Con la sentenza n. 26908 del 14 dicembre, la Corte di cassazione ha sancito che l’irregolare versamento delle somme dovute a fronte della sanatoria prevista dall’articolo 9-bis della legge 289/2002 (definizione degli omessi o ritardati versamenti) determina il mancato perfezionamento della definizione e la conseguente inefficacia del condono.
In tal caso, le disposizioni previste dall’articolo 2, comma 5-bis e 5-ter, Dl 138/2011 (convertito nella legge 148/2011, cosiddetta “manovra di ferragosto”), non determinano il rinnovo dei benefici, ormai irrimediabilmente persi a causa della non corretta corresponsione delle rate, in quanto hanno come unico scopo quello di sollecitare il recupero delle entrate da condono definitive, ma non ancora riscosse.

Il fatto
La controversia trae origine dal ricorso di un contribuente contro la cartella di pagamento per omessi versamenti di Irpef, Iva e Irap relativi all’anno d’imposta 2002: l’atto impugnato aveva a oggetto il diniego degli effetti del condono rateale ex articolo 9-bis, legge 289/2002, conseguente al pagamento irregolare delle rate connesse alla sanatoria.
La Commissione tributaria di primo grado accoglieva il ricorso sulla motivazione che, avendo il contribuente provveduto al pagamento dell’ultima rata, l’Amministrazione finanziaria non era legittimata a dichiarare l’inefficacia della definizione con la conseguente irrogazione delle sanzioni originariamente previste, ma avrebbe dovuto limitarsi solo a iscrivere a ruolo le rate insolute, comprensive degli accessori previsti dalla legge.
La Ctr Lombardia confermava la decisione dei giudici di prime cure.

L’Agenzia delle Entrate, proponendo ricorso in Cassazione, denunciava la violazione dell’articolo 9-bis della legge 289/2002, avendo i giudici di appello esteso alla sanatoria degli omessi e ritardati versamenti la diversa disciplina dettata dal condono ordinario, secondo cui la definizione si ritiene perfezionata con il pagamento della prima rata e la contestuale presentazione dell’istanza.
La Corte di cassazione, coerentemente con altre decisioni su casi analoghi, accoglieva il ricorso cassando senza rinvio la sentenza impugnata.

Nel contempo, i giudici di legittimità respingevano l’eccezione avanzata dal contribuente con apposite memorie spiegando che, nel caso di specie, non rilevava lo jus superveniens costituito dall’articolo 2, comma 5-bis e 5-ter, Dl 138/2011.
A parere dei giudici, infatti, la “manovra di ferragosto”, non avendo come scopo la modifica di situazioni oramai cristallizzate, non poteva far rivivere i benefici persi connessi al condono ex articolo 9-bis, essendo finalizzata solo al recupero di entrate da condono definitive ma non riscosse.

La decisione
Nella sentenza in commento, il Supremo collegio di legittimità torna a occuparsi della disciplina dei condoni di cui alla legge 289/2002, soffermandosi su due aspetti in particolare: da un lato la conferma del diniego del beneficio del condono rateale ex articolo 9-bis, legge 289/2002, per la mancata o irregolare corresponsione delle rate; dall’altro, la netta distinzione, in termini di efficacia dell’istituto definitorio, tra “condoni premiali” e “condoni clemenziali”.
In merito al primo punto, la Cassazione conferma che la definizione delle imposte e delle ritenute dichiarate e non versate (o versate in ritardo) si perfeziona solo ed esclusivamente con il pagamento dell’intero debito erariale entro i termini previsti dall’istituto; inoltre, l’inadempienza del contribuente si traduce nella perdita definitiva del beneficio con conseguente iscrizione a ruolo degli importi non versati unitamente all’originario carico sanzionatorio (cfr Cassazione 20966/2010).

Si ricorda che il citato articolo 9-bis contemplava la disapplicazione delle sanzioni previste dall’articolo 13 del Dlgs 471/1997 a condizione che venissero correttamente versate le imposte e le ritenute omesse (o versate in ritardo) alle tre rate previste dal legislatore (il pagamento rateale, comprensivo degli interessi legali, era ammesso in caso in cui gli importi da versare per anno d’imposta fossero stati superiori a 3mila euro per le persone fisiche e a 6mila euro per gli altri soggetti).

Il quesito di diritto su cui i giudici si sono espressi è il seguente: se il condono previsto dall’articolo 9-bis, in caso di rateizzazione, possa ritenersi perfezionato anche effettuando alcuni pagamenti in ritardo, come esplicitamente previsto per altre forme di definizione disciplinate dalla legge 289/2002, oppure, vista la mancanza di clausole esplicitamente riferibili agli effetti del pagamento tardivo, tale forma di condono è perfezionabile solo mediante il pagamento dell’intera imposta dovuta entro le scadenze stabilite dalla norma.
Dando continuità ai principi già enunciati dalla medesima sezione tributaria, la Cassazione ha deliberato che, con riferimento al “condono previsto all’art. 9–bis L. 289/2002, in assenza di clausole esplicitamente riferibili a tale istituto, non può sussistere un principio generale destinato a valere in caso di silenzio del legislatore diretto a riconoscere effetti al pagamento tardivo; tale forma di condono, infatti, è perfezionabile solo mediante il pagamento dell’intera imposta dovuta entro le scadenze stabilite dalla norma”.

Il principio di diritto enunciato dalla Cassazione trova fondamento nella strutturale distinzione tra “condono premiale” e “condono clemenziale”.
A parere del collegio, i condoni con effetto “premiale” fanno sorgere in capo al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario del proprio rapporto giuridico tributario, da effettuarsi secondo regole peculiari e diverse da quelle ordinarie (Cassazione 18353/2007).
Tali forme di sanatoria si perfezionano con il pagamento della prima rata e la presentazione dell’apposita istanza: appartengono a tale fattispecie le definizioni previste dagli articoli 7, 8, 9, 15 e 16 della legge 289/2002.
Pertanto, in caso di rateizzazione, i condoni sarebbero inefficaci solo in caso di omesso versamento della prima rata, con la conseguente perdita della possibilità di avvalersi della definizione agevolata, mentre il mancato pagamento delle rate successive alla prima comporterebbe unicamente l’iscrizione a ruolo (a titolo definitivo) della rata insoluta, comprensiva di sanzioni e interessi legali.

Diversamente, per quel che attiene la sanatoria regolata dall’articolo 9-bis, che la giurisprudenza associa a un condono di tipo “clemenziale”, si parte dal presupposto che, in via di principio, essa non comporta alcuna incertezza in ordine al quantum dovuto ai fini della definizione: infatti, la somma da versare corrisponde esattamente a quanto già indicato nella dichiarazione integrativa presentata.

La sanatoria, pertanto, ha natura eccezionale rispetto alle forme di definizione precedentemente considerate e la “clemenza” accordata dal legislatore è subordinata solo all’integrale e tempestivo pagamento del debito erariale: disattendere un tale affidamento comporta ipso iure l’inefficacia della definizione agevolata, non potendo estendersi, a causa della differente natura, la disciplina dettata per i condoni di tipo “premiale”, che restano efficaci anche in caso di mancato versamento delle rate successive alla prima.

Con la sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno apportato un contributo ulteriore rispetto ai principi di diritto fin qui espressi, in perfetta linea con il proprio orientamento prevalente.
Rispondendo a un’eccezione avanzata dal contribuente, i giudici hanno deliberato che, nel caso di specie, non è invocabile lo jus superveniens costituito dall’articolo 2, comma 5-bis e 5-ter, Dl 138/2011, posto che tali disposizioni prevedono:

la ricognizione delle somme dichiarate e non versate da parte di chi si è avvalso di condoni e sanatorie di cui alla legge 289/2002
l’avvio di azioni di recupero del dovuto (con gli interessi) entro la fine del 2011, anche mediante l’invio di un’intimazione a pagare quanto concordato
in caso di perdurante inadempienza, l’ulteriore sanzione del 50% delle somme spettanti e il controllo fiscale degli anni successivi a quelli condonati.

In buona sostanza, le disposizioni dettate dal legislatore con il Dl 138/2011 non fanno rivivere benefici perduti, ma sollecitano il recupero delle diverse entrate da condono definitive (perché iscritte a ruolo) ma non riscosse, cioè promuovono il pagamento di quanto concordato “per effetto dell’accertamento condonistico straordinario, effettuato con regole peculiari rispetto a quello ordinario”.

Di contro, nella fattispecie del “condono clemenziale” a cui appartiene la definizione per gli omessi e i ritardati versamenti, “è ultroneo promuovere nuove iniziative recuperatorie per l’ovvia considerazione che di norma, sulla scorta dell’originario carico fiscale, il contribuente ha già ricevuto la cartella per il saldo della differenza dovuta (ivi compresi sanzioni ed accessori di legge) in ciò riscontrandosi la ricognizione della decadenza definitivamente consumatasi”.
È appena il caso di ricordare che la stessa Agenzia delle Entrate, in tema di efficacia della sanatoria di cui all’articolo 9-bis della legge 289/2002, si era già espressa in senso conforme all’orientamento prevalente della Corte di cassazione: infatti, nella circolare 36/2005, si legge che “se la definizione non è stata perfezionata la sanzione resta commisurata alle imposte non versate o versate in ritardo come risultanti dal controllo delle dichiarazioni originariamente presentate”.


Fonte: Agenzia Entrate

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