Alle società e agli enti fuori dai principi contabili internazionali, che hanno rivalutato i propri beni immobili versando l’imposta sostitutiva ma hanno sbagliato le modalità di pagamento per errata interpretazione della norma istitutiva, non saranno applicate sanzioni.
Lo afferma la risoluzione n. 70/E del 23 ottobre, riconoscendo appunto la difficoltà interpretativa della disposizione.
Le problematicità ruotano, in particolare, intorno al calcolo degli interessi dovuti in caso di scelta per il versamento rateizzato delle somme e al numero di rate.

Per capire meglio l’argomento, riassumiamo brevemente la norma in questione, vale a dire l’articolo 15, commi da 16 a 23, del Dl 185/2008 (“decreto anticrisi”), che ha concesso alle società, di persone e di capitali (nello specifico, a tutti i soggetti indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del Tuir, nonché alle società in nome collettivo, in accomandita semplice ed equiparate), che non adottano i principi contabili internazionali, la possibilità di rivalutare i beni immobili risultanti dal bilancio in corso al 31 dicembre 2007, a esclusione delle aree fabbricabili e degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa, pagando un’imposta sostitutiva dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap e di eventuali addizionali.

Chi si è avvalso di questa chance ha anche potuto optare per il versamento dilazionato in un massimo di tre rate e, a tal proposito, la norma indicava, come scadenza della prima, il termine di pagamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita, per le altre due (su cui calcolare gli interessi legali in misura pari al 3% annuo), il termine previsto per il saldo delle imposte sui redditi relative ai periodi d’imposta successivi.

Ebbene, il documento di prassi fa notare che parlare di interessi legali al 3% annuo può effettivamente generare confusione, considerato che la misura del saggio degli interessi legali, per sua natura, è variabile e “mal si concilia con l’indicazione di uno specifico tasso di interesse. Pertanto, ove il legislatore avesse voluto far riferimento al saggio degli interessi legali, non ne avrebbe indicato l’esatta misura”. Il dilemma nasce, quindi, dall’uso pleonastico del termine “legali”.
Ribadito, dunque, che gli interessi andavano applicati nella misura del 3% annuo, tuttavia, nel rispetto del principio di tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente (articolo 10 della legge 212/2000 - Statuto dei diritti del contribuente), i contribuenti, che hanno frainteso la lettera della disposizione e applicato alle rate successive alla prima interessi minori, saranno esenti da sanzioni.

Allo stesso modo – e anche qui con lo “zampino” dello Statuto dei diritti del contribuente – non saranno punite le imprese che non hanno inteso la tassatività del numero delle tre rate, pensando di potersi comunque avvalere anche dell’ulteriore modalità di versamento dilazionato prevista dall’articolo 20 del Dlgs 241/1997 (“le somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte possono essere versate in rate mensili di uguale importo, con la maggiorazione degli interessi nella misura del 4 per cento annuo”). Ciò, nonostante in questo caso il Dl anticrisi 2008 parli chiaro.


Fonte: Agenzia Entrate

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