La Commissione tributaria provinciale di Firenze, con la sentenza 141/04/2009, aveva già respinto il ricorso di una società, che si opponeva al recupero dell’Ufficio relativo alla deducibilità della retribuzione per prestazione di lavoro dipendente, ai sensi dell’articolo 95, comma 1 (già articolo 62), del Tuir, erogata al dirigente che ricopriva anche funzioni di amministratore. La pronuncia di primo grado viene confermata dalla Ctr Toscana con la sentenza 4/30/12 del 30 gennaio.

Il giudizio atteneva dunque al problema della compatibilità del ruolo di amministratore con quello di lavoratore dipendente, laddove la sovrapposizione delle predette funzioni nell’ambito della stessa società, ad avviso dell’Ufficio, doveva ritenersi ammissibile solo nel caso in cui sussistesse un vincolo di subordinazione e le attività svolte non rientrassero già nel mandato di amministratore.

Nel caso di specie, in particolare, come risultava da apposito verbale di assemblea societaria, era stata conferita al dirigente delega nel settore amministrativo, fiscale e finanziario.
Tale delega era peraltro comprensiva di un’ampia gamma di poteri, fra i quali assumevano rilevanza determinante la facoltà di compiere qualsiasi operazione e di rappresentare la società nei confronti della Pubblica amministrazione e in qualsiasi giudizio, la facoltà di conciliare qualsiasi controversia, di riscuotere e stipulare contratti di deposito bancario e titoli ed effettuare ogni altra operazione bancaria. Lo stesso dirigente/amministratore era poi responsabile dell’osservanza delle norme di legge anche per eventuali violazioni compiute dal personale facente parte della sua “giurisdizione”.
La società, da parte sua, nell’impugnare gli avvisi di accertamento, eccepiva come il rapporto di lavoro dipendente del dirigente risultava confermato da regolare iscrizione al libro paga, dalle regolari buste paga e dalla documentazione delle presenze in azienda. La società faceva inoltre presente che esisteva un consiglio di amministrazione formato da sei membri e che solo a tale organo collegiale, oltre che al presidente, spettavano tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, con effettivi poteri gerarchici su tutto il personale dipendente.
La società sottolineava, infine, come, in base alla giurisprudenza della Corte suprema, la posizione di membro del consiglio di amministrazione fosse già stata considerata compatibile con quella di dipendente, essendo stata considerata incompatibile solo la posizione del presidente e dell’amministratore unico.

L’Ufficio, costituendosi in giudizio, evidenziava invece come la stessa Corte suprema avesse già riconosciuto che “Invero, in tema di idoneità della delega di funzioni aziendali al fine di trasferire la responsabilità incombente sul titolare dell'impresa …” bisogna fare “ricorso al principio di effettività, … il soggetto responsabile va individuato in base, non alle qualifiche formali, ma alle mansioni effettivamente esercitate nell'ambito dell'organizzazione aziendale…” (sentenza 33308/2005) e che "la cumulabilità nello stesso soggetto della qualità di amministratore di una società e di dipendente della medesima deve escludersi allorché non sia configurabile una volontà imprenditoriale che si formi in modo autonomo al dipendente, sì che possano attuarsi i poteri di controllo e disciplinare che caratterizzano in termini di subordinazione lo stesso svolgersi del rapporto di lavoro e in definitiva la causa del relativo negozio costitutivo" (sentenza 7562/1983).

Pur riconoscendo dunque che l'amministratore potesse anche essere, in linea teorica, un lavoratore dipendente della società (con deducibilità della relativa retribuzione), l’Ufficio ribadiva però che tale commistione di funzioni era possibile solo a condizione che le prestazioni rese nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato fossero estranee all'attività tipica di amministratore e che tale separazione fosse evidente e provata, anche considerato che "la natura subordinata, anziché autonoma, del rapporto di lavoro non è presunta neppure juris tantum ma deve essere dimostrata dal soggetto che la deduce" (Cassazione, sentenze 4150/1988 e 524/1989).

La Ctp di Firenze, quindi, dopo aver osservato che “l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente implica necessariamente la subordinazione del lavoratore e la sua soggezione al potere di controllo di direzione e disciplinare del datore di lavoro”, riteneva che “nel caso di specie la posizione del Sig … nell’ambito della società … risulta connotata dalla duplice qualificazione, peraltro teoricamente ammissibile, di consigliere di amministrazione e dipendente. Tuttavia è da considerare che il predetto consigliere di amministrazione risulta titolare di una delega per la gestione del settore amministrativo, fiscale e finanziario, a firma libera, cioè in piena autonomia, che gli conferisce poteri talmente ampi da rendere inammissibile la concentrazione nella stessa sua persona della contemporanea asserita posizione di lavoratore dipendente, subordinato cioè ad altrui potere di direzione e controllo”.

La Ctp conclude poi affermando che “… mancando in tale asserito rapporto di lavoro, il vincolo di subordinazione, che è imprescindibile elemento costitutivo del rapporto di lavoro dipendente e che costituisce altresì il presupposto di cui all’art. 95 del TUIR per la deduzione del relativo costo …” e non avendo peraltro la società provato che l’amministratore “svolgesse mansioni ed attività che potessero ritenersi non comprese nell’ampio mandato di amministratore delegato”, gli avvisi di accertamento impugnati dovevano considerarsi legittimi.
Il contribuente, contro la citata sentenza, presentava comunque appello alla Commissione tributaria regionale della Toscana.
Anche l’appello, però, è stato recentemente respinto dai giudici di secondo grado con la sentenza della Ctr Toscana n. 4/30/12 del 30 gennaio.
Il contribuente peraltro, nel cercare di affrontare la questione del rapporto tra l’attività del mandato di amministratore e quella di lavoro subordinato, affermava in sede di appello che i poteri delegati dal consiglio di amministrazione erano un quid pluris rispetto al rapporto di lavoro (e relativo vincolo di subordinazione) esistente tra la società e il contribuente stesso, mirando prevalentemente ad attribuire a quest’ultimo la rappresentanza e la firma sociale nei confronti dei terzi.

La tesi dell'Ufficio era invece che in questi casi, anche a prescindere dalle deleghe (che, come visto, nel caso di specie già confermavano comunque la insussistenza di un vincolo di subordinazione) bisogna guardare alla sostanza del rapporto, laddove, affinché la prestazione di lavoro sia considerata come effettuata in regime di subordinazione, vi devono essere due condizioni essenziali:
che le attività svolte in forza del contratto di lavoro siano diverse da quelle attribuite allo stesso soggetto in quanto amministratore
che l'amministratore si trovi in posizione subordinata nei confronti della società
Sul piano pratico e procedurale è quindi opportuno (il minus probatorio richiesto) in questi casi:
specificare nella delibera che l'amministratore viene assunto per esercitare un'attività diversa, e comunque estranea, ai suoi compiti di organo della società e indicare in maniera precisa e dettagliata oltre le mansioni attribuite e il relativo trattamento economico-normativo, anche il superiore gerarchico (che non può certo essere il collegio di cui lo stesso consigliere fa parte) cui il dirigente è sottoposto nell'espletamento delle sue mansioni.
Se (almeno) queste due condizioni non vengono rispettate (e provate) il relativo costo non è quindi ascrivibile a lavoro dipendente.
L'amministratore può dunque anche essere legittimamente un lavoratore dipendente della società, a condizione però che le prestazioni rese in funzione del rapporto di lavoro subordinato (e la relativa retribuzione), oltre a svolgersi effettivamente in regime di subordinazione, siano estranee e diverse rispetto all'attività tipica di amministratore (Cassazione, sentenza 329/2002) e che tale separazione sia evidente e provata.
In particolare, nel caso di amministratore delegato è, quindi, esclusa (salvo prova contraria) la possibilità che questi sia titolare anche di un rapporto di lavoro subordinato, dato che, in questo caso, il dirigente/amministratore esprime la volontà propria della società ed è titolare dei poteri di controllo, di comando e di disciplina.
Per tutti questi motivi, pertanto, la Commissione tributaria regionale sopra citata, ha concluso che "l'elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro dipendente è costituito dalla subordinazione … Nel caso in esame al … è stata data delega per la gestione del settore amministrativo, fiscale e finanziario, in piena autonomia, senza sottoposizione ad alcun controllo da parte del Consiglio di Amministrazione e/o del Presidente … In questa ottica è difficile potere sostenere che il .. ricopriva la funzione di lavoratore dipendente, dato che nessun controllo eseguiva la società sul suo operato e nessuna prova ha fornito la società di prestazioni rese nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato estranee all'attività tipica di amministratore".


Fonte: Agenzia Entrate

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