L'Amministrazione finanziaria ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione relativa (inerente al prezzo di vendita di un bene) in grado di pregiudicare il proprio diritto alla percezione dell’esatto tributo, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione.
L’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/1973 consente infatti agli uffici di procedere alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti sulla base di presunzioni semplici, purché provviste dei caratteri di gravità, precisione e concordanza: la simulazione costituisce semmai un effetto dell’attività di accertamento in tal modo compiuta, non potendo mai assurgere a elemento costitutivo della fattispecie tale che, ove non allegato e provato, comporti l’annullamento dell’atto impositivo.
Lo ha ribadito la Cassazione, con la sentenza n. 21158 dello scorso 8 ottobre che, confermando un orientamento consolidato nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

La vicenda processuale
A seguito di una verifica fiscale da parte della Guardia di finanza, l’Agenzia delle Entrate notificava a una società di capitali due avvisi di accertamento per gli anni 2002 e 2003 riprendendo, tra l’altro, a tassazione quote di ammortamento indebitamente dedotte in ordine all’acquisto di un ramo di azienda.
La rettifica si basava su una perizia di stima rinvenuta in sede di verifica attestante valori di avviamento e di beni strumentali del cespite acquistato inferiori a quelli dichiarati ai fini dell’ammortamento, e sull’incongruità del valore dell’avviamento rispetto ai criteri dettati dal Dpr 460/1996.

La Ctr, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava l’appello dell’Agenzia in quanto il quadro normativo di riferimento non consentirebbe di modificare i valori indicati dalle parti in un contratto di compravendita se non attraverso la dimostrazione (da parte dell’Amministrazione finanziaria quale attore in senso sostanziale) della simulazione dello stesso.

Nel successivo ricorso per cassazione, l’ufficio lamentava, tra l’altro, violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 39, comma primo, lettera d), del Dpr 600/1973 e 1415 del codice civile, per avere i giudici di secondo grado ritenuto non possibile la rettifica in assenza della prova della simulazione del contratto, in spregio alla norma che consente di rettificare il reddito dichiarato, anche in via induttiva, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti.

La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso delle Entrate e, per l’effetto, ha cassato la sentenza di secondo grado, con rinvio della controversia ad altra sezione della Ctr.

I giudici hanno chiarito come l’ufficio abbia fatto corretta applicazione delle disposizioni in materia di accertamento analitico-induttivo, in quanto la rideterminazione del valore delle quote di ammortamento dedotte era stata effettuata sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, rappresentate da una perizia di stima dei beni rinvenuta in sede di verifica (attestante un valore dei cespiti compravenduti inferiore a quelli dichiarati ai fini dell’ammortamento) e dall’incongruità del valore dell’avviamento rispetto ai criteri dettati dal Dpr 460/1996.
A tal fine non era quindi necessario allegare e provare la simulazione del contratto, rappresentando la stessa semplicemente un effetto della metodologia accertativa utilizzata, non un elemento costitutivo da provare.

Del resto, i giudici di legittimità hanno più volte chiarito che l’Amministrazione finanziaria ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione relativa (inerente al prezzo di vendita di un bene), in grado di pregiudicare il diritto dell’Amministrazione alla percezione dell’esatto tributo, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione, spettando poi al giudice tributario, in caso di contestazione, il potere di controllare “incidenter tantum” attraverso l’interpretazione del negozio ritenuto simulato, l’esattezza di tale accertamento, al fine di verificare la legittimità della pretesa tributaria: la prova della simulazione può essere offerta con qualsiasi mezzo, quindi anche attraverso presunzioni, purché dotate dei requisiti di cui all’articolo 2729 cc (cfr Cassazione, sentenze 1568/2014 e 1549/2007).

Ulteriori osservazioni
La simulazione è prevista dagli articoli 1414 e seguenti del codice civile. Con essa, le parti ostentano un negozio giuridico cui, con accordo simulatorio contestuale, decidono di non attribuire effetto alcuno (simulazione assoluta) o di attribuire effetti diversi rispetto a quelli relativi al contratto apparente (simulazione relativa). Questa ultima può, poi, essere oggettiva o soggettiva, a seconda che il negozio dissimulato differisca da quello simulato circa l’oggetto (ad esempio, nell’atto apparente si dichiara un prezzo molto inferiore a quello realmente pagato, al fine di eludere le imposte di registro) o circa i soggetti che ne sono parte.

La pronuncia in commento ha ulteriormente chiarito che l’Amministrazione finanziaria può in tal caso ricorrere alle consuete modalità accertative, soprattutto quelle basate su presunzioni gravi precise e concordanti, rappresentando la simulazione un effetto di tale attività e mai un elemento costitutivo da provare direttamente.


Fonte: Agenzia Entrate

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