In caso di incendio della documentazione contabile, il contribuente può opporsi all’accertamento induttivo anche mediante prova testimoniale, ma se non riesce a giustificare i versamenti sui propri conti correnti bancari l’atto impositivo resta valido.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con sentenza n. 587 del 15 gennaio 2010, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, spiegando anche che gli elementi acquisiti a seguito di una ricerca sui conti correnti invertono comunque l’onere probatorio sul contribuente.

Il fatto
La sentenza della Commissione tributaria regionale, ora opposta in Cassazione, rigettando l’appello dell’ufficio, ha confermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso a seguito di indagini bancarie nei confronti di un imprenditore individuale. Quest’ultimo ha asserito di non aver potuto eccepire nulla contro la contestazione perché la documentazione (quella prevista dall’articolo 22 del Dpr 600/1973 e dall’articolo 39 del Dpr 633/1972), per cause assolutamente accidentali, era andata distrutta da un incendio.
Il giudice a quo, sposando la tesi del contribuente, ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria ha instaurato il contenzioso senza che però ne sussistessero i presupposti in quanto le indagini bancarie esaminate in modo acritico dall’ufficio non potevano fare emergere a carico del verificato presunzioni precise e concordanti. Non solo. Il giudice del riesame aveva anche rilevato come i dati bancari non fossero adeguati a rappresentare la base di un accertamento induttivo e che, in fondo, il privato non avesse alcuna colpa se le scritture erano andate distrutte. Sostanzialmente, quindi, la circostanza che il privato non avesse più la documentazione non legittimava l’Amministrazione a ricorrere alle indagini bancarie e, dunque, alla ricostruzione induttiva del reddito.

La sentenza 587/2010
Di segno opposto a quella dei giudici di merito la posizione della Cassazione. L’Agenzia delle Entrate, ricorrente, aveva chiesto al giudice di legittimità di chiarire se, in presenza di indagini finanziarie (recte, verifica bancaria) e, quindi, di presunzioni legali, il contribuente, privo di scritture contabili, fosse legittimato e di conseguenza giustificato a denunciare semplicemente la vicenda senza apportare documentazione sostitutiva o altri mezzi di prova a norma dell’articolo 2724, n. 3), cc, “dimostrato l’erroneità della ricostruzione della posizione reddituale operata dall’Ufficio”.

Argomenta la Suprema corte al riguardo che, secondo giurisprudenza consolidata (per tutte, più di recente, Cassazione 4589/2009), in presenza di elementi dotati di siffatto grado di certezza (quale è il potere di cui trattasi, previsto dall’articolo 32, comma 1, n. 2), Dpr 600/1973), l’onere probatorio si inverte automaticamente sul contribuente, ma che, comunque, lo stesso è onerato di dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili a operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, ex lege, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti bancari (e non dimostrati ai fini dell’utilizzazione reddituale).

Detto principio è accompagnato da un altrettanto consolidato orientamento di legittimità (v. Cassazione 10175/1995, 10238/1997, 13605/2003, 21233/2006, 9610/2008) secondo cui, nel caso di incolpevole impossibilità di produrre documentazione contabile a prova contraria, a causa di furto ovvero di incendio, in base alla regola generale contenuta nel richiamato articolo 2724, n. 3), cc, la perdita senza colpa del documento occorrente alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole non costituisce motivo di esclusione dall’onere della prova, né sposta il medesimo a carico dell’ufficio, ma rileva esclusivamente come situazione autorizzativa del contribuente per ricorrere alla prova per testimoni o per presunzioni, in deroga ai limiti a tal fine stabiliti nel processo tributario.

In tal modo, la Suprema corte ammette un’“eccezione” alla rigida regola contenuta nell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992 (norma che indirettamente mira a garantire il mantenimento dell’efficacia probatoria delle scritture contabili e dei documenti, impedendo che la distruzione di essi venga preordinata a fini di evasione fiscale), in base al quale nel processo tributario non sono “ammessi il giuramento e la prova testimoniale” (in proposito, occorre ricordare che, con sentenza 10962/1992, la terza sezione penale della Cassazione ha stabilito che l’evasione totale delle imposte e la mancata istituzione dei libri contabili obbligatori non escludono la configurabilità della frode per distruzione od occultamento di documenti contabili dal momento che l’evasore avrebbe dovuto conservare tutte le altre scritture prescritte dalla normativa fiscale).

In tal caso, a ben vedere, la Corte è stata flessibile per forza di cose poiché, in caso contrario, il contribuente, con i documenti andati distrutti da un incendio piuttosto che sottratti da terzi, avrebbe potuto avere ragione a prescindere dal loro contenuto. Infatti, soltanto l’omessa manifestazione di volersi avvalere di ulteriori mezzi istruttori comporta il mancato assolvimento degli oneri probatori e il rigetto del ricorso (Cassazione 21233/2006).

Osservazioni
Sull’argomento della perdita o distruzione accidentale o furto dei documenti contabili c’è da osservare che manca nell’ordinamento una norma specifica che ne disciplini le conseguenze, ad eccezione dell’articolo 39, comma 2, lettera c), Dpr 600/1973, dove si dichiara che, qualora le scritture contabili non siano disponibili per “causa di forza maggiore”, viene attribuito all’ufficio il potere di determinazione induttiva del reddito, avvalendosi anche di presunzioni semplici, ancorché prive dei requisiti di gravita precisione e concordanza (articolo 2729 cc).

La causa di forza maggiore, in linea generale, è quella scriminante in cui l’evento si manifesta malgrado l’adozione di un comportamento diligente (bonus pater familias). Per effetto di tale situazione normativa, è evidente come sia abbastanza problematico il comportamento che il contribuente deve seguire nel caso in cui le scritture, per motivi indipendenti dalla propria volontà, vengano perdute. L’unica conclusione certa che si può trarre dall’interpretazione della norma sopra richiamata è che, in sede di controllo, l’ufficio dovrà adottare l’accertamento induttivo e non quello analitico, non essendo possibile basarlo sulle scritture contabili in quanto mancanti. Ciò, comunque, non significa che il contribuente, che nonostante la propria buona volontà abbia avuto distrutti o sottratti i documenti e le scritture contabili, sia esonerato dal rimediare al danno.

Al contrario, la giurisprudenza concorda nell’affermare che il contribuente, successivamente all’evento dannoso, abbia il dovere di adoperarsi per ricostruire i dati e gli elementi contenuti nelle scritture andate distrutte. Nella pronuncia 10238/1997, la Cassazione ha stabilito infatti che incombe al contribuente l’onere di provare l’affermata distruzione dei documenti contabili, in quanto, in base alle generalissime regole processuali, l’enunciazione di un fatto deve essere provata da chi lo adduce (“reus in excipiendo fit actor”).

Anche la stessa Amministrazione finanziaria (risoluzione 445366/1991) ha riconosciuto, non sussistendo ostacoli sotto il profilo normativo, l’evento di forza maggiore in presenza di furto di documentazione, regolarmente denunciato, non attribuibile a negligenza, con conseguente possibilità per il contribuente di adottare una procedura di “ricostruzione” contabile per la registrazione dei dati rilevanti ai fini dell’Iva.
È evidente che un comportamento positivo del contribuente, improntato alla attiva collaborazione nella ricostruzione delle scritture contabili, non potrà non essere favorevolmente valutato dal giudice nell’ambito del suo prudente apprezzamento.

La soluzione della prospettata problematica è oggi, comunque, meno incidente, considerato che oramai la contabilità è posta in essere - generalmente - in maniera informatica, senza sottacere la disciplina che ha semplificato la tenuta dei libri contabili. La soppressione dell’obbligo della bollatura e vidimazione dei registri Iva nonché del registro dei cespiti ammortizzabili permette agevolmente di poter ristampare in qualunque momento le scritture contabili, per cui, fermo restando che per il passato resta valida la regola stabilita dalla riferita giurisprudenza e dal citato documento di prassi, oggi si può ammettere una nuova istituzione del libri mancanti, numerando le pagine necessarie e provvedendo alla ristampa dei registri smarriti o distrutti. E’ anche utile a tal fine, prima di procedere alla ristampa dei registri che sono andati perduti, procedere con una denuncia alla competente autorità di pubblica sicurezza.

Il problema è più delicato nella diversa ipotesi in cui la perdita riguardi anche (o soltanto) le fatture e, in generale, i documenti probatori dei fatti di gestione (ricevute, corrispondenza commerciale, eccetera), nel qual caso il contribuente si vedrà addossato il gravoso compito di reperire dai propri interlocutori (clienti, fornitori, banche, eccetera) le copie mancanti, non essendo onere dell’Amministrazione procedere a un esame incrociato dei dati dei diversi contribuenti.

Da ultimo, resta da ricordare che l’articolo 10 del Dlgs 74/2000punisce con la reclusione chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.


Fonte: Agenzia Entrate

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