Con sentenza 20449 del 6 ottobre, la Corte di cassazione torna a fare il punto sulle indagini bancarie e la forza presuntiva dei risultati ottenuti.
Al centro della vicenda una verifica condotta dalla Guardia di finanza a carico di una società di intermediazione immobiliare a ristretta base familiare.
Prima circostanza sospetta rilevata dai militari, l’inesistenza di un conto corrente intestato alla stessa. Campanello d’allarme che, unitamente alla natura intrinseca della compagine societaria, induce i verificatori ad allargare l’ambito di investigazione ai rapporti e conti dei soggetti “vicini” alla società: soci e familiari degli stessi. Risultato: emergono rilevanti movimentazioni bancarie che gli stessi contribuenti non riescono a giustificare.

L’Agenzia delle Entrate procede, quindi, a emettere un avviso di accertamento sulla scorta delle risultanze bancarie.
La società impugna e le sue ragioni vengono accolte dai giudici di merito che contestano all’Amministrazione di non aver puntualmente riferito le movimentazioni ai proventi della società.

Tocca alla Cassazione, in aderenza al consolidato filone giurisprudenziale, sciogliere gli equivoci e riportare ordine in materia.

La rilevanza dei dati bancari e il sistema delle presunzioni
Atteso che le indagini finanziarie costituiscono uno strumento incisivo e dai risultati ragionevolmente affidabili, perché analitici e specificamente imputabili al contribuente, ma anche un mezzo potenzialmente lesivo per la particolare invasività nella sfera soggettiva, si pone il problema, dal lato dell’Amministrazione, di individuare quando procedere con tale procedura.
L’Agenzia delle Entrate ne suggerisce l’utilizzo in presenza di gravi indizi di evasione o di soggetti altamente sospetti, quali, ad esempio, gli “Et” (evasori totali), oppure nelle situazioni in cui, a fronte di un controllo svolto con altri metodi, permanga un significativo divario tra il volume d’affari e i redditi accertati, oppure ancora quando il risultato della verifica non sia in linea con le realtà osservabili (condizioni di esercizio dell’attività, potenziale capacità reddituale, consistenza del suo patrimonio) ovvero con altri elementi di valutazione.
La bontà dei risultati aumenta se l’indagine viene allargata ai soggetti “vicini” a quello sottoposto a indagine, quali familiari o intestatari di comodo di conti la cui disponibilità rientra fattivamente nella sfera del primo.

Il caso in commento è esempio efficace di questa casistica e i risultati ottenuti dimostrano che l’indagine sui conti degli attori veri della società è oggettivamente incensurabile.
Pertanto, utilizzare sapientemente questo strumento significa non solo incrociare i dati dei vari conti formalmente di proprietà dell’indagato, ma soprattutto ricostruire i movimenti di entrate e uscite da e verso quelli fittiziamente intestati a terzi.

Attualmente il sistema trova la sua regolamentazione negli articoli 7 del Dpr 605/1973 e 32, comma 1, n. 7, del Dpr 600/1973, e la sua valenza probatoria nel comma 2, n. 2, medesimo articolo.
I poteri sopra indicati, più che costituire un metodo di accertamento, configurano degli strumenti di indagine: le risultanze bancarie e finanziarie forniscono materiale per la prova dell’evasione.
Alla base dell’avviso che viene emesso vi è, infatti, un’attività istruttoria incentrata sulle indagini finanziarie in modo autonomo o a completamento delle ricerche documentali o dell’attività istruttoria esterna, come nel caso di specie.

Quanto alla valenza probatoria, la disposizione dell’articolo 32, comma 1, n. 2, del Dpr 600/1973, che introduce la facoltà per l’Amministrazione finanziaria di porre i dati bancari “a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41”, è da sempre stata letta dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis, Cassazione 23852/2009) come presunzione legale di tipo relativo. La conseguente prova contraria è di fatto rinvenibile nelle circostanze di seguito riportate testualmente: “se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta”, “o che non hanno rilevanza allo stesso fine”.

L’iter logico-giuridico della pronuncia
E’ la mancata dimostrazione delle circostanze giustificative che ha comportato nel caso in commento la capitolazione delle ragioni del contribuente. Schematizzando:
la rilevazione per opera dell’Amministrazione dei movimenti in entrata e uscita su conti correnti formalmente intestati a terzi, congiunti del contribuente persona fisica o dell’amministratore di società, ma connessi o collegati al reddito del contribuente, fa scattare la presunzione di ricavi non annotati
tale presunzione comporta l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente
il contribuente ha, pertanto, l’onere di reagire alle contestazioni, dimostrando che le movimentazioni rilevate “sono già state tenute in conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta” o “non sono rilevanti per il reddito stesso”.

Nel caso di specie, vi è poi un elemento significativo che gioca contro l’inerzia del contribuente che non contesta la presunzione: la cospicua entità delle movimentazioni stesse.
La Corte, infatti, sottolinea che, come aveva già avuto modo di rilevare in passate pronunce (Cassazione, 18083/2010 e 374/2009), quando le movimentazioni sono consistenti, se gli amministratori o i terzi non danno una valida giustificazione alle entrate e uscite rilevate non è possibile superare la presunzione di ricavi non annotati.


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top