Non è applicabile il regime di favore del margine al cessionario italiano che ha acquistato da un fornitore comunitario che non aveva accesso a tale regime perché a sua volta acquirente da soggetto – società di autonoleggio – che presumibilmente ha operato a monte la detrazione dell’Iva sul bene.

Con la sentenza n. 4524 del 22 febbraio, la Cassazione, rigettando il ricorso proposto da una società e in armonia con un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, ha ribadito che, essendo quello del margine un regime Iva agevolato, è onere del contribuente che lo invoca dimostrare la sussistenza dei presupposti che giustificano la deroga al normale regime impositivo.
In particolare, nel caso di acquisto intracomunitario, spetta al rivenditore nazionale che compera i veicoli usati da fornitori comunitari l’onere di verificare preventivamente l’esattezza delle indicazioni contenute nelle fatture e l’esistenza dei presupposti di applicabilità del regime in questione, in particolare per quel che concerne il presupposto soggettivo.

La vicenda processuale
Una società di persone proponeva ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della Ctr Friuli Venezia Giulia che, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, aveva dichiarato la legittimità di alcuni avvisi di rettifica Iva con i quali era stato contestato l’indebito ricorso al regime speciale del margine per operazioni di acquisto (intracomunitario) e rivendita di veicoli usati.

La Commissione tributaria regionale osservava in particolare che l’onere probatorio in ordine all’applicabilità del regime de quo incombeva sul contribuente, aggiungendo che lo svolgimento di attività di autonoleggio da parte del fornitore del cedente comunitario, faceva presumere che lo stesso avesse operato la detrazione Iva sul bene compravenduto, impedendo in tal modo al successivo cedente di avvalersi del regime del margine: per questo motivo, la cessione avrebbe dovuto essere trattata come un’ordinaria operazione intracomunitaria per insussistenza del presupposto soggettivo di applicabilità dello speciale regime Iva. Incombeva eventualmente sull’acquirente nazionale la prova contraria.

Il ricorso per cassazione veniva affidato a ben undici motivi.
In particolare, la società contribuente, per i profili che qui interessano, ha dedotto violazione e falsa applicazione degli articoli 2729 e 2697 cc, sottolineando come il dato da cui era partito il giudice d’appello, fondato sull’idoneità dei libretti di immatricolazione a fornire la prova certa della detrazione, integrava mero elemento indiziario privo dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Con un altro motivo, la ricorrente deduceva violazione e falsa applicazione dell’articolo 10, commi 1 e 2, della legge 212/2000, evidenziando che il cessionario di vetture usate non ha alcun potere di sindacare il contenuto delle fatture predisposte dal proprio cedente, vigendo sul punto il principio di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento del contribuente, più volte sanciti dalla Corte di giustizia Ue.
Venivano dedotte poi violazione e falsa applicazione degli articoli 17 e 21 del Dpr 633/1972, in quanto, per effetto dell’emissione della fattura da parte del cedente, incombeva sullo stesso la responsabilità in ordine alla qualificazione dell’operazione, non potendo il cessionario disattendere quanto riportato in fattura.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema corte, con la sentenza in commento, ha rigettato integralmente il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In particolare, la Cassazione, richiamando precedenti arresti giurisprudenziali, ha fatto presente che:

il regime Iva del margine è speciale rispetto a quello ordinario riguardante gli acquisti intracomunitari; ne consegue che è onere del contribuente dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (Cassazione, sentenza 2227/2011)
il difetto di tale prova comporta l’applicabilità del regime ordinario
il “rischio fiscale” dell’operazione intracomunitaria, realizzata con l’applicazione del più favorevole regime del margine non può che ricadere sul cessionario italiano sul quale incombe un particolare onere di diligenza nel verificare non soltanto la regolarità formale della fattura, ma anche la sostanza dell’operazione. Tale onere è maggiormente esigibile nel caso concreto, trattandosi di un operatore commerciale del settore (diligentia viri eiusdem generis ac professionis, Cassazione, sentenza 15219/2012).

Tali conclusioni “sono del resto coerenti col principio di vicinanza al fatto oggetto di prova, venendo a trovarsi l’operatore commerciale a contatto con il documento di immatricolazione che accompagna il bene e che ne rappresenta la storia anagrafica”: in tal modo egli è posto nella condizione di verificare ex ante il rispetto delle condizioni di legge, rispetto al controllo effettuato solo ex post dall’Amministrazione finanziaria.
La Suprema corte ha quindi riconosciuto la correttezza della decisione dei giudici di secondo grado fondata sulla circostanza che il fornitore della società cedente svolgesse attività di noleggio di automezzi: in questo caso, infatti, è lecito presumere, in base a normali criteri di economicità, che l’operatore abbia detratto l’Iva sui beni utilizzati per l’esercizio dell’impresa (cfr Cassazione, sentenza 3427/2010).

Il contribuente non è comunque privato della possibilità di provare i fatti che legittimano l’applicazione del più favorevole regime del margine, allorquando le contestazioni dell’Amministrazione trovino fondamento in elementi oggettivi, che consentano di risalire, attraverso lo schema logico della presunzione, dai fatti noti al fatto ignorato, ovvero la detrazione dell’Iva da parte dell’originaria impresa cedente in considerazione dello specifico oggetto sociale e della natura strumentale dei veicoli; si viene così a determinare un’inversione dell’onus probandi a carico del cessionario che invochi l’applicazione dello speciale regime.

Per questi motivi il giudice d’appello, una volta escluso che la società contribuente avesse fornito la prova contraria, ha fondatamente riconosciuto la legittimità dell’accertamento che aveva considerato l’operazione come un acquisto intracomunitario soggetto a Iva nei modi ordinari (ossia con la doppia registrazione, ma comunque con l’esigibilità dell’imposta a carico dell’operatore nazionale), come evidenziato anche nella risoluzione 40/2003 dell’Agenzia delle Entrate.

Riguardo all’utilizzo delle presunzioni semplici, la Cassazione precisa che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di farvi ricorso attraverso apprezzamenti di fatto che, ove adeguatamente motivati, sfuggono al sindacato di legittimità. E’ infatti consolidato il principio per cui le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e infine scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, vigendo il principio del libero convincimento del giudice (cfr Cassazione, sentenze 10847/2007, 24028/2009 e 21961/2010).

In merito al richiamo, a opera della ricorrente, della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sul riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva anche nel caso di frode, la Cassazione ricorda la condizione essenziale dell’ignoranza incolpevole da parte del cessionario che non ha e non deve avere conoscenza dell’operazione fraudolenta: tale circostanza sta assurgendo a principio generale in tema di detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, valendo anche in tema di utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica (in ambito nazionale, Cassazione, sentenze 5912/2010 e n. 23132//2011; in ambito comunitario, Corte di giustizia, 6 settembre 2012 C 1324/2011 e 6 dicembre 2012 causa C-285/11).

Ulteriori osservazioni
La disciplina del regime del margine è contenuta negli articoli da 36 a 40 del Dl 41/1995, in attuazione della direttiva 94/5/Cee, e mira a evitare fenomeni di doppia imposizione in relazione a beni acquistati da privati che vengano nuovamente immessi nel circuito commerciale attraverso la cessione a un soggetto passivo che ne effettuerà la successiva rivendita. Ai fini della sua applicazione (che prevede la commisurazione dell’Iva non su tutto il valore del bene venduto ma sulla sola differenza – margine – tra il prezzo dovuto dal cessionario e quello di acquisto da parte del cedente, aumentato delle spese accessorie e di riparazione), si considerano acquistati presso privati anche i beni comperati da:

un operatore economico che non ha potuto applicare la detrazione dell’imposta sugli acquisti (in detraibilità soggettiva e oggettiva)
un soggetto passivo di imposta comunitario che opera in regime di franchigia nel proprio Stato membro
un soggetto passivo (nazionale o comunitario) che ha applicato, a sua volta, il regime del margine.

Tra i beni mobili cui trova applicazione l’agevolazione vanno ricordati soprattutto gli autoveicoli (come nel caso affrontato dalla sentenza in commento). In relazione a tale tipologia di beni usati, il regime del margine viene spesso applicato indebitamente, in particolare nel commercio tra soggetti passivi residenti in Stati membri diversi. Spesso, infatti, l’operatore comunitario - pur avendo acquistato l’autoveicolo da un soggetto che non può essere considerato privato ai fini dell’applicazione della disciplina del margine (in genere si tratta di un soggetto passivo legittimato all’esercizio della detrazione quale una società di autonoleggio o di leasing) - cede il bene a un soggetto passivo d’imposta in Italia, assoggettando l’operazione al regime del margine, anziché a quello proprio delle cessioni intracomunitarie.
Il profilo più interessante di tali controversie attiene alla responsabilità del cessionario italiano, che potrebbe, a sua volta, rivendere il bene utilizzando indebitamente il predetto regime di favore.

La Corte di cassazione è intervenuta più volte sul punto; in particolare, con la sentenza 3427/2010, ha stabilito che la “responsabilità del cessionario è fatta discendere dagli ordinari canoni di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c., in virtù dei quali il cessionario è tenuto al controllo (anche) dei libretti di circolazione dei veicoli, al fine di osservare gli ordinari criteri di prudenza nelle transazioni commerciali. L’applicazione del regime del margine presuppone infatti, oltre a requisiti oggettivi (attinenti alla natura del bene compravenduto) anche taluni requisiti soggettivi riguardanti l’originario cedente. Nel caso di autoveicoli l’eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione, cosicché va senz’altro affermata l’esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all’acquirente, anche mediato, riguardo ai dati risultanti dai libretti di circolazione”.
In altre parole, il controllo documentale da effettuarsi sul libretto di circolazione costituisce un onere che rientra nella normale diligenza dell’operatore professionale del settore.

In merito al riparto dell’onere probatorio, si segnala, infine, la sentenza 25030/2010 della stessa Corte di cassazione, con la quale è stato affermato che “essendo quello cd. del margine regime agevolato ed atteso quanto specificatamente puntualizzato da Cass. 3427/10 in merito alle vendite di veicoli usati da parte di società di autonoleggio” (che si presume, dato l’oggetto sociale e la natura strumentale dei beni, detraggano l’Iva relativa al loro acquisto), “deve ritenersi onere del contribuente fornire la prova della ricorrenza dei relativi presupposti”.


Fonte: Agenzia Entrate

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