L'imposta sul valore aggiunto si applica essenzialmente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi, ovviamente nell'ipotesi che le suddette operazioni siano messe in essere nell'esercizio di impresa arte o professione. Ogni operazione, inoltre, si rappresenta autonomamente ai fini della tassazione, intendendosi con ciò l'impossibilità di "compensare" i corrispettivi relativi a scambi di prestazioni o di beni, ovvero di prestazioni a fronte di cessione di beni o viceversa. In tal senso, l'articolo 11 del Dpr 633/72 stabilisce, infatti, che in caso di cessione di beni, ovvero prestazioni di servizi, a fronte di cessione di altri beni, il corrispettivo di ogni singola cessione è tassato autonomamente (con relativa aliquota). In relazione a ciò, la lettera d) del secondo comma dell'articolo 13 del Dpr 633/72 individua come base imponibile delle operazioni permutative il "valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto di ciascuna di esse".

In pratica, ciò comporta che se l'operazione è messa in campo da soggetti d'imposta le due cessioni saranno imponibili ed entrambi eserciteranno la detrazione. Viceversa, per la permuta tra un soggetto passivo e un privato, l'imponibilità sarà prevista solo per la cessione del soggetto passivo.

Ai fini dell'inquadramento generale delle operazioni in esame va, altresì, riportato quanto affermato dalla risoluzione 141/2000, che rileva come possa parlarsi di permuta di beni allorché l'operazione si basi su un "contratto ad effetti reali", intendendosi con tale definizione quei contratti che "producono anche effetti reali, che cioè valgono a trasferire o a costituire diritti reali" (A. Trabucchi, "Istituzioni di Diritto Civile").

Tuttavia, è da sottolineare come la Corte di cassazione (sentenza 11265 del 27/8/2001) abbia ribadito che, in tema di Iva, l'operazione permutativa, prevista "dal legislatore tributario nell'art. 11 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, relativamente al quale viene stabilito il principio della tassazione separata per ciascuna delle cessioni o delle prestazioni che la integrano, ha, con evidenza, un oggetto più ampio rispetto a quello della permuta civilistica (e cioè, scambio di cosa con cosa, ovvero di diritto con diritto: art. 1552 cod. civ.)".

Orbene, per quanto sopra enunciato, si arguisce facilmente come elemento di particolare rilevanza sia l'individuazione del momento di esigibilità dell'imposta, tenendo naturalmente conto del disposto dell'articolo 6 del decreto Iva. Quest'ultimo, infatti, stabilisce che l'esigibilità dell'imposta si realizza, per i beni mobili, all'atto della consegna, per quelli immobili nel momento della stipula. Viceversa, per le prestazioni di servizi l'esigibilità si realizza all'atto del pagamento del corrispettivo. Tuttavia, ai fini della problematica qui trattata, va ricordato che il comma 4 del predetto articolo 6 stabilisce che, se antecedentemente al verificarsi degli eventi, come sopra indicati, venga emessa fattura o venga pagato il corrispettivo, anche parzialmente, l'esigibilità dell'imposta deve intendersi anticipata rispetto agli stessi.

Volendo riassumere si può avere la seguente casistica:

a) cessione di beni a fronte di cessione di altri beni. Il principio generale individua il momento di consegna dei beni; pertanto, in caso di consegna non contemporanea, la prima cessione rappresenterà il momento di esigibilità dell'imposta, poiché esso costituisce l'inizio dell'operazione;

b) cessione di beni a fronte di prestazione di servizi e viceversa. Secondo il principio generale, per le prestazioni di servizio l'imposta è esigibile all'atto del pagamento; si deve quindi considerare la cessione di beni come tale e, pertanto, all'atto di questa si realizzerà l'esigibilità. Ovviamente, nel caso in cui dovessero essere ceduti dei beni immobili, si dovrà tener conto della data di stipula dell'atto. Viceversa, nel caso in cui la prestazione di servizi precedesse la cessione (consegna) dei beni, costituendo il pagamento a fronte della cessione medesima, farà anticipare l'esigibilità a norma del comma 4 dell'articolo 6;

c) prestazioni di servizi a fronte di altre prestazioni. Secondo il principio generale già enunciato, per le prestazioni di servizi l'imposta si rende esigibile all'atto del pagamento; nella fattispecie, pertanto, la prestazione che si svolgerà per prima rappresenterà quest'ultimo e determinerà l'esigibilità.

Aree edificabili a fronte di immobili da costruirsi

Il quadro sopra riportato non copre una possibilità che, di fatto, nell'ambito dell'attività imprenditoriale, spesso si realizza, ovvero la permuta di un bene a fronte di uno futuro e, quindi, allo stato non ancora esistente.

La risoluzione 460210 del 1989 ha esaminato la fattispecie costituita dalla cessione di un terreno edificabile di proprietà di una persona fisica, non soggetto Iva, in cambio della costruzione di alcuni appartamenti, riconoscendo a tale operazione il carattere di permuta, anche se il requisito soggettivo (esercizio di impresa) non è riconoscibile al cedente del terreno, poiché questi è un privato.

Tuttavia, tale particolarità non inficia il carattere dell'operazione; pertanto, "i due beni dati in permuta sono da assoggettare autonomamente alle imposte relative (Iva e registro)". In tal modo, a norma del comma 2 dell'articolo 40 del Dpr 131/86, l'imposta di registro sarà applicata alla cessione non soggetta a Iva, secondo il principio di alternatività dei due tributi.

Tuttavia, nella fattispecie descritta, si rende necessario determinare il momento in cui l'Iva diventa esigibile, poiché, all'apparenza, la permuta dei beni non solo non avviene contemporaneamente, ma addirittura uno di essi (appartamenti) è allo stato ancora inesistente.

Orbene, nell'ipotesi esaminata, si dovrebbe considerare, trattandosi di acquisizione di beni immobili, la data della stipula come momento nel quale si realizza la predetta esigibilità. Ma è anche vero che la cessione immediata del terreno (corrispettivo) anticipa il momento dell'esigibilità poiché determina l'avvio dell'operazione.

Pertanto, la risoluzione afferma che "la cessione dei costruendi appartamenti deve essere assoggettata all'Iva, in quanto effettuata da un'impresa edile e il momento impositivo è quello della cessione del terreno in quanto esso ne costituisce il corrispettivo. Ciò anche in conformità a quanto precisato dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 4842 del 7 settembre 1982".

Tale assunto, peraltro, è stato confermato anche successivamente dalla Corte di cassazione che, in riferimento alla medesima fattispecie sopra riportata, ha affermato che chi riceve il terreno "ha in effetti ricevuto la prestazione dovutale, cioè un equivalente degli appartamenti promessi". Da ciò consegue, afferma la suprema Corte, che da quel momento sorge "l'obbligo di emettere fattura e corrispondere l'Iva" ed è ininfluente, agli effetti del suddetto obbligo, la circostanza che non si sia ancora eseguita la prestazione consistente nella consegna degli appartamenti (sentenza 10510 del 17/10/91).

Ovviamente, il criterio sopra riportato è applicabile anche nel caso in cui i soggetti coinvolti fossero entrambi soggetti Iva, rilevandosi solamente l'applicazione di tale medesima imposta.

Cessione di residuati

L'articolo 11 del Dpr 633/72, nel secondo periodo, tratta di una particolare ipotesi permutativa ovvero la cessione di residuati di lavorazione a fronte di prestazioni. In pratica, se i residuati sono inferiori al 5 per cento del corrispettivo in denaro pagato dal committente, non viene applicato il disposto dell'articolo 11 e, quindi, non vi sarà autonoma applicazione dell'imposta alle due operazioni, poiché l'acquisizione dei residuati sarà attratta nell'ambito del corrispettivo per la prestazione. Di conseguenza, il prestatore emetterà fattura pari al valore della prestazione maggiorata del valore dei residui di lavorazione.

Viceversa, nel caso in cui la percentuale del 5 per cento fosse superata, si avrà che il committente, anche cedente, fatturerà al prestatore il valore dei residui di lavorazione, mentre il prestatore, anche acquirente, fatturerà il corrispettivo della prestazione maggiorato del valore dei residui. Il valore del 5 per cento è rapportato al valore della prestazione e non al valore della merce.

La risoluzione 73 del 25/03/2003 ha affrontato la problematica relativa all'acquisizione di pezzi conseguenti alla sostituzione degli stessi, a seguito di una prestazione di manutenzione. I pezzi, che successivamente sono riutilizzati, vengono determinati unilateralmente nel loro valore. Onde stabilire se all'operazione è applicabile il disposto del citato articolo 11 (prestazione di servizi a fronte di cessione di beni), la risoluzione ritiene necessario verificare "se fra le parti viene posta in essere una compensazione tra il corrispettivo dovuto per i servizi di manutenzione (a titolo di assistenza tecnica e fornitura materiali), ed il valore delle componenti difettose prelevate". Pertanto, la risoluzione individua due ipotesi distinte che prevedono una diversa applicazione dell'imposizione a seconda dei casi:

1) Valorizzazione dei beni ceduti non prevista contrattualmente

In tale ipotesi, l'operazione di sostituzione e ritiro dei pezzi difettosi non rappresenta il pagamento, se pur parziale, del corrispettivo per la prestazione ricevuta. Essa, quindi, non riflette i caratteri "di un'autonoma operazione di cessione di beni" e "l'operazione di sostituzione/ritiro, essendo riferibile al corrispettivo complessivamente inteso, non è quindi da assoggettare a tassazione Iva come operazione autonoma, secondo le previsioni dell'art. 11, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972".

2) Valorizzazione dei beni ceduti prevista contrattualmente

In questo caso, viceversa, viene previsto "contrattualmente" che il ritiro dei pezzi sostituiti incida sul corrispettivo previsto per la manutenzione. In pratica, il corrispettivo viene pagato in parte con danaro e in parte attraverso il "valore economico riconosciuto alle componenti materiali ritirate". Conclude, pertanto, la risoluzione che in tale ipotesi "il complessivo valore della prestazione di manutenzione risulta costituito: dal corrispettivo "netto", determinato come sopra ricostruito (cioè il corrispettivo al netto del valore dei materiali ritirati, n.d.r.), nonché dal residuo valore economico delle componenti ritirate dal prestatore. Entrambi detti valori dovranno, dunque, essere assoggettati a tassazione IVA, costituendo il complessivo corrispettivo del servizio di manutenzione pattuito".

Va perciò considerato che il ritiro dei materiali "prefigura, per il committente dei servizi di manutenzione, un'autonoma operazione di cessione di componenti materiali, attraverso la quale questi ottiene la riduzione del corrispettivo dovuto per le prestazioni manutentive fruite. Per effetto della predetta cessione, sorgono in capo al medesimo committente dei servizi di manutenzione, se soggetto IVA, gli ordinari obblighi d'imposta previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972 relativamente alle cessioni di beni".

Tuttavia, la risoluzione precisa "che, qualora il committente dei servizi non sia soggetto IVA, sconterà tale imposta la sola prestazione di manutenzione fruita da quest'ultimo".

Operazioni permutative e ravvedimento

La risoluzione 113 del 2000 ha specificato che, nel caso in cui inizialmente le operazioni permutative non fossero individuate come tali, è possibile procedere alla loro regolarizzazione attraverso l'istituto del ravvedimento operoso. In sostanza, l'eventuale errata considerazione delle operazioni potrebbe comportare una omissione della fattura attiva e, conseguentemente, si potrebbero acquisire beni o servizi senza quest'ultima, con mancato versamento dell'imposta.

Relativamente alla mancata emissione della fattura, la risoluzione specifica che la regolarizzazione deve avvenire "prima della data di scadenza per la presentazione della dichiarazione Iva" e, sempre entro tale data, si dovrà procedere all'annotazione nei registri delle fatture attive e degli acquisti. Gli imponibili e l'imposta dovranno essere indicati nella dichiarazione relativa all'anno in cui si riferiscono le registrazioni regolarizzate.

La sanzione relativa alla mancata emissione della fattura è quella prevista dal combinato disposto dei comma 1 e 4 dell'articolo 6 del Dlgs 471/97 (dal 100 al 200 per cento dell'imposta non documentata, con un minimo di 516 euro). L'omissione può essere sanata, ai sensi del comma 1, lettera b), dell'articolo 13 del Dlgs 472/97, versando un quinto del minimo della sanzione prevista, entro la data sopra evidenziata.

Viceversa, la sanzione per l'acquisto effettuato senza che sia stata emessa fattura è quella prevista dal comma 8 dell'articolo 6 del citato Dlgs 471/97 (pari al 100 per cento dell'imposta con un minimo di 258 euro). Anche questa omissione può essere sanata in base al comma 1, lettera b), dell'articolo 13 del Dlgs 472/97.

La risoluzione 113/2000 specifica, infine, che potrà essere regolarizzata, oltre che la violazione prodromica sopra descritta (omessa fatturazione), anche la violazione indotta consistente nell'omesso versamento. In tal caso, la sanzione è del 30 per cento dell'importo non versato, sanabile ai sensi della lettera a) o b) del comma 1 dell'articolo 13 del Dlgs 472/97 (un ottavo del minimo, se la regolarizzazione avviene entro trenta giorni dalla violazione, un quinto del minimo, se avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è avvenuta la violazione).


Fonte: Agenzia Entrate

0 commenti:

 
Top