La fattura emessa a fronte di operazioni inesistenti non può essere annullata da una successiva nota di credito, salvo che l’emittente non dimostri di aver eliminato il rischio di perdite erariali attraverso il ritiro della fattura prima dell’utilizzo da parte del destinatario. Di conseguenza, l’Iva esposta nella fattura fittizia è comunque dovuta all’Erario (articolo 21, comma 7, Dpr 633/1972).
Questo in sintesi il principio di diritto desumibile dalla sentenza della sezione tributaria della Corte di cassazione n. 21110, depositata il 13 ottobre.

I fatti di causa
L’Amministrazione finanziaria inviava a una società un avviso di rettifica Iva per l’anno di imposta 1997, con il quale si contestava l’emissione di fatture relative a operazioni inesistenti. In particolare, essendo l’imposta comunque dovuta in virtù del disposto di cui all’articolo 21, comma 7, Dpr 633/1972, veniva rettificata in diminuzione la detrazione di imposta indicata nella dichiarazione dall’emittente, in conseguenza del disconoscimento di una nota di credito che accordava la riduzione del prezzo con riferimento a una delle predette fatture fittizie.
L’ufficio motivava il recupero rilevando la totale assenza di documentazione (a parte la presenza di una deliberazione assembleare) che comprovasse l’effettiva vendita di un immobile industriale a un’altra società.

La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso proposto dalla società accertata.

I giudici di secondo grado, invece, accoglievano l’appello della contribuente, rilevando che la stessa avesse comunque dato dimostrazione dell’effettività delle operazioni, per mezzo dell’esibizione del rogito di compravendita, nonostante quest’ultimo fosse stato stipulato a distanza di molti anni dalla data di emissione della documentazione fiscale. Di conseguenza, per i giudici di merito, la dimostrata effettività delle operazioni documentate nelle suddette fatture rendeva legittima anche la detrazione di imposta così come determinata dalla società a seguito dell’emissione della nota di credito.

Contro la pronuncia della Ctr, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione.

La pronuncia della Cassazione
Il Supremo collegio ha accolto le ragioni dell’Agenzia, cassato la pronuncia della Ctr e definitivamente respinto il ricorso introduttivo della società ricorrente.
Preliminarmente, i giudici di legittimità hanno stabilito che un’operazione non può considerarsi esistente ai fini Iva se viene a mancare il suo presupposto giuridico che, nel caso di emissione di una fattura di acconto, ai sensi dell’articolo 6, comma 4, Dpr 633/1972, può essere costituito “…anche da un negozio soltanto obbligatorio (Cass. 705/1992, 371/1998)”. Il presupposto non può, in ogni caso, prescindere dall’esistenza di una obbligazione giuridicamente vincolante in quanto, secondo la Corte, “…l’obbligazione tributaria (e, quanto all’IVA, la sua connessa deducibilità) non sono liberamente disponibili dal contribuente”.
L’accertamento dell’inesistenza dell’operazione da una parte e la ricorrenza della norma di cui al comma 7 del citato articolo 21 dall’altra, fanno sorgere, quindi, in capo all’emittente delle fatture false, l’obbligo di corrispondere l’imposta.

La Cassazione ha anche respinto le doglianze avanzate con controricorso dalla società secondo le quali, a prescindere dalla querelle sull’esistenza o meno delle operazioni, l’emissione della nota di credito avrebbe comunque avuto l’effetto di cancellare l’obbligazione tributaria sorta con l’emissione della relativa fattura.

Sul punto, la Cassazione ha ritenuto che tale assunto possa trovare applicazione solamente quando “…colui che ha emesso la fattura ha, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali” riuscendo “a farsi restituire e a distruggere le fatture prima del loro uso da parte del destinatario”. Nel caso in esame, tale fatto non risulta essere stato dimostrato dalla parte ricorrente.

Gli insegnamenti della Corte
La sentenza in commento afferma diversi e importanti principi in materia di emissione di fatture concernenti operazioni inesistenti.
Innanzitutto, vi si afferma che la fatturazione in acconto relativa alla vendita di diritti immobiliari può ricondursi a “operazioni reali” e quindi non essere considerata fittizia, soltanto se supportata da un’idonea documentazione giuridica, rappresentata, nel caso di specie, dalla stipula di un contratto preliminare di vendita. In ogni caso, dopo aver rilevato l’inesistenza delle fatture in acconto per carenza di documentazione, a nulla rileva che la compravendita sia poi realmente avvenuta in una data successiva in quanto, detta evenienza non può sanare a posteriori e con effetto ex tunc l’inesistenza delle operazioni, la cui verifica va fatta sempre con riferimento al momento di emissione delle fatture.

Resta comunque inteso che secondo il richiamato articolo 21, comma 7, “… se viene emessa fattura per operazioni inesistenti (…) l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.
Altro principio molto importante è quello secondo cui la nota di credito può essere presa in considerazione a “storno” della fattura inesistente solamente se l’emittente si sia per tempo attivato al fine di prevenire il rischio di una perdita del gettito fiscale.
Tale tesi è conforme al principio espresso dalla Corte di giustizia (sentenza 19 settembre 2000, causa C-454/98) secondo cui, qualora si sia preservato il pericolo di danno erariale, inteso come eliminazione del rischio di perdite per le entrate tributarie, ritorna in auge il principio di neutralità fiscale dell'Iva, in base al quale, anche “…l'imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata”.
L’emittente della fattura inesistente dovrà, pertanto, dimostrare che la fattura annullata con la nota di credito sia stata ritirata e distrutta prima che il destinatario l’abbia utilizzata nel conteggio dell'imposta da lui stesso dovuta. A tal proposito, si ricorda, infatti, che secondo l’indirizzo prevalente della Suprema corte (sentenze 12353/2005 e 7289/2001) la fattura per operazioni inesistenti non può essere portata in detrazione dal destinatario. Ciò in quanto, in tali casi verrebbe a mancare il presupposto per la detraibilità previsto dall’articolo 19 del Dpr 633/1972, inteso quale sussistenza di un “reale” acquisto di beni e/o servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.


Fonte: Agenzia Entrate

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