In presenza dei requisiti prescritti dagli articoli 15 e seguenti del Dpr 601/1973, anche i finanziamenti a medio e lungo termine concessi per far fronte alla copertura di pregresse esposizioni debitorie rientrano nel campo applicativo dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine. Laddove, invece, sia stato già erogato il credito ed investita la somma corrispondente, mentre ciò che diviene oggetto di regolamento negoziale è il termine della sua restituzione, il negozio in questione non ha per oggetto un finanziamento ma, piuttosto, modalità e tempi di recupero del credito. In tale ultima ipotesi, non si applica il regime sostituivo di cui al Dpr 601/1973, in quanto difetta il presupposto impositivo, ovvero la disponibilità per il richiedente di nuove ed effettive risorse finanziarie.
Questo è in sintesi il contenuto della risoluzione n. 121/E del 13 dicembre, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha inteso chiarire se anche per il contratto di finanziamento, concluso da una società holding per la riqualificazione di precedenti indebitamenti, propri o di società controllate, rilevino le previsioni in materia di imposta sostitutiva sui finanziamenti.

L’intervento si è reso necessario in quanto, a seguito di recenti affermazioni della Corte di cassazione, alcuni uffici territoriali hanno negato l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine alle erogazioni effettuate a favore di una holding che acquista l’effettiva disponibilità finanziaria delle somme concesse, per poi trasferire, sulla base di un rapporto di mandato, il finanziamento ottenuto, pro-quota, alle società controllate, al fine di consentire alle stesse di far fronte alle proprie pregresse esposizioni debitorie.

Orientamento della giurisprudenza di legittimità
La Cassazione, sollecitata in ordine all’eventualità di estendere il regime di favore ad alcune particolari operazioni finanziarie, con la sentenza 5270/2009 ha specificato che “… la ratio legis della norma di agevolazione prevista dal citato DPR n. 601 del 1973, art. 15, la quale come tutte le disposizioni che prevedono delle agevolazioni tributarie, è norma di stretta interpretazione, è indubbiamente da ricercare nel favore che il legislatore intende accordare agli investimenti produttivi, nella previsione che essi possano creare nuova ricchezza sulla quale potrà più adeguatamente applicarsi il prelievo fiscale”, statuendo tra l’altro, con riferimento a una ipotesi di finanziamento concesso a fronte di una pregressa scopertura di conto corrente bancario, che “…laddove ci si trovi di fronte ad una situazione…che presuppone già erogato il credito ed investita la somma corrispondente, mentre ciò che diviene oggetto di regolamento negoziale è il termine della sua restituzione, il negozio in questione non ha per oggetto un finanziamento ma piuttosto modalità e i tempi di recupero del credito”.
In sostanza, secondo la Cassazione, il legislatore fiscale ha inteso premiare, con un trattamento agevolato, le operazioni di finanziamento che si traducono in investimenti produttivi, capaci di creare nuova ricchezza, sulla quale si potrà più adeguatamente applicare il prelievo fiscale. La Suprema corte, pertanto, propende per una finalizzazione produttiva della somma chiesta al soggetto erogante. Secondo la stessa Corte, alla disciplina in discussione, potrebbero accedere solo i finanziamenti teleologicamente orientati, atti a creare nuova ricchezza per il soggetto richiedente.

Contratto di finanziamento finalizzato espressamente alla estinzione di un debito pregresso
A seguito di quanto precisato dalla Cassazione, l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate si è concentrata su due diverse fattispecie:
la prima avente ad oggetto un contratto di finanziamento finalizzato espressamente alla estinzione di un debito pregresso, derivante dalla concessione di una nuova linea di credito alla stessa società destinataria di un finanziamento
la seconda riguardante i “piani di rientro” per debiti pregressi, volti alla mera dilazione del pagamento di preesistenti esposizioni debitorie, attraverso la rimodulazione contrattuale dei modi e dei tempi del rientro.

Per risolvere i nodi interpretativi proposti, l’Agenzia ha ripercorso le disposizioni di riferimento, al fine di ricavare la ratio sottesa al regime sostitutivo in esame.
Gli articoli da 15 a 20 del Dpr 601/1973 assoggettano le operazioni di credito a medio e lungo termine (cioè con durata superiore a diciotto mesi), al ricorrere di determinati requisiti, al pagamento di un’imposta sostitutiva. L’applicazione di tale imposta tiene luogo dell’imposta di registro, di bollo, ipotecaria e catastale e della tassa sulle concessioni governative che risulterebbero dovute, in base al regime ordinario, in relazione a tali contratti.

In particolare, l’articolo 15, nel definire il campo applicativo del regime di favore, in realtà, non fa cenno alla condizione che il finanziamento debba essere destinato a finalità specifiche. Il legislatore non ha inteso, infatti, qualificare lo scopo cui devono essere destinate le somme messe a disposizione dall’istituto erogante. Favorire l’accesso al credito, incrementando la possibilità del soggetto richiedente di attingere nuove risorse finanziarie, è la finalità posta alla base della disciplina fiscale dettata dagli articoli 15 e seguenti del Dpr 601/1973.
Tale possibilità è subordinata, in buona sostanza, al ricorrere di due condizioni:
la prima, di carattere soggettivo, riguarda la natura del finanziatore qualificato a erogare le somme attraibili al regime tributario di favore (per esempio, si considerino gli istituti abilitati all’esercizio del credito; Cassa depositi e prestiti per determinate operazioni; enti, fondi, istituti previdenziali per i mutui concessi ai propri dipendenti e iscritti per l’acquisto di abitazioni)
la seconda, di carattere oggettivo, prevede che il finanziamento, capace di conferire una provvista di denaro, abbia durata contrattuale superiore a 18 mesi, fatte salve alcune particolari ipotesi.

In presenza di tali condizioni, il contratto di finanziamento, stipulato al fine di acquisire una effettiva disponibilità finanziaria, rientra nel campo di applicazione dell’imposta sostitutiva.
Sono dunque ricomprese nel campo applicativo dell’imposta sostitutiva anche i finanziamenti contratti per estinguere precedenti esposizioni debitorie.
Tale asserzione, si legge nella risoluzione, non sembra in contrasto con quanto sancito dalla Cassazione, poiché qualificante per accedere al regime di favore, anche nelle ipotesi di finanziamenti concessi per coprire precedenti esposizioni debitorie, appare essere sempre la presenza della provvista finanziaria messa a disposizione del soggetto richiedente.
L’assunto è in linea con quanto già affermato dall’Amministrazione finanziaria, allorquando era stata ammessa la possibilità di applicare l’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine concessi da enti di previdenza ai propri iscritti per estinguere mutui precedentemente contratti per l’acquisto di un immobile abitativo (risoluzione 68/2008).

Tralasciando per un attimo quanto rappresentato dall’Agenzia delle Entrate nel documento di prassi, occorre considerare, tra l’altro, che la finalità del prestito, individuata da alcuni commentatori quale potenziale requisito capace di determinare l’attrazione dell’operazione al regime sostitutivo, in realtà, assume rilevanza ad altri fini. Ad esempio, lo scopo del prestito è utile quando deve stabilirsi la misura dell’aliquota applicabile: la finalità cui è asservita l’erogazione di denaro assume, dunque, rilievo in una fase successiva ed eventuale a quella di verifica della sussistenza o meno dei presupposti per accedere al trattamento fiscale di favore. Il requisito della finalizzazione del prestito mal si attaglierebbe, per esempio, all’ipotesi di finanziamento ottenuto per l’acquisto dell’abitazione.

Piani di rientro per debiti pregressi, volti alla mera dilazione del pagamento di preesistenti esposizioni debitorie
La fattispecie esaminata dalla Cassazione con la sentenza 5270/2009 riguarda, in realtà, un atto di finanziamento con iscrizione di ipoteca volontaria, riqualificato dall’ufficio quale “atto di dilazionamento di un debito a fronte di pregressa scopertura di conto corrente bancario”. L’istituto erogante concedeva al proprio cliente modalità e tempi diversi, rispetto a quelli originariamente pattuiti, per rientrare da indebitamenti pregressi.
Con riferimento a tale possibilità, la Cassazione ha affermato che “…laddove ci si trovi di fronte ad una situazione…che presuppone già erogato il credito ed investita la somma corrispondente, mentre ciò che diviene oggetto di regolamento negoziale è il termine della sua restituzione, il negozio in questione non ha per oggetto un finanziamento ma piuttosto modalità e i tempi di recupero del credito”.
Per la Cassazione, in tale ultima eventualità, non viene concessa al debitore la disponibilità di effettive risorse finanziarie, ma sono esclusivamente rimodulati i modi e i tempi di restituzione di un credito già erogato.
Da ciò discende che l’imposta sostitutiva in argomento non può trovare applicazione in quanto, di fatto, mancherebbe la percezione, da parte del soggetto beneficiario, di una nuova, reale ed effettiva disponibilità finanziaria.

Tale orientamento è in linea con quanto precisato dall’Agenzia del Territorio che, con la circolare 240/1999, ha affermato che il regime di favore di cui all’articolo 15 ha lo scopo di “…incentivare le operazioni creditizie a favore delle attività economiche e non ha perciò ragione di operare allorquando non sia disposta nessuna forma di finanziamento, ma si concordi semplicemente, con l’adozione di apposite garanzie, un piano di rientro da una esposizione già maturata in passato”.


Fonte: Agenzia Entrate

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