Conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, le Sezioni Unite della Cassazione ribadiscono che non sono esenti da IVA gli acquisti di beni destinati ad un’attività a sua volta esentata (ad esempio, quella sanitaria), in quanto l’esenzione si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un’attività esentata senza poter detrarre la relativa imposta. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione confermano la fine delle speranze per i contribuenti che hanno chiesto ai giudici tributari il rimborso dell’IVA pagata sugli acquisti afferente attività svolta in regime di esenzione. Con la sentenza n. 355 del 13 gennaio 2010 la Suprema Corte, conformemente alla propria giurisprudenza e a quella della Corte di Giustizia CE, afferma che l’esenzione prevista dall’art. 13, parte B, lettera c), della VI direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE (ora art. 136 della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006) dev’essere interpretata nel senso che l’esenzione da essa prevista si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un’attività esentata senza poter detrarre la relativa imposta.

Conseguentemente, non possono beneficiare di esenzione da IVA gli acquisti di beni solo perchè destinati a soggetti che effettuano (a valle) operazioni esenti.

I contribuenti che svolgono operazioni esenti, come ad esempio i soggetti che operano nel settore sanitario, sostenevano il diritto di ottenere il rimborso dell’IVA pagata sugli acquisti di beni, sulla base dell’asserito mancato recepimento della normativa comunitaria che, secondo questa ottica interpretativa, riconosceva a detti soggetti la possibilità di effettuare gli acquisti recuperando l’imposta ad essi afferente.

In un primo momento, questa linea interpretativa era risultata vincente presso i giudici di merito (vedi, tra le tante, Comm. trib. reg. Lazio, 7 marzo 2005, n. 88 e 21 settembre 2001, n. 61; Comm. trib. prov. Milano, 17 luglio 2003; n. 125).

Secondo l’Amministrazione Finanziaria (circolare n. 3/E del 23 gennaio 2007) la disposizione citata andava interpretata, invece, come riferita alle operazioni “a valle” compiute dal soggetto passivo, nel senso di ritenere applicabile l’esenzione da IVA per le “cessioni” (forniture) di beni a sua volta acquistati nell’esercizio di un'attività esentata, “ove questi beni non abbiano formato oggetto d'un diritto a deduzione”.

In pratica, mentre gli operatori dei settori c.d. “esenti” ritenevano che la suddetta disposizione comunitaria sancisse l’esenzione da IVA per tutti gli acquisti di beni dagli stessi realizzati (esenzione “a monte”), l’Amministrazione Finanziaria riferiva tale norma (correttamente, come diranno poi la giurisprudenza comunitaria e quella di legittimità) alle cessioni di beni a sua volta acquistati senza poter detrarre la relativa imposta (esenzione “a valle”).

La questione, come detto, è stata risolta dalla Corte di Giustizia CE, Sez. V, che, con ordinanza 6 luglio 2006, C-18/05 e C-155/05, ha affermato che la citata norma comunitaria deve essere interpretata nel senso che l'esenzione da essa prevista si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un'attività esentata in forza di tale articolo, in quanto l'IVA versata in occasione dell'acquisto iniziale dei detti beni non abbia formato oggetto di un diritto a detrazione.

La norma, quindi, intende evitare la doppia imposizione su beni che, per effetto del meccanismo di applicazione dell’imposta – che consente la detrazione dell’IVA “nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta” – siano stati tassati all’atto dell’acquisto da parte di un soggetto che non ha potuto esercitare la detrazione perché effettua operazioni esenti e che, all’atto della (eventuale) successiva rivendita sarebbero di nuovo assoggettati ad imposta.

La sentenza della Corte di Giustizia è stata recepita dalla giurisprudenza di legittimità, con pronunce conformi a quella che qui si commenta (si veda Cass., SS. UU., 20 gennaio 2009 nn. 4813 e 4814; Cass., SS. UU., 31 luglio 2008 n. 20752).

Peraltro, l’interpretazione della giurisprudenza comunitaria è stata definitivamente confermata dall’art. 136 della nuova direttiva c.d. “di rifusione” 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, il quale stabilisce che l’esenzione si applica alle “cessioni di beni, già destinati esclusivamente ad un'attività esente … ove questi beni non abbiano formato oggetto di un diritto a detrazione”.

Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha correttamente osservato che “non si tratta, tuttavia, di una innovazione, atteso che la nuova direttiva si presenta come "rifusione" delle vecchie disposizioni, che di fatto sono state lasciate inalterate, salvo una più razionale ed organica presentazione delle stesse” (circolare n. 3/E, cit.).

(Cassazione civile Sentenza, Sez. SS.UU., 13/01/2010, n. 355)


Fonte: IPSOA

0 commenti:

 
Top