Per decidere sulla fondatezza di un accertamento eseguito nei confronti di un socio, occorre attendere che il contenzioso con la sua impresa non sia pendente. Il giudice, pertanto, deve sospendere la lite nei confronti della persona fisica in attesa della definizione del reddito societario.
È quanto prevede l’ordinanza della Cassazione n. 1867/2012.

Il fatto
A una società di capitali veniva rettificato il reddito d’impresa Irpeg e, conseguentemente, sul presupposto della ristretta base azionaria e della distribuzione occulta di dividendi, l’ente impositore contestava il maggior reddito Irpef, pro quota, anche ai soci. Dopo il ricorso in primo grado, la Commissione tributaria regionale annullava l’accertamento nei confronti della società e, conseguentemente, ancorché tale pronuncia non fosse divenuta definitiva, annullava anche l’atto relativo al socio.

L’Amministrazione finanziaria, nell’impugnare in sede di legittimità la sentenza sfavorevole relativa al socio, evidenziava che, in violazione di legge, il giudice di appello aveva applicato la pronuncia relativa alla società, a beneficio del socio, pur non essendo ancora la prima divenuta definitiva ex articolo 2909 del codice civile. Rilevava, quindi, che la Commissione del riesame, prima di decidere la vertenza del socio, avrebbe dovuto sospendere il procedimento, a norma dell’articolo 295 del codice di procedura civile e attendere il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti della società.

La decisione
La Cassazione accoglie il ricorso riaffermando il principio che la sospensione necessaria del processo si applica anche al giudizio tributario quando pendano innanzi a giudici diversi procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità.

In particolare, la Suprema corte ha precisato, nella pur apparente succinta motivazione, che nel caso in questione, i due procedimenti tra società e socio erano legati da rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro. Conseguentemente, il giudice di appello avrebbe dovuto disporre la sospensione del giudizio nei confronti del socio in attesa della definizione del reddito della società a ristretta compagine sociale, proprio per i riflessi che ha la definizione dell’accertamento societario rispetto a quello dei singoli soci. E’ proprio l’inosservanza di questo consolidato principio (Cassazione, sentenze 10270/2011, 20721/2010, 7564/2003 e 10951/2002) che ha valorizzato i motivi di ricorso.

Al riguardo, è ormai prassi consolidata degli uffici finanziari dar seguito a un atto impositivo emesso nei confronti di una società di capitali a ristretta base sociale, con ulteriori avvisi di accertamento a carico dei soci della medesima. Infatti, mentre, per legge (articolo 5 del Tuir), per le società di persone vige il cosiddetto “principio di trasparenza” (secondo cui i redditi delle stesse sono imputati a ciascun socio nell’anno di produzione, indipendentemente dalla percezione e proporzionalmente alla propria quota di partecipazione agli utili), analoga norma tributaria non è prevista per le società di capitali, i cui dividendi costituiscono reddito, per i soci, solo nel periodo di imposta in cui sono effettivamente percepiti (articolo 45 del Tuir). Detta procedura trova supporto in una costruzione di carattere meramente presuntivo, sulla scorta dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973 (Cassazione 20870/2010), in base alla quale gli utili extrabilancio delle società di capitali a ristretta base azionaria o a base familiare (affectio societatis) si presumono distribuiti ai soci, salvo prova contraria (Cass.azione, sentenze 6517/1992, 17016/2002 e 9755/2003).

Dal momento che gli enti impositori equiparano le società di capitali a ristretta base sociale a quelle di persone, e che gli atti impositivi che interessano la società sono inscindibilmente connessi a quelli che ne scaturiscono in capo ai soci, appare correttamente adattabile alla casistica in esame il principio sancito dalla Cassazione nella sentenza 14815/2008, in base al quale, in materia di accertamento “unitario” delle società di persone e dei loro soci, si applica la disciplina processuale del litisconsorzio necessario, definito secondo canoni autonomi nel processo tributario, in base all'inscindibilità della causa. Ne consegue che il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è nullo per violazione del principio del contradditorio.

Va da sé che il giudizio rispondente a questi canoni deve essere deciso inscindibilmente e unitariamente nei confronti della società e dei soci, con antecedenza logico-giuridica del primo sul secondo, rispetto al quale la decisione è destinata a riverberare i propri effetti, ex articolo 295 codice di procedura civile (Cassazione 6159/2007).


Fonte: Agenzia Entrate

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