Secondo la Corte di Cassazione, per determinare il tipo di rapporto intercorrente fra le società madre e figlia - "poichè preliminare alla qualificazione del contratto è la ricerca della comune volontà delle parti" - non è sufficiente l'interpretazione sulla base del contratto, ma la natura effettiva delle prestazioni. Il caso sottoposto all’esame dei Giudici di legittimità riguarda una sentenza della Commissione Tributaria Regionale con la quale è stato rigettato l’appello proposto dall’Ufficio, con la motivazione che l’individuazione del criterio di territorialità, ex art. 7, D.P.R. n. 633/1972, prescinde del tutto dal tipo di contratto posto in essere dalle parti e prende in considerazione la natura delle prestazioni oggetto del rapporto contrattuale.

Secondo l’Ufficio, ai fini della disposizione citata costituirebbero prestazioni di consulenza e assistenza tecnica quelle in cui appaia preminente, non la rilevanza obiettiva di una determinata realtà, bensì la valutazione soggettiva del prestatore del servizio con la conseguenza che quando la prestazione resa è inserita in un contesto negoziale più complesso, dove oltre ad una prestazione specificamente intellettuale viene utilizzata dal prestatore anche una struttura organizzativa necessaria per l’esecuzione del servizio richiesto, la prestazione perde la caratteristica propria della consulenza tecnica per assumere quella di una prestazione diversa derivante da un contratto riconducibile allo schema negoziale dell’appalto o del mandato.

I Supremi giudici, chiamati a pronunciarsi sulla imponibilità o meno, ai fini IVA, delle prestazioni di assistenza rese ad un committente residente in altro Stato della Comunità Europea assoggettato ad IVA nel proprio Stato di residenza, hanno affermato che, nell'ambito di operazioni infragruppo, l'Agenzia delle Entrate non è tenuta a richiedere l'IVA alla società residente italiana qualora le prestazioni rese nei confronti della capogruppo risultino da contratto come vere e proprie consulenze da tassare all'estero.

Il principio su cui poggia la sentenza de qua è il seguente: "poiché preliminare alla qualificazione del contratto è la ricerca della comune volontà delle parti, che costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, nell'ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la qualificazione da quest'ultimo attribuita al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui all'art. 1362 e seguenti c.c. o dell'insufficienza o contraddittorietà della motivazione, e, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, debbono essere accompagnati dalla trascrizione delle clausole individuative dell'effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla S.C. di verificare l'erronea applicazione della disciplina normativa".

In altre parole, l’Amministrazione Finanziaria – non avendo indicato in maniera puntuale le prestazioni effettivamente eseguite dal contribuente, a beneficio del committente comunitario, prestazioni, queste, che avrebbero dovuto legittimare la pretesa di imponibilità in Italia – con la sua condotta ha impedito ai Giudici di legittimità di riconoscere l’eccepito errore di interpretazione del contratto tra le parti che, secondo l’ufficio, sarebbe stato compiuto dai Giudici di merito.

(Cassazione civile Sentenza, Sez. Trib., 04/06/2010, n. 13587)


Fonte: IPSOA

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