La direttiva 69/335/CEE del Consiglio del 17 luglio 1969, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, modificata poi dalla direttiva 85/303/CEE del 10 giugno 1985, ed infine abrogata dalla direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008, aveva introdotto disposizioni atte ad armonizzare la tassazione indiretta della raccolta di capitali, con l’obiettivo principale di promuovere la libera circolazione dei capitali.

Le previsioni della direttiva comunitaria
La direttiva prevedeva, da un lato, l’introduzione di un’imposta unica sulla raccolta di capitali che doveva essere applicata una sola volta nel mercato comune e, dall’altro, la soppressione di tutte le altre imposte indirette che presentavano le stesse caratteristiche dell’imposta unica.
In particolare, l’imposta armonizzata sui conferimenti veniva applicata unicamente nello Stato in cui era situata la direzione effettiva della società e contestualmente venivano abolite le imposte di bollo sui titoli azionari ed obbligazionari nonché, salvo limitate eccezioni, altre imposte aventi le caratteristiche dell’imposta sui trasferimenti e dell’imposta di bollo.
Con le modifiche apportate dalla direttiva 85/303/CEE, viene lasciata agli Stati membri la facoltà di esentare o di assoggettare all’imposta, totalmente o parzialmente, le operazioni che rientrano nel relativo ambito di applicazione. Tale facoltà nasce dalla ponderazione di due diverse esigenze tra loro contrapposte: la necessità di soppressione dell’imposta in periodi di congiuntura economica al fine di promuovere il rilancio degli investimenti e le esigenze di gettito derivanti da tale imposta.

Le operazioni soggette a imposta
Per contemperare tali esigenze, quindi, la direttiva individua: le operazioni che potevano continuare ad essere soggette all’imposta (si tratta in particolare delle operazioni che alla data del 1° luglio 1984 avevano un’aliquota pari all’1%); le operazioni esentate dall’imposta (si tratta delle operazioni che alla data del 1° luglio 1984 erano oggetto di esenzioni o erano assoggettate a un’aliquota pari o inferiore allo 0,50% per motivi diversi da equità fiscale o ordine sociale); le operazioni che gli Stati membri possono esentare dall’imposta o assoggettare ad un’unica aliquota non superiore all’1% (si tratta delle operazioni diverse da quelle individuate ai punti precedenti).
Il termine fissato dalle disposizioni comunitarie per il recepimento negli ordinamenti nazionali della direttiva era il 1º gennaio 1986.Con la direttiva 2008/7/CE viene, infine, abrogata la direttiva 69/335/CEE, ma tale abrogazione è successiva ai fatti del procedimento principale.

Il diritto nazionale
L’articolo 145 della tariffa generale delle imposte di bollo portoghese (TabelaGeral do Imposto do Selo), nella versione in vigore alla data del 1° luglio 1984, prevedeva l’applicazione dell’imposta alle operazioni di rafforzamento o aumento di capitale delle società ad eccezione degli aumenti effettuati in denaro. Per le società di capitali, l’aliquota applicata era del 2%. Successivamente, con decreto del 1991, tali operazioni venivano esentate indipendentemente dalle modalità di conferimento. Con decreto del 2001, poi, veniva reintrodotta nuovamente l’imposta di bollo con un’aliquota dello 0,40%.

Procedimento principale e questione pregiudiziale
Il ricorrente era una società di capitali che effettuava tra il 2004 e il 2006, quattro operazioni di aumento di capitale mediante conversione di crediti detenuti dagli azionisti per prestazioni accessorie rese a favore della società. Su tali operazioni versava l’imposta di bollo e registro.
Successivamente presentava domanda di rimborso che veniva respinta dall’Amministrazione competente.
La società si rivolgeva quindi al Tribunale arbitrale in materia fiscale (Tribunal Arbitral Tributário) investendolo della controversia.
Il Tribunale, ritenendo di soddisfare tutte le condizioni previste all’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) che permettono il rinvio pregiudiziale alla Corte, decide di sospendere il procedimento e di sottoporre la seguente questione pregiudiziale: se le disposizioni comunitarie ostano ad una normativa nazionale che “assoggetta a imposta di bollo gli aumenti di capitale sociale di società di capitali realizzati mediante conversione, in capitale sociale, di crediti degli azionisti per prestazioni accessorie precedentemente effettuate a favore della società, anche se tali prestazioni accessorie sono state fatte in denaro, tenendo presente che, alla data del 1° luglio 1984, la normativa nazionale assoggettava detti aumenti di capitale, realizzati in tal modo, all’imposta di bollo del 2% e che alla stessa data esentava da imposta di bollo gli aumenti di capitale realizzati in denaro”.

Sulla competenza della Corte
La Corte, preliminarmente, esamina la ricevibilità della domanda da parte del Tribunal Arbitral Tributário al fine di stabilire se tale tribunale possa essere considerato un organo giurisdizionale di uno Stato membro.
Secondo costante giurisprudenza della Corte gli elementi che devono essere soddisfatti al fine di valutare la ricevibilità della domanda riguardano il fondamento legale dell’organo giurisdizionale, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, l’applicazione di norme giuridiche e l’indipendenza (i giudici comunitari in proposito ricordano la Sentenza Belov, C‑394/11).
Nel caso di specie, la Corte constata che i tribunali arbitrali in materia fiscale si pronunciano nell’ambito di un procedimento che si conclude con una decisione di natura giurisdizionale e ritiene che gli stessi soddisfino tutti gli elementi necessari per la ricevibilità.

Tali tribunali, infatti, traggono origine dalla legge (compaiono nell’elenco degli organi giurisdizionali nazionali e costituiscono un mezzo alternativo di risoluzione giurisdizionale delle controversie in materia fiscale), hanno carattere permanente (considerato ed interpretato in maniera sistemica e nella sua interezza), le loro decisioni sono vincolanti per le parti e, a differenza di un tribunale arbitrale in senso stretto, la loro competenza non è subordinata ad una espressa volontà delle parti ma la loro giurisdizione è obbligatoria per l’autorità fiscale e doganale, applicano norme di diritto ed è espressamente vietato il ricorso all’equità ed infine, ai suoi componenti è richiesta l’imparzialità e l’indipendenza (causa di impedimento all’esercizio dell’attività è l’esistenza, infatti, di legami familiari o professionali con una delle parti della controversia).
Da tutte queste considerazioni ne deriva che il Tribunal Arbitral Tributário soddisfa tutti gli elementi necessari per essere qualificato come organo giurisdizionale di uno Stato membro ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

Sulla questione pregiudiziale
La questione pregiudiziale è tesa a verificare se le disposizioni comunitarie ostino ad una normativa di uno Stato membro che reintroduce l’imposta di bollo su operazioni di aumento del capitale sociale di una società di capitali, che alla data del 1° luglio 1984 erano assoggettate a tale imposta, ma che successivamente ne sono state esentate.
La Corte, nel rilevare che le operazioni oggetto della controversia rientrano nell’ambito di applicazione dell’imposta sui conferimenti, chiarisce, innanzitutto, che la direttiva prevede l’obbligo “chiaro e incondizionato” degli Stati di esentare dall’imposta tutte le operazioni rientranti nell’ambito di applicazione della medesima direttiva che, alla data del 1° luglio 1984, fossero esentate o assoggettate ad imposta ad un’aliquota pari o inferiore allo 0,50%.
L’obbligo è riferibile alla Repubblica portoghese a partire dalla data di adesione di detto Stato all’Unione europea ovvero dal 1° gennaio 1986. A tale data la Repubblica poteva decidere, quindi, di continuare ad assoggettare all’imposta sui conferimenti le operazioni come quelle di cui al procedimento principale o meno.
Per quanto attiene alla possibilità per lo Stato membro di reintrodurre nel corso del 2001 l’imposta precedentemente abrogata, la Corte rileva che le disposizioni comunitarie non prevedono la specifica ipotesi di reintroduzione e quindi al fine di rispondere alla questione occorre esaminare le finalità delle disposizioni stesse.
La Corte sottolinea quindi che obiettivo della direttiva 85/303/CEE è sostanzialmente quello di limitare o eliminare l’imposta sui conferimenti ed è solo per evitare eventuali difficoltà di bilancio agli Stati membri che viene lasciata agli stessi la possibilità di mantenerla per le operazioni che presentavano un’aliquota superiore allo 0,50%. Tale possibilità di mantenimento però costituisce solo un’eccezione e non può essere intesa come autorizzazione alla reintroduzione dell’imposta stessa.


Fonte: Agenzia Entrate

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