Con la sentenza 5822 del 13 aprile, la sezione tributaria della Corte di cassazione ha stabilito, in tema di accertamento induttivo, che la pubblicità su internet è prova favorevole al fisco sul tipo di attività svolta dalla società.

Il fatto
A una società veniva negato il rimborso Iva con provvedimento impugnato in Commissione tributaria provinciale, che accoglieva il ricorso. L’esito negativo della richiesta era dipeso dalla circostanza che il contribuente aveva effettuato operazioni esenti da imposta (ex articolo 10, Dpr 633/1972), e non operazioni imponibili.

Il primo giudizio viene capovolto in appello, per ritenuta legittimità del diniego del rimborso.
La decisione viene opposta con ricorso per Cassazione, con il quale la contribuente denuncia violazione di legge, per avere i giudici di merito, a suo dire, erroneamente inquadrato l’attività svolta dalla stessa, di gestione residenza, assistenza e cura per anziani, tra quelle esenti da Iva (articolo 10, comma 1, n. 21), Dpr 633/1972), mentre si tratterebbe – diversamente – di gestione di casa per ferie, come tale imponibile Iva.
La società denuncia, inoltre, vizi di motivazione per non avere la Commissione regionale operato una “più attenta valutazione” degli elementi di fatto già accertati in precedenti giudizi, ragione per cui l’atto impositivo sarebbe nullo per inesistenza dei suoi presupposti.

La decisione
La Corte suprema respinge il ricorso della società, argomentando che il giudice d’appello ha motivato la sentenza impugnata in maniera logica e puntuale, indicando tutti gli elementi istruttori che hanno caratterizzato l’attività accertativa (quali, le finalità esternate nell’atto di compravendita dell’immobile, il codice attività denunciato, i significativi elementi contenuti nel progetto di ristrutturazione dell’immobile presentato al comune, le indicazioni apposte sulle fatture relative ai lavori eseguiti nel fabbricato stesso, l’inequivoco contenuto della domanda per la disapplicazione delle norme antielusive, l’autorizzazione provvisoria rilasciata dalla Regione competente per la gestione della casa di riposo e, soprattutto, la pubblicità promozionale inserita sulla rete internet) (cfr Cassazione, 12446/2006 e 27653/2005). Da ciò, la conseguente corretta esplicitazione che, la non spettanza del diritto al rimborso, derivava proprio dall’esenzione Iva – ai sensi dell’articolo 10 del Dpr 633/1972 – dell'operazione realizzata.

Pertanto, la completa ed esauriente motivazione della sentenza di secondo grado era assolutamente idonea a far conoscere alla contribuente le ragioni della pretesa fiscale, ponendola nelle condizioni di esercitare il proprio diritto di difesa (come di fatto è avvenuto), senza alcuna confliggenza con le garanzie dettate dall’articolo 24 della Costituzione (Cassazione, sezioni unite 8351/1990).
Invece, la tendenziosa difesa di parte era indirizzata a qualificare come imponibile l’attività che invece era inequivocabilmente esente (l’esenzione comporta che il tributo Iva assolto sugli acquisti non possa – in linea generale – essere portato a detrazione in base all’articolo 19 del Dpr 633/1972, né, quindi, essere richiesto a rimborso), come era desumibile da altri elementi “versati” in atti, primo di tutti la pubblicità via internet.

Infatti, se si considera che la pubblicità svolta dalla stampa, dalla televisione e da altri mezzi di comunicazione di massa, al fine presumibile di far conoscere i prodotti e i servizi offerti al pubblico dall’impresa, allora giustamente la Cassazione fa rilevare che ai fini dell’accertamento Iva anche “internet” costituisce prova idonea a qualificare l’attività svolta dall’azienda, che può essere utilizzata dall’Amministrazione finanziaria ai fini della qualificazione proprio dell’oggetto sociale.
Né potevano residuare dubbi di sorta al riguardo, atteso che alle affermazioni di parte l’ente impositore aveva puntualmente controbattuto con ampie, articolate e specifiche censure (Cassazione n. 3004/2004) che dalla propaganda via web, dal progetto di ristrutturazione e dal codice attività denunciato era emerso che non si trattava di un ricovero per anziani, ma di vere e proprie prestazioni di servizi imponibili Iva in base all’articolo 3 del Dpr 633/1972.
E, nel caso di specie, a fronte della prova offerta dall’Amministrazione finanziaria circa la sussistenza delle circostanze che giustificano le proprie determinazioni, il contribuente non ha dimostrato la fondatezza della pretesa creditoria anche in base a criteri non utilizzati dall’ufficio (Cassazione, 12756/2011).


Fonte: Agenzia Entrate

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