Niente cfc rule - e quindi nessuna necessità, per il soggetto residente, di presentare istanza di interpello - se la partecipata estera è un fondo "armonizzato" oppure un Oicr (Organismo d'investimento collettivo del risparmio) stabilito in Ue o in uno Stato aderente all'Accordo sullo spazio economico europeo. E' solo il primo chiarimento contenuto nella circolare n. 23/E del 26 maggio, documento con il quale l'Agenzia delle Entrate dà risposta a numerosi quesiti relativi all'applicazione della normativa sulle controlled foreign companies.

Fondi comuni, enti a parte
La disciplina cfc non trova applicazione se la "controlled" estera, per proprie caratteristiche operative, derivanti dalla stessa legge che la disciplina e in base alla quale è costituita:
è partecipata da una pluralità di investitori non collegati tra loro
segue politiche d'investimento determinate da criteri e regolamenti sottoposti al controllo delle autorità di vigilanza
è gestita da soggetti che svolgono professionalmente tale attività, in autonomia dai partecipanti stessi.
E' la premessa in base alla quale l'Amministrazione ha escluso l'attivazione della regola contenuta nell'articolo 167 del Tuir, quando a essere partecipato è un fondo comune di investimento "armonizzato", amministrato secondo le disposizioni previste dalle direttive 85/611/Cee e 2009/65/CE, oppure un Oicr che, anche se non conforme alle citate direttive, è stabilito - e assoggettato alla relativa vigilanza - in uno Stato aderente all'Ue o all'Accordo sullo spazio economico europeo.
Discorso analogo per gli Oicr localizzati in Paesi white list, per i quali le caratteristiche tracciate all'inizio del paragrafo possono essere verificate dall'Amministrazione finanziaria mediante lo scambio di informazioni.

Tax rate test per matematici
Le disposizioni speciali "extra Tuir", quali le regole sulle società di comodo o quelle relative all'indeducibilità degli interessi passivi su obbligazioni con tassi "fuori mercato", entrano in gioco solo nella fase di tassazione per trasparenza. Non vanno, cioè, considerate nel calcolo del tax rate virtuale, uno dei due step necessari per la verifica dell'applicabilità o meno della cfc rule quando la controllata è localizzata in Paesi "non black list".

Altra puntualizzazione "di principio", contenuta nella circolare 23/E e relativa al controllo del livello di tassazione comparato, riguarda l'interazione della disciplina con i principi contabili internazionali: se la controllata estera redige il bilancio sulla base degli Ias/Ifrs, il suo reddito "virtualmente" imponibile in Italia va determinato applicando le disposizioni fiscali italiane previste per i soggetti che applicano gli standard internazionali, anche qualora la stessa controllata, fosse stata residente nel nostro Paese, avrebbe utilizzato (per opzione o per obbligo) i principi contabili nazionali.

Banche, assicurazioni e passive income test
I proventi derivanti dall'attività di gestione, individuale o collettiva di patrimoni "per conto terzi", esercitata da intermediari finanziari non hanno la natura di passive income e, di conseguenza, non vanno ricompresi nel calcolo della soglia del 50%, fissata al comma 8-bis, lettera b, dell'articolo 167 del Tuir.

L'esclusione opera anche, per le imprese di assicurazione, in relazione ai proventi degli investimenti "obbligatoriamente" effettuati a copertura delle riserve tecniche (classe C dello stato patrimoniale), nonché per quelli derivanti sia dagli investimenti a beneficio degli assicurati dei rami vita che ne sopportano il rischio sia dai fondi pensione (classe D dello stato patrimoniale).

No al regime "fai da te"
La tassazione per trasparenza è il regime naturale nei casi la cfc, pur localizzata in uno Stato o Territorio "non black list", non superi i 2 test del tax rate e del passive income. Di conseguenza, il soggetto italiano, che ha sempre tassato per trasparenza i redditi conseguiti dalla controllata estera, non può autonomamente decidere di cambiare regime - perché magari i due parametri gli consentirebbero di farlo - senza passare per l'interpello disapplicativo, presentato ai sensi del comma 8-ter dell'articolo 167.

Anche su di esso è tornata la circolare:

va presentato almeno 120 giorni prima del termine per la dichiarazione dei redditi relativa all'esercizio per cui si chiede la disapplicazione. Tuttavia, considerate le novità che hanno interessato la materia, ancora in fase di chiarimento, tutte le istanze i cui termini di presentazione scadono fra il 1° e il 30 giugno si considereranno valide se prodotte entro tale ultima data
se dichiarato inammissibile, è rinnovabile - con una nuova istanza che fornisce quegli elementi la cui mancanza hanno determinato l'inammissibilità - a condizione, ovviamente, che non si sia già oltre il termine dei 120 giorni
è onere, nei casi di catene partecipative, del controllante residente "di ultimo livello".


Fonte: Agenzia Entrate

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