi passivi per il tramite di presunzioni tributarie, acriticamente recepite nel processo penale, non ha trovato riscontro nell’esame della sentenza impugnata.
Anzi, il ragionamento di carattere indiziario dal quale si è giunti all’accertamento dei ricavi, si legge nella sentenza, è “del tutto compatibile con i criteri che presiedono alla valutazione delle prove” nel procedimento penale. Ne consegue che resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche (cfr Cassazione penale, sentenza 40542/2007).

In questa materia, peraltro, la sentenza di colpevolezza, che superi ogni ragionevole dubbio, ben può essere sostenuta da un compendio probatorio di natura indiziaria, intendendosi per tale un complesso di prove esclusivamente indirette, purché queste possano essere significative al pari della prova rappresentativa, non essendo qualificativo dell’indizio né la fonte né l’oggetto della prova, ma il suo contenuto e il suo grado di persuasività (Cassazione penale, sentenza 25834/2013).

Infatti, il giudice del riesame ha provveduto a raffrontare l’importo fatturato dalla società con la mancata contabilizzazione dei ricavi, maggiorando il primo del 30% a titolo di ricarico, per individuare la somma non dichiarata (è noto, infatti, che nel bilancio societario vengono inseriti costi fittizi per “alleggerire” l’utile aziendale e occultare così i ricavi al fisco).

Peraltro, il percorso argomentativo della Corte d’appello è conforme alle acquisizioni del procedimento penale, ove si è osservato che il giudice può anche ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge sia stata tenuta irregolarmente (Cassazione, sentenza 5786/2007) e che l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può rappresentare un valido elemento di indagine per stabilire se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti, comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde (Cassazione, sentenze 1904/1999, 24811/2011, 48813/2012, 37335/2014): ciò che è puntualmente avvenuto nel caso di specie.


Fonte. Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top