I dati raccolti in un processo verbale della Guardia di Finanza e attestanti sovrafatturazione dei costi e conseguente artificiosità del credito Iva, sebbene non trasfusi in un autonomo atto di accertamento per decorso dei termini, possono rilevare come fatto storico idoneo a fondare il provvedimento di diniego del rimborso per inesistenza delle condizioni necessarie al suo riconoscimento.
Lo ha affermato la Cassazione, con l’ordinanza dell’11 aprile 2012, n. 5722.

I fatti
Una società a responsabilità limitata ha presentato istanza di rimborso dell’eccedenza Iva relativa al terzo trimestre dell’anno di imposta 2001, cui ha fatto seguito il diniego dell’ufficio dell’Agenzia sulla base delle gravi e ripetute irregolarità (attinenti a una soprafatturazione nell’acquisto di macchinari) emerse da un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza a carico della stessa Srl (che, peraltro, nulla aveva obiettato in merito).

Nonostante il Collegio di primo grado avesse accolto il ricorso della contribuente, ritenendo che il diniego non aveva fatto seguito a un atto presupposto (e cioè un avviso di rettifica), la Commissione tributaria regionale della Basilicata lo ha ritenuto legittimo perché:
la motivazione rinviava ai rilievi contenuti nel pvc ricevuto e conosciuto dalla società
il provvedimento di diniego era un atto tipizzato, autonomamente impugnabile, sia quale atto finale di contestazione della richiesta e del diritto azionato dalla società, sia quale provvedimento di accertamento e di contestazione dei presupposti del diritto al rimborso
non si verificava la decadenza prevista dall’articolo 57 Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, per trasfondere i rilievi del pvc in un autonomo atto di accertamento.

Dello stesso avviso i giudici di legittimità, i quali hanno affermato che “…ai fini specifici del diniego di rimborso, non è necessario trasfondere i rilievi in un atto impositivo, rilevando unicamente il fatto storico, nella specie dal p.v.c. desumibile, cui correlare la conclusione esposta nel provvedimento (di inesistenza delle condizioni per il riconoscimento del credito); conclusione che la CTR ha accertato essere stata associata - giustappunto nel provvedimento di diniego, alla (incontroversa) sovrafatturazione di costi e alla conseguente artificiosità del credito d'imposta così come emergente dal p.v.c. richiamato…” (Cassazione, n. 5722/2012).

Osservazioni
L’ordinanza evidenzia la necessità di distinguere fra il provvedimento che respinge l’istanza di rimborso dell’Iva (in difetto dei requisiti previsti dall’articolo 30 del Dpr 633/1972) e l’atto impositivo vero e proprio (avviso di rettifica o di accertamento).
In particolare, l’articolo 30 indica precise condizioni alle quali è subordinato il rimborso dell’Iva per eccedenza dell’ammontare detraibile di cui al n. 3) dell’articolo 28 (aumentato dalle somme versate mensilmente) rispetto all’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni imponibili di cui al n. 1) dello stesso articolo: tali condizioni costituiscono, insieme all’esistenza dell’eccedenza, i fatti costitutivi del diritto al rimborso.

L’articolo 38-bis, comma 2, Dpr 633/1972, estende la facoltà di rimborso anche ai crediti formatisi al termine di ciascun trimestre solare senza, quindi, attendere la formazione del credito di fine anno. Tale rimborso, “infrannuale”, è possibile solo in presenza di alcune delle condizioni richieste per il rimborso annuale, espressamente previste dal legislatore.
E’ pertanto evidente che, in tali casi, la valutazione dell’ufficio circa la sussistenza di tali fatti non influisce sull’entità dell’imposta dovuta (nella sua determinazione quantitativa) e, quindi, non attiene assolutamente a profili accertativi dell’imposta (non rende possibile il recupero d’imposta, sanzioni e interessi).
Di conseguenza, il provvedimento con il quale l’Amministrazione finanziaria nega il diritto del contribuente al rimborso, regolato dall’articolo 30 del Dpr/1972 per quanto riguarda i fatti costitutivi del diritto stesso, poiché non contiene la contestazione sull’esistenza dell’eccedenza d’imposta, “non ha, neppure sostanzialmente, natura di avviso di accertamento (che presuppone necessariamente una pretesa tributaria nuova)” (Cassazione, sentenze 194/2004, 29398/2008 e 8642/2009).

Diversamente, se avesse esercitato i suoi poteri accertativi nel termine previsto a pena di decadenza dall’articolo 57 del Dpr 633/1972, l’ufficio avrebbe potuto emettere un avviso di rettifica o di accertamento per annullare il credito chiesto a rimborso. Ma avrebbe operato senza necessità di indagare sull’esistenza dei presupposti previsti dall’articolo 30, giacché il provvedimento adottato ex articoli 54 o 55 sarebbe stato assorbente rispetto al diniego di rimborso per motivi formali.
E nonostante le due tipologie di atto siano autonomamente impugnabili innanzi al giudice tributario ex articolo 19, comma 1, Dlgs 546/1992 (senza necessità, quindi, per il diniego di essere preceduto da un atto impositivo), ma soltanto l’avviso è censurabile per inosservanza del termine previsto dall’articolo 57.

Nella fattispecie in esame, l’ufficio, verificata la non spettanza del credito per mancanza dei presupposti cui era subordinato il rimborso, ha notificato al contribuente il diniego nel 2009, quando era ormai decorso il termine previsto a pena di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento. Ma senza incorrere in alcuna decadenza.
Trattandosi dell’esercizio di un potere diverso, infatti, la carenza dei requisiti di cui all’articolo 30 del Dpr 633/72 può essere opposta dall’Amministrazione fino alla scadenza del termine di prescrizione del diritto del contribuente; oltre tale data, il problema cessa di esistere perché viene meno l’obbligo di esecuzione del rimborso (Cassazione, sentenza 194/2004).


Fonte: Agenzia Entrate

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