Per la determinazione del reddito di impresa, anche i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti possono essere dedotti, purché il contribuente ne dimostri l'effettiva sussistenza, l'ammontare e l'inerenza. Nel caso in esame, questo non è avvenuto (Cassazione, sentenza 19786 del 27 settembre).

Il fatto
Con tre avvisi di accertamento, emessi per Irpeg e Ilor e relativi agli anni di imposta 1994, 1995 e 1996, l'Agenzia ha recuperato, tra gli altri, i costi dedotti da una società di servizi che ricerca e seleziona, per i propri clienti, modelli/e per sfilate, ed effettua servizi fotografici e altre attività connesse.

In particolare, i costi indebitamente dedotti si riferiscono al pagamento dei modelli, effettuato da una società inglese. Quest'ultima provvede a rifatturare alla società italiana lo stesso importo accreditato ai modelli, maggiorato di una commissione pari al 15%, quale compenso per lo svolgimento del compito di scelta e gestione dei modelli (scouting).
Di fatto, quindi, la società londinese offre un servizio puramente finanziario e non gestionale - operativo, allo scopo di facilitare il pagamento dei modelli che viene effettuato su precise indicazioni e con determinazione degli importi da corrispondere da parte della società italiana.

L'asserita indeducibilità dei predetti costi, in quanto esborsi per operazioni ritenute inesistenti, è stata ribadita dall'ufficio in entrambi i gradi di merito e ritenuta fondata dai giudici a seguito dell'esame della documentazione prodotta agli atti (le informative delle autorità fiscali britanniche, attestanti il carattere fittizio e la non operatività della società inglese, derivante dall'assenza di una qualsiasi struttura e organizzazione imprenditoriale - commerciale; l'accertata irregolare tenuta della contabilità da parte della società contribuente; l'usuale assenza di contratti scritti con i modelli, che sottoscrivevano solo le "liberatorie", delegando la società italiana anche a fatturare e a incassare, per loro conto, dagli utilizzatori delle loro prestazioni professionali, i compensi per l'attività svolta; la non autenticità, in un consistente numero di casi, della sottoscrizione apposta sulle suddette "liberatorie", ammessa dallo stesso amministratore della società).

A fronte degli elementi probatori utilizzati dall'ufficio, costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti e comprovanti l'inesistenza soggettiva delle operazioni che avrebbero dato origine ai costi, la società non ha fornito nessun elemento "certo e preciso" di prova circa la loro oggettiva sussistenza (ad esempio, perché derivati da rapporti effettivi intercorsi con soggetti diversi dalla predetta società inglese).

Per la Cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano, la società ha proposto ricorso, deducendo, tra l'altro, la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 75 del Tuir (ora articolo 109).

Con la sentenza 19786/2011, la Corte ha affermato che "l'effettività del costo esposto postula, pur sempre, la dimostrazione della sua precisione e certezza sul piano oggettivo (prova dell'esistenza di detto elemento negativo del reddito e del suo preciso ammontare), ancorché il soggetto che ha effettuato prestazione, che da luogo alla spesa dedotta, sia diverso dall'emittente le fatture per operazioni inesistenti (cfr. Cass. nn. 3305/09, 1147/10)".

Osservazioni
L'articolo 109 del Tuir (già articolo 75) consente di riconoscere la deducibilità fiscale dei componenti negativi dal reddito di impresa a condizione che la loro esistenza sia certa, se sono determinabili nel loro ammontare e se inerenti ad attività da cui derivano i ricavi, indipendentemente dal fatto che gli stessi costi siano o meno documentati con fattura.

Per le imposte dirette, a differenza di quanto previsto per l'Iva, la regolarità della fattura è elemento irrilevante ai fini della deducibilità di un costo, consentita tutte le volte in cui vengono soddisfatte le condizioni dell'articolo 75, comma 4, Tuir (nel testo previgente, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis), secondo il quale "le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e altri proventi, che pur non risultando imputati al conto dei profitti e delle perdite concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi".

La sentenza della Corte interviene a chiarire gli attributi di "esistenza" e "certezza" di un costo, sottolineando anche l'ampliamento del regime della prova a favore del contribuente intervenuto con il Dpr 695/1996.
In particolare, i giudici di legittimità hanno ribadito che i costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti, purché sopportati a fronte di operazioni effettive e reali, sono deducibili dal reddito d'impresa (Cassazione, 9537/2011), ma solo in presenza di "elementi certi e precisi" volti a provare l'oggettiva esistenza delle operazioni che li hanno originati. Diversamente, l'acclarata falsità soggettiva delle fatture farebbe dubitare dell'effettiva entità dei costi proprio perché ne mancano la certezza, la determinabilità e, soprattutto, l'affidabilità del soggetto emittente (Cassazione, 25141/2009).
Ciò perché "l'eventuale inesistenza di operazioni fatturate, in quanto idonea ad incidere sulla certezza del costo, può refluire sulla sua deducibilità" (Cassazione, 14037/2011).
Salvo comunque dimostrare, da parte del contribuente, anche con mezzi diversi dalle scritture contabili (l'articolo 5 del Dpr 695/1996 ha abrogato l'articolo 75, comma 6, Tuir, il quale escludeva la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi in caso di omessa o irregolare registrazione nelle apposite scritture contabili), che la spesa è stata effettivamente sostenuta.

Per costante giurisprudenza (Cassazione 10576/2011, 3305/2009, 4218/2006), infatti, pur in presenza di un ampliamento del regime di prova dei costi da parte del contribuente (prova che può essere fornita anche con i mezzi diversi dalle scritture contabili purché costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dall'articolo 75, comma 4, Tuir) è pur sempre necessario che lo stesso contribuente dimostri l'effettiva sussistenza nonché l'ammontare dei costi.

Di certo, però, come sostenuto dalla Corte nella fattispecie sottoposta al suo vaglio, una sentenza penale irrevocabile di assoluzione con formula piena - pronunciata nei confronti del legale rappresentante della società italiana, dall'imputazione di avere indicato nelle dichiarazioni dei redditi elementi passivi fittizi a supporto delle fatture provenienti dalla società inglese - non è idonea a dimostrare l'effettività dei rapporti commerciali e la realizzazione delle operazioni.
Questo in quanto, se l'Agenzia ha fornito elementi di prova idonei ad affermare la falsità di fatture utilizzate per supportare deduzioni di costi, la società avrebbe potuto offrire, anche mediante la produzione di un giudicato penale, validi indizi di segno contrario (Cassazione, 9958/2008).

Ma così non è stato. A fronte degli elementi probatori utilizzati dall'ufficio, costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti e comprovanti l'inesistenza soggettiva delle operazioni che avrebbero dato origine ai costi, la società non ha fornito nessun elemento "certo e preciso" di prova circa la loro oggettiva sussistenza (ad esempio, perché derivati da rapporti effettivi intercorsi tuttavia con soggetti diversi dalla predetta società inglese).
Con la conseguenza che, non essendo stata provata l'effettività del servizio reso anche da un soggetto terzo e diverso da quello che ha fatturato, sono risultate non deducibili dal reddito le spese fatturate da una società fittizia, anche se inerenti all'attività della società che avrebbe voluto ridurre l'imponibile.


Fonte: Agenzia Entrate

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