Il reato di omessa dichiarazione - nella specie IVA - si configura soltanto dopo 90 giorni dall’ultima scadenza concessa dalle leggi tributarie per la presentazione della stessa.E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22045 depositata lo scorso 10 giugno.

Nel caso in esame, la Corte d’appello confermava la condanna inflitta ad un legale rappresentante di S.r.l., quale responsabile del reato ex art. 5, del D.Lgs. n. 74/2000, per non aver presentato la dichiarazione IVA al fine di conseguire l’evasione della relativa imposta per l'anno 2001.

Per l’annullamento della decisione impugnata, il contribuente ricorre per cassazione deducendo la violazione dell’art. 521 c.p.p., in quanto nella contestazione il reato era stato considerato consumato nel mese di maggio del 2002, mentre nella sentenza si è ritenuto commesso nell’ottobre 2002. Inoltre, per il ricorrente non erano state esaminate le censure avanzate con il motivo d’appello; tale circostanza sarebbe stata rilevante giacchè il contribuente alla data indicata nel capo d’imputazione, non era il legale rappresentante della società mentre lo è divenuto alla data in cui i giudici hanno individuato il termine per la presentazione della dichiarazione.

Ancora. Il ricorrente lamenta anche la mancanza di motivazione in merito all’individuazione della data del 31 ottobre 2002, quale termine ultimo per presentare la dichiarazione IVA, sostenendo che, qualora la Corte avesse voluto fare riferimento alla dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta 2001 presentata per via telematica, avrebbe dovuto indicare il termine del 20 luglio 2002 e non quello del 31 ottobre 2002 ed, alla data del 20 luglio 2002, l’imputato non aveva ancora assunto la carica di legale rappresentante della società.

Al riguardo, la Suprema Corte osserva che il principio di correlazione tra accusa e sentenza non può risolversi in base ad un mero confronto letterale tra il fatto imputato e quello ritenuto in sentenza, ma, avuto riguardo allo scopo dell’imputazione, occorre stabilire se il prevenuto si sia o no trovato nell’impossibilita’ di difendersi dalla diversa accusa ritenuta dal giudice.

Secondo i giudici di legittimità, nella fattispecie, tale violazione non si sarebbe verificata perchè la data di consumazione del reato indicata nel capo d’imputazione era frutto di un errore facilmente rilevabile dal contenuto della contestazione. In particolare, il citato art. 5 punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 77.468,53 euro.

Si tratta quindi di un delitto che si realizza con l’omessa presentazione di una delle dichiarazioni annuali relative o all’imposta sui redditi o quella sul valore aggiunto e che si consuma non nel momento in cui scade il termine per la presentazione delle dichiarazioni fissato dalla norma tributaria, ma con il decorso di novanta giorni dalla scadenza del termine previsto dalle leggi tributarie.

Pertanto, in forza del principio del favor rei, se le scadenze sono diverse si deve tenere conto di quello che scade per ultimo. Nella specie, per quanto riguarda la dichiarazione IVA, le scadenze previste dalla normativa tributaria vigente, nel momento del fatto, sono state fissate al 31 luglio dell’anno successivo al periodo d’imposta, se la dichiarazione viene presentata in banca o alla posta, o al 31 ottobre, se presentata per via telematica.

Ne deriva che il reato ai fini penali si considera consumato trascorsi 90 giorni dall’ultima scadenza e quindi il 29 gennaio del 2003.

Sulla base di quanto esposto, la S.C. ritiene che l’erronea indicazione nel capo d’imputazione della data del 31 maggio non ha comportato alcuna lesione del diritto di difesa, posto che la data di consumazione del reato è fissata direttamente dalla legge. In sostanza, una volta contestato il delitto di omissione della dichiarazione annuale IVA per l’anno 2001, era agevole individuare la data della consumazione del reato e a tale data la rappresentanza della società era stata già assunta dal ricorrente.

In virtù di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso proposto dal contribuente.

(Cassazione penale Sentenza, Sez. III, 10/06/2010, n. 22045)


Fonte: IPSOA

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