La Corte di cassazione, con la sentenza 12505/2014, fa proprio quanto stabilito dalla pronuncia dello stesso Collegio, citata da questa in commento, 29 gennaio 2008, n. 1921, in tema di decadenza dall'azione accertatrice dell'ufficio finanziario applicando il principio stabilito non riguardo all'imposta sull'incremento di valore degli immobili, ma a quella di registro.
Infatti, la cennata sentenza della Suprema corte aveva affermato come, nel quadro della nuova disciplina della riscossione dei tributi introdotta dal Dpr 28 gennaio 1988, n. 43, il disposto dell'articolo 17, comma 3, del Dpr 29 settembre 1973, n. 602 (secondo cui le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base agli accertamenti degli uffici debbono essere iscritte in ruoli formati e consegnati all'Intendente di finanza, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo) si applica anche alle imposte diverse da quelle sul reddito e quindi, oltre all'Iva, anche agli altri tributi indiretti specificamente richiamati dall'articolo 67 del Dpr 43/1988, tra i quali è ricompresa anche l'Invim.

La questione oggetto dell'intervento della Corte regolatrice del diritto in nota concerne, invece, la richiesta dell'ufficio finanziario di pagamento dell'imposta di registro dovuta dalle parti contrattuali a seguito di acquisto di un immobile, per il quale, peraltro, l'Agenzia del Territorio aveva rettificato la rendita catastale, innalzando il relativo valore.
In primo luogo, la pronuncia del Supremo collegio in rassegna si segnala nell'aver ritenuto corretto che l'ente impositore, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria regionale, avesse notificato un avviso di liquidazione invece di formare un ruolo, conformemente al nuovo sistema di riscossione dettato nell'articolo 17, comma 1, del Dpr 29 settembre 1973, n. 602, dal Dlgs 26 febbraio 1999, n. 46, il cui articolo 23 aveva statuito che le somme dovute dai contribuenti sono iscritte in ruoli resi esecutivi a pena di decadenza:
entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell'attività di liquidazione prevista dall'articolo 36-bis del Dpr 600/1973
entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell'attività di controllo formale prevista dall'articolo 36-ter del Dpr 600/1973
entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell'ufficio.
La giurisprudenza di legittimità è unanime, come risulta anche dalla citata sentenza della Cassazione del 2008, nel considerare applicabile tale disciplina anche ai tributi diversi da quelli "diretti", regolamentati - in tema di riscossione - dal suddetto decreto presidenziale del 1973, quali l'Iva e altri tributi indiretti che, anteriormente alla disciplina unica sulla riscossione, presentavano modalità diverse di richiesta al contribuente.
La pronuncia di legittimità in nota reputa irrilevante (e comunque "non ha comportato alcuna violazione del diritto di difesa e replica") la circostanza che, invece di procedere alla fase della riscossione coattiva mediante emissione del ruolo e notifica della relativa cartella di pagamento, l'ufficio avesse notificato un avviso di liquidazione, ritenuta necessaria per evidenziare che la sentenza di appello aveva mutato la base imponibile.

La rilevanza della decisione della Suprema corte emerge, in secondo luogo, dall'affermazione che, ai fini della tempestività della riscossione, "Tuttavia la definitività dell'accertamento deve essere riferita all'atto dell'Ufficio e non alla decisione giurisdizionale", con l'effetto di ritenere applicabile l'articolo 76, comma 2, del Dpr 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico dell'imposta di registro"), secondo il quale l'imposta deve essere richiesta a pena di decadenza entro il termine di tre anni decorrenti dalla notificazione della decisione delle commissioni tributarie ovvero dalla data in cui la stessa è divenuta definitiva.
In tal modo, il giudice di legittimità afferma, forse inconsciamente o dandolo per scontato, che la cennata previsione risulta derogatoria dell'efficacia del termine decennale di prescrizione del diritto sancito dall'articolo 2946 del codice civile, ritenuto - invece - applicabile a ogni tributo dalla recente giurisprudenza di legittimità come, ad esempio, nella sentenza 17 gennaio 2014, n. 842.

Nello stesso senso, la sentenza della Suprema corte 5 aprile 2013, n. 8380, ove si affermava che, in tema di imposta di registro, qualora la pretesa erariale si fondi su di una sentenza passata in giudicato, la relativa cartella esattoriale, avendo a oggetto un credito definitivamente accertato a seguito di contenzioso, e come tale avente titolo nella sentenza, va emessa entro il termine decennale di prescrizione previsto dall'articolo 78 della citata legge di registro del 1986, non trovando applicazione né il termine triennale di decadenza di cui all'articolo 76 del Dpr n.131, che concerne, invece, l'esercizio del potere di imposizione, né il termine annuale di decadenza sancito dall'articolo 17, lettera c), del Dpr 602/1972 (rilevante pro tempore), che attiene alle somme dovute in base agli accertamenti dell'ufficio divenuti definitivi per mancata impugnazione dell'atto impositivo che li contiene.
Infatti, viene ben evidenziato dalla citata decisione come la decadenza per la riscossione dei tributi richiesti con la notifica della cartella di pagamento prevista dall'articolo 17 del Dpr 602/1973 sia per le imposte dirette, sia per quelle indirette, concerne la sola ipotesi di pretesa fondata sulla notifica dell'atto amministrativo non impugnato e non anche in ipotesi di sentenza passata in giudicato.


Fonte: Agenzia Entrate

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