Con la sentenza 20580 del 7 ottobre, la Corte di cassazione ha aggiunto un altro tassello all’orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di onere della prova nell’esercizio del diritto di detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti. La pronuncia ribadisce, infatti, il principio secondo cui, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione d’imposta per l’acquisizione di beni o servizi, spetta a quest’ultimo provare la legittimità e la correttezza della diminuzione operata mediante l’esibizione delle corrispondenti fatture di acquisto annotate nell’apposito registro.

I fatti in causa
La sentenza trae origine da un avviso di accertamento, ai fini dell’Iva, con il quale l’Amministrazione finanziaria rettificava l’imposta relativa agli acquisti indicata in dichiarazione, in mancanza delle scritture contabili obbligatorie richieste dall’ufficio con apposito questionario ma non esibite dal contribuente.

Nel giudizio di merito d’appello, l’avviso di accertamento era annullato sul presupposto – rivelatosi errato in sede di legittimità – che, in caso di mancata esibizione dei documenti, in corso di accesso, verifica o ispezione, fattore caratterizzante deve ravvisarsi nell’intenzionalità del comportamento del contribuente e non certo nella momentanea irreperibilità di detti documenti o nell’indisponibilità degli stessi. Conseguentemente, era ritenuta illegittima la rettifica operata dall’ufficio sulla base della mancata risposta del contribuente al questionario che gli era stato notificato.

In particolare, secondo i giudici d’appello, l’ufficio avrebbe dovuto effettuare, preliminarmente alla rettifica, un’ispezione presso il contribuente – nel caso di specie curatela fallimentare – per verificare se i documenti in possesso di quest’ultimo consentivano o meno una ricostruzione delle operazioni d’acquisto. Ciò in considerazione della circostanza che l’avviso di accertamento non scaturiva da un verbale di ispezione che avrebbe consentito un grado di certezza in merito all’inesistenza delle scritture o al rifiuto della loro esibizione.

Avverso la decisione dei giudici di appello ricorreva in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, sostenendo l’illogicità della motivazione della sentenza di merito per violazione del principio dell’onere della prova, che graverebbe su chi invoca il diritto alla detrazione e non su chi nega la sussistenza del diritto per mancanza della prescritta documentazione giustificativa.

Il giudizio della Corte
La Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia, ha ribadito il proprio orientamento consolidato secondo cui, quando il contribuente non è in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione dell’Iva, non spetta all’Amministrazione operare un esame incrociato dei dati contabili, ma al contribuente attivarsi attraverso la ricostruzione del contenuto delle fatture emesse, con l’acquisizione presso i fornitori della copia delle stesse.
L’ufficio, pertanto, può procedere alla rettifica, indipendentemente dall’ispezione della contabilità del contribuente, quando l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione risulti da questionari.

La Corte sul punto è netta.
Spetta al contribuente l’onere di provare la legittimità e la correttezza della detrazione operata mediante l’esibizione delle corrispondenti fatture di acquisto annotate nell’apposito registro. Onere della prova di cui il contribuente non può essere esonerato e che non si trasferisce in capo all’Amministrazione finanziaria per il solo fatto della sussistenza di circostanze tali da rendere difficoltosa la prova dei fatti controversi.

In proposito, la Cassazione richiama i propri precedenti giurisprudenziali concernenti le ipotesi di furto e distruzione per incendio della documentazione del contribuente, con i quali sono state definite le condizioni che devono sussistere affinché gli stessi possano fornire la dimostrazione dei fatti controversi.
In particolare – rammenta la Suprema corte – la denuncia di furto non giustifica di per sé i fatti contestati se priva della precisa indicazione riguardante le singole fatture e il loro contenuto specifico. Altresì, non è di per sé sufficiente a dare prova dei fatti controversi l’incolpevole impossibilità del contribuente di produrre le fatture e il registro andati distrutti a causa di incendio ovvero di acquisirle presso i fornitori atteso che, in base all’’articolo 2724, n. 3, del codice civile, la perdita incolpevole del documento occorrente alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole non costituisce motivo di esenzione dall’onere della prova, né trasferisce lo stesso a carico dell’ufficio, ma autorizza il ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni, in deroga ai limiti per essa stabiliti.

Giova evidenziare che, nel caso esaminato dalla Corte, il contribuente, ancorché fosse privo delle fatture di acquisto e delle annotazioni delle stesse riportate nei registri, non forniva, comunque, elementi di prova in ordine alla spettanza del diritto alla detrazione dell’Iva assolta.

La decisione di legittimità, pertanto, conferma la correttezza dell’operato dell’Agenzia delle Entrate, che ha recuperato l’imposta relativa agli acquisti indicata in dichiarazione, in mancanza delle scritture contabili obbligatorie, richieste al contribuente con apposito questionario ma da questo non esibite. Peraltro, la Suprema corte rammenta come – pur non essendo rilevante nel caso in esame – il solo fatto materiale dell’omessa conservazione delle scritture contabili dà titolo all’ufficio per procedere all’accertamento induttivo a prescindere dalla sussistenza di una responsabilità a qualunque titolo del contribuente in ordine all’omissione delle scritture contabili.
In altri termini, precisano i giudici – richiamando il proprio orientamento in fattispecie di documentazione distrutta da un incendio del quale il contribuente non era stato ritenuto responsabile –, il potere dell’ufficio di procedere ad accertamento induttivo sussiste indipendentemente dalla circostanza che l’omissione delle scritture contabili sia conseguenza di un’azione cosciente e volontaria, prima ancora che colposa o dolosa o che l’evento non sia stato evitabile anche usando la massima diligenza.


Fonte: Agenzia Entrate

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