Nel caso di contumacia della parte appellata, alla Commissione tributaria regionale è vietato pronunciarsi su questioni di merito da essa non espressamente riproposte, qualora le stesse non siano state accolte dalla precedente pronuncia emessa dai giudici di primo grado.
Questo, in sintesi, il principio di diritto desumibile dalla pronuncia della Cassazione 295 del 12 gennaio.

La vicenda
Il contenzioso è conseguente all’impugnazione di un avviso di irrogazione sanzioni per infedele dichiarazione emesso dall’Agenzia delle Entrate ai fini Irpeg e Ilor.
La parte ricorrente risultava vittoriosa nel giudizio di primo grado. I giudici della Commissione tributaria provinciale, senza entrare nel merito, si limitavano ad accogliere l’eccezione pregiudiziale concernente un vizio di notifica dell’atto.

Contro la sentenza sfavorevole della Ctp, l’Agenzia dell’Entrate proponeva appello. In sede di gravame, il ricorrente sceglieva di rimanere contumace e pertanto non svolgeva alcuna attività difensiva.
Nonostante avesse accolto l’appello dell’ufficio, ritenendo sanato il vizio di notifica in virtù della costituzione in giudizio in Ctp del ricorrente, la Commissione tributaria regionale annullava l’atto poiché riteneva di dover accogliere le eccezioni di merito formulate dal contribuente col ricorso introduttivo. Ciò a prescindere dalla circostanza che le predette eccezioni non fossero state riproposte nel giudizio di appello.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva, quindi, per cassazione sulla base di un unico motivo di ricorso. Deduceva in particolare che, ai sensi dell’articolo 346 cpc, nonché per il processo tributario dello “speculare” articolo 56 del Dlgs 546/1992, le domande ed eccezioni non riproposte in appello, anche ove l’appellato fosse rimasto contumace, avrebbero dovuto intendersi come rinunciate.

La pronuncia della Cassazione
Il Supremo collegio ha accolto il motivo di doglianza dell’Agenzia e, decidendo nel merito, ha respinto definitivamente il ricorso introduttivo del giudizio.
Per i giudici, infatti, l’articolo 346 cpc trova applicazione anche nei riguardi dell’appellato rimasto contumace in sede di gravame. Pertanto, vale il principio secondo cui le domande e le eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado e non espressamente riproposte in appello, debbono intendersi rinunciate e non più riesaminabili.

E’ proprio il carattere devolutivo dell’appello che impone a entrambe le parti l’onere di prospettare al giudice del gravame le questioni, siano esse domande o eccezioni, risolte in senso a essi sfavorevole.
L’unica differenza, secondo la Cassazione, è che “…mentre il soccombente soggiace ai vincoli di forme e di tempo previsti per l'appello, la parte vittoriosa ha solo un onere di riproposizione, in difetto presumendosi che manchi un interesse alla decisione…”. Tale difetto di interesse, continuano i giudici, può essere imputato anche alla parte che non si è difesa nel giudizio di gravame in quanto ha scelto di non parteciparvi.

In definitiva, secondo la Cassazione, la Ctr è incorsa in errore laddove ha considerato come riproposte in appello le questioni sollevate dal ricorrente, anche se questi è rimasto contumace nel giudizio di gravame.

Ulteriori considerazioni
Con riferimento al processo tributario, il principio espresso dall’articolo 346 cpc è essenzialmente trasfuso nell’articolo 56 del Dlgs 546/1992 il quale testualmente dispone che “Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, s' intendono rinunciate”.
Secondo l’unanime e recente orientamento di legittimità, la suddetta rinuncia può essere desunta dal comportamento processuale della parte che non si sia costituita nel giudizio di appello (Cassazione 1239872009, 238/2009, 19648/2008 e 9217/2007).
Ne consegue che l’effetto devolutivo, che è proprio dell’appello, non può essere inteso in senso troppo ampio, ossia come implicita riproposizione al giudice del gravame di tutte le deduzioni, di diritto e di fatto, avanzate dall’appellato in primo grado anche se non accolte dal primo giudice.
Il processo tributario, infatti, è un processo a impulso di parte, ove le stesse parti sono poste in condizione di parità nel rispetto del principio del contraddittorio.

In secondo grado, pertanto, l’inerzia della parte contumace presuppone, seppure implicitamente, la carenza di interesse a proseguire il giudizio. D’altro canto, i giudici del gravame, essendo soggetti terzi e imparziali, non possono sostituirsi alle parti colmandone l’inerzia e pronunciandosi su questioni “non devolute”, poiché non esaminate o non accolte nella sentenza di primo grado.
Diversamente opinando, il prolungarsi del giudizio per accertamenti che trascendono gli interessi delle parti, nella valutazione desumibile seppure in maniera implicita dal loro comportamento processuale, violerebbe il principio costituzionale di ragionevole durata del processo (cfr Cassazione 7316/2003).

Resta comunque inteso che la parte vincitrice, risultata poi contumace in Ctr, a differenza di quella soccombente che deve agire seguendo le rigorose regole procedimentali previste per la presentazione dell’appello, ha il semplice onere di costituirsi in giudizio e riproporre le questioni precedentemente sollevate e non esaminante nella pronuncia della Ctp.


Fonte: Agenzia Entrate

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