La dichiarazione di destinazione ad attività professionale contenuta nell'atto pubblico di compravendita di un immobile allo scopo di sottrarlo alla comunione legale dei coniugi non ha efficacia negoziale; però, per quanto riguarda l'efficacia dell'esclusione verso terzi, il sopravvenuto accertamento della comunione legale non è opponibile al terzo acquirente in buona fede.p>La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite è da tempo oggetto di controversa giurisprudenza.

Si dibatte infatti se i coniugi in comunione legale dispongono di diritti (quale quello di alienazione) sui beni inclusi nella comunione e quali siano gli eventuali effetti di tali disposizioni per i terzi acquirenti qualora sia accertata la comunione legale sul bene alienato.

Le SS.UU. della Cassazione civile stabiliscono che la dichiarazione di destinazione ad attività professionale contenuta nell’atto pubblico di compravendita di un immobile allo scopo di sottrarlo alla comunione legale dei coniugi non ha efficacia negoziale.

La lettera della norma prevede che il bene sia escluso dalla comunione solo nei casi tassativamente previsti.

Infatti ex art. 179 comma 2 c.c., deve trattarsi di una dichiarazione ricognitiva, che ha portata confessoria quando risulti descrittiva di una situazione di fatto; diversamente è una mera dichiarazione di intenti.

Il coniuge non acquirente potrà sempre proporre azione di accertamento della comunione legale e a quel punto sarà determinante la verifica dell’effettiva esclusione del bene dalla comunione conseguente alla dichiarazione di destinazione.

Per quanto riguarda l’efficacia dell’esclusione verso terzi, il sopravvenuto accertamento della comunione legale non è opponibile al terzo acquirente in buona fede.

(Cassazione civile Sentenza, Sez. SS.UU., 28/10/2009, n. 22755)

Fonte: IPSOA

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