Sottoposti a tassazione con ritenuta a titolo di acconto del 20% i compensi corrisposti per l'attività di assistenza e consulenza legale svolta dalla base fissa di un'associazione professionale estera. A tali redditi, di lavoro autonomo, si applicano le regole di determinazione proprie degli enti non commerciali non residenti.

A precisarlo la risoluzione 154/E dell'11 giugno, che risponde all'interpello di una società inglese che intende aprire una sede operativa in Italia.

Da chiarire, l'applicazione dell'articolo 25 del Dpr 600/1973, ovvero se, nel caso specifico, sulle somme percepite per i servizi prestati dalla dependance fissata in Italia, ma non residente, debba essere effettuata trattenuta fiscale.

La società inglese non ha dubbi sulla soluzione. Sostiene, infatti, che i pagamenti in questione non debbano subire la ritenuta d'acconto del 20% (articolo 25, primo comma), in quanto prevista soltanto per i compensi corrisposti a soggetti residenti, né quella a titolo d'imposta del 30%, stabilita per le imprese estere, perché il comma 2 dello stesso articolo 25 esclude da tale trattamento le stabili organizzazioni.

È vero che, l'istante stesso chiarisce, nel caso descritto non si può parlare di "stabile organizzazione" (definizione riferibile esclusivamente ad attività di tipo imprenditoriale) ma piuttosto, trattandosi di lavoro autonomo, di "base fissa", tuttavia è del parere che i termini possano essere equiparati, soprattutto a seguito della cancellazione dell'articolo 14 del modello Ocse, che ne precisava la distinzione.

Più articolato il parere dell'Agenzia.

Innanzitutto, il documento di prassi rimanda alla risoluzione 80/2007, con la quale è stato precisato che "i redditi prodotti in Italia dalla base fissa di un'associazione tra professionisti estera seguono le regole di determinazione proprie degli enti non commerciali non residenti (…) in quanto la predetta base fissa non svolge un'attività commerciale".

Quindi, i corrispettivi ricevuti per i servizi di consulenza e assistenza legale effettuati in Italia (e soltanto in Italia), dovranno essere determinati, ai fini Irpef, secondo la loro categoria reddituale e cioè come derivanti da lavoro autonomo (articolo 53 e seguenti del Tuir) e indicati nel quadro RE del modello Unico Enti non commerciali ed equiparati.

Con la stessa risoluzione, le Entrate hanno inoltre puntualizzato che le somme ricevute per la professione svolta all'interno dello Stato devono essere sottoposte alla ritenuta del 20% a titolo d'acconto Irpef come stabilito, appunto, dal citato articolo 25.

In sostanza, valutata l'effettiva operatività dell'associazione estera nel territorio, l'attività svolta, ai fini fiscali, viene assimilata a quella di un professionista residente.

Non condivisibile, infine, quanto sostenuto nell'interpello a proposito di equiparazione tra "stabile organizzazione" e "base fissa". L'Italia ha infatti formalmente espresso riserva circa l'annullamento della distinzione tra le due definizioni per continuare a includere, nei trattati contro le doppie imposizioni, un articolo specifico al fine di differenziare i redditi derivanti da attività commerciale da quelli provenienti da lavoro professionale.


Fonte: Agenzia Entrate

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