Secondo quanto stabilito nel suo articolo 40, l'accordo See (Spazio economico europeo) prevede che non debbano sussistere restrizioni alla libera circolazione dei capitali. Laddove tale movimento di capitali, ovviamente, avvenga tra soggetti residenti nel territorio comunitario. In particolare, nell'allegato XII all'accordo stesso, intitolato proprio "Libera circolazione dei capitali", trovano spazio tutta una serie di disposizioni volte a regolamentare il movimento dei capitali tra gli Stati membri dell'unione europea.

La normativa tributaria nazionale
Secondo l'articolo 130 del codice portoghese delle imposte sul reddito delle persone fisiche, i soggetti residenti in altri Stati membri o i cittadini che risiedano per più di sei mesi fuori del territorio dello Stato hanno l'obbligo di designare un rappresentante fiscale. Rappresentante fiscale che a sua volta si impegna, nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, a esplicare i doveri di natura tributaria del soggetto rappresentato. Il comma 2 dell'articolo stabilisce che l'indicazione del soggetto rappresentante debba essere effettuata in sede di avvio di un attività oppure ogni qualvolta si abbia una modificazione. Indicazione che, però, sia supportata dall'accettazione del rappresentante. Il comma 3, per ultimo, regolamenta il regime delle sanzioni applicabili in caso di violazione dell'obbligo. Il decreto legge n. 463/1979 assume rilevanza, in merito alla questione di cui alla causa principale, nei suoi articoli 2 e 3 con cui prevede da una parte l'iscrizione a una centrale dell'Amministrazione tributaria per i soggetti residenti, dall'altra una iscrizione ad opera di mandatari fiscali, dietro compilazione di un formulario tipo, per i soggetti non residenti percipienti nel territorio nazionale redditi a prelievo cd. liberatorio. Resta da citare la circolare della direzione generale delle imposte n. 14/83 del 31 maggio 1993 alla luce della quale, precisamente nel punto n. 4, non si è tenuti a nominare un rappresentante fiscale nei casi in cui il soggetto non residente percepisca redditi assoggettati esclusivamente al cd. prelievo liberatorio.

La causa principale
Con lettera di diffida la Commissione europea richiamava la repubblica del Portogallo asserendo l'incompatibilità con il diritto dell'Unione della normativa nazionale volta a imporre l'obbligo di un rappresentante fiscale per i soggetti non residenti o per i cittadini che risiedano per più di sei mesi fuori dal territorio dello Stato. Con successiva lettera lo Stato portoghese si opponeva contestando le osservazioni rivolte dalla Commissione, che faceva seguito alla lettera di diffida con un parere motivato. Parere nel quale si invitava nel termine di due mesi a adeguare la normativa nazionale alle statuizioni comunitarie. Non trovando il dovuto riscontro alle richieste presentate, alla Commissione europea non è restata altra via che quella di proporre ricorso ai giudici della Corte di giustizia europea.

La questione pregiudiziale
Con il ricorso presentato la Commissione intende far valere il mancato rispetto degli adempimenti comunitari, da parte della Repubblica del Portogallo, sanciti nello specifico dalle disposizioni contenute negli articoli 18 e 56 Trattato CE oltre a quelle previste dall'accordo sullo spazio economico europeo (SEE). In altri termini, il ricorso è incentrato sull'inadempimento dovuto al fatto che una normativa nazionale non ottemperi ai principi sanciti dal diritto dell'Unione. Nella fattispecie, il principio in questione è quello della libera circolazione, o meglio del libero movimento dei capitali. Libera circolazione che risulta essere compromessa da una norma che imponga la nomina di un rappresentante fiscale per i redditi prodotti, in uno Stato, da soggetti non residenti. Quindi i togati europei sono tenuti a stabilire se nella fattispecie di cui alla causa principale sussista una violazione tale da costituire una restrizione alla libera circolazione dei capitali.

La posizione delle parti
E' opinione della Commissione europea che non possa ritenersi sufficiente, a giustificazione della persistenza della norma incriminata, il fatto che nell'ambito della stessa normativa tributaria nazionale vi sia una eccezione, per i redditi a cd. prelievo liberatorio, all'obbligo di indicare un rappresentante fiscale per i soggetti non residenti. Ciò tantomeno in considerazione del fatto che nell'ambito comunitario esistono precise direttive volte a disciplinare un sistema di aiuti reciproci, fra Stati membri, per il recupero di crediti per contributi, dazi ed imposte indirette e dirette. Senza considerare che nell'ambito dell'accordo sullo spazio economico europeo esistono convenzioni volte a consentire, ai fini fiscali, uno scambio di informazioni. Di tutt'altro parere è la Repubblica portoghese che, nel rigettare le censure della Commissione, argomenta le sue ragioni basandosi su diversi aspetti. Innanzitutto, il ricorso è viziato al suo nascere in quanto la Commissione è stata per un verso imprecisa non richiamando nello stesso le norme di riferimento e dall'altro non facendo valere tutte le questioni poi presentante dinanzi alla Corte europea. In secondo luogo, l'obbligo del rappresentante fiscale si è reso necessario per la diversa condizione in cui si trovano i soggetti residenti rispetto ai residenti senza considerare che lo stesso trattamento è previsto per i redditi prodotti proprio dai soggetti residenti. In terzo luogo, si tratta di un obbligo non oneroso per le tasche dei contribuenti. Infine, ma non per questo di scarso rilievo, il fatto che la paventata restrizione alla libera circolazione dei capitali si è resa necessaria per dare maggiore efficacia agli strumenti di lotta contro l'evasione fiscale e di controllo nel contesto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche.

La memoria di intervento del Regno di Spagna
Nella sua memoria di intervento la Spagna chiede il rigetto del ricorso al pari di quanto fatto dalla Repubblica del Portogallo. Non soltanto, il Regno di Spagna ha aggiunto alle esposte motivazioni, che la norma nazionale che impone la nomina di un rappresentante fiscale non distingue, come affermato invece dalla Commissione, tra soggetti redditualmente attivi e inattivi. Inoltre, si osserva che le tanto declamate direttive di cooperazione tra Stati membri sono in continua evoluzione proprio in quanto non sono sufficientemente efficaci a garantire un coesa lotta all'evasione fiscale.

Le argomentazioni dei giudici
Nel ricorso proposto la Corte di giustizia europea è stata chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità, rispetto alla normativa comunitaria, di una disposizione vigente nella Repubblica del Portogallo secondo cui quale viene fatto obbligo ai contribuenti di indicare il proprio rappresentante fiscale. Contribuenti sia che siano residenti nel territorio dello Stato sia che abbiano trasferito la propria residenza al di fuori dei confini dello Stato da almeno sei mesi.
Come prima considerazione per i giudici della Corte l'art. 130 del codice delle imposte portoghese merita di essere esaminato con riguardo da un lato al rispetto della libera circolazione dei capitali di cui all'articolo 56, numero 1, del Trattato CE e dall'articolo 40 dell'accordo SEE in merito allo stesso principio riferito all'ambito territoriale dei Paesi aderenti allo spazio economico europeo o dell'EFTA. Fulcro centrale del ragionamento dei giudici è proprio uno dei motivi addotti dallo Stato portoghese ossia la giustificazione di una norma, come il contestato articolo 130 del codice delle imposte, in virtù di una più efficace lotta all'evasione fiscale. Proprio su tale aspetto i togati europei si sono espressi in maniera ben delineata argomentando che non è possibile venire meno ai principi sanciti nel Trattato CE paventando in maniera presunta e generale un maggior controllo e lotta all'evasione fiscale. Una normativa di questo tipo e che abbia tali ragioni non può che essere considerata una restrizione ingiustificata alla libera circolazione di capitali. Questo, in virtù anche del fatto, sottolineano i giudici, che sussistono già delle direttive emanate per garantire il controllo fiscale negli scambi tra Stati membri.

La pronuncia dei giudici della Corte
Dalle considerazioni svolte i giudici si sono pronunciati asserendo l'inottemperanza, dell'obbligo di indicare un rappresentante fiscale, alla normativa comunitaria. Questo in quanto l'obbligo così come previsto da una siffatta normativa nazionale che impone, per i redditi soggetti a una dichiarazione fiscale, un rappresentante fiscale per adempiere ai propri doveri contributivi, costituisce una restrizione, alla libera circolazione dei capitali, non giustificata da motivazioni di una generalizzata lotta alla evasione fiscale. È per queste ragioni che i giudici della Corte UE hanno accolto, nella questione pregiudiziale, il ricorso presentato dalla Commissione europea.


Fonte: Agenzia Entrate

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