1 APPLICAZIONI VISTO DI CONFORMITA’

1.1 Modifica della compagine sociale
D: Ai fini dell’apposizione del visto di conformità, le dichiarazioni e le scritture contabili si
considerano predisposte e tenute dal professionista anche quando sono predisposte e tenute da
una società di servizi di cui uno o più professionisti possiede o posseggono la maggioranza
assoluta del capitale sociale, a condizione che tali attività siano effettuate sotto il diretto
controllo dello stesso professionista. In relazione a questa previsione, si chiede di sapere:
- se la maggioranza assoluta del capitale debba fare capo a professionisti abilitati al rilascio del
visto
- se il requisito della maggioranza assoluta, fermo restando il presupposto che le attività siano
state effettuate sotto il diretto controllo del professionista che rilascia il visto, debba sussistere
(i) alla data del rilascio del visto, ovvero (ii) al termine del periodo d’imposta, ovvero (iii) per
l’intero periodo d’imposta e fino al rilascio del visto.
R: L’articolo 23, comma 1, del decreto n. 164 del 29 dicembre 1999 stabilisce che i
professionisti rilasciano il visto di conformità se le dichiarazioni e le scritture contabili sono
state predisposte e tenute dallo stesso professionista che rilascia il visto.
Il comma 2 del medesimo articolo prevede che le dichiarazioni e le scritture contabili si
considerano predisposte e tenute dal professionista anche quando sono predisposte e tenute
direttamente dallo stesso contribuente o da una società di servizi di cui uno o più professionisti
posseggono la maggioranza assoluta del capitale sociale, a condizione che tali attività siano
effettuate sotto il diretto controllo e la responsabilità dello stesso professionista.
In particolare, il predetto comma 2, tiene conto delle diverse modalità organizzative con le
quali i professionisti possono svolgere la propria attività, stabilendo però, a garanzia del
controllo, che il professionista che appone il visto di conformità possegga la maggioranza
assoluta del capitale sociale della società di servizio.
In caso di più di due soci, tenuto conto che nessuno dei soci potrebbe possedere la
maggioranza assoluta, la norma prevede la possibilità che la stessa sia posseduta da più professionisti che siano abilitati all’apposizione del visto di conformità.
Il requisito della maggioranza assoluta, proprio perché sottintende che le attività siano state
effettuate sotto il diretto controllo del professionista che rilascia il visto, deve sussistere per
l’intero periodo d’imposta e fino al rilascio del visto.
In assenza del suddetto requisito temporale, ricorre una delle ipotesi in cui le scritture
contabili sono tenute da un soggetto che non può apporre il visto di conformità e, in base alla
circolare n. 57 del 2009, il contribuente potrà comunque rivolgersi ad un CAF-imprese o a un
professionista abilitato all’apposizione del visto esibendo ai predetti soggetti la
documentazione necessaria per consentire la verifica della conformità dei dati esposti o da
esporre nella dichiarazione al fine di consentire lo svolgimento dei controlli previsti.

1.2 Adempimenti concernenti il visto di conformità
D: Nella circolare n. 57/E del 23/12/2009 è stato chiarito che, al fine di semplificare gli
adempimenti concernenti il rilascio del visto di conformità, in sede di prima applicazione
l’esecuzione dei controlli dovrà mirare a verificare la sussistenza di una delle fattispecie che, in
linea generale, sono idonee a generare l’eccedenza d’imposta (presenza prevalente operazioni
attive soggette ad aliquote più basse rispetto a quelle degli acquisti, operazioni non imponibili,
ecc.). Al riguardo, si chiede di confermare che tale verifica dovrà limitarsi al mero riscontro
dell’esistenza di fatture della specie, senza entrare nel merito della correttezza. Si chiede inoltre
di precisare meglio, alla luce del riferimento della circolare alla “presenza prevalente di
operazioni…”, se dovrà trattarsi di riscontri “a campione” oppure “a tappeto”.
R: La circolare n. 57/E del 2009, ha precisato che i controlli previsti dall'articolo 2, comma
2, del decreto n. 164 del 1999, presuppongono, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto:
- la correttezza formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti;
- la regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie.
In particolare, per le dichiarazioni presentate ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, i
controlli devono essere finalizzati, oltre che ad evitare errori materiali e di calcolo nella
determinazione dell’imponibile, nonché nel corretto riporto delle eccedenze di credito, anche a
verificare la regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Coerentemente con quanto chiarito con la circolare n. 134
del 1999, i controlli implicano la verifica:
• della regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle
imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto;
• della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze delle scritture
contabili;
• della corrispondenza dei dati esposti nella scritture contabili alla relativa
documentazione.
Tutto ciò premesso, la menzionata circolare n. 57 del 2009, al fine di semplificare gli
adempimenti dei soggetti coinvolti nell’attività di controllo, in sede di prima applicazione delle
disposizioni stabilite dall’articolo 10 del decreto-legge n. 78 del 1luglio 2009, ha delineato le
modalità attestanti la correttezza dell’esecuzione dei controlli.
Nel caso in cui il credito d’imposta destinato dal contribuente all’utilizzo in compensazione sia
pari o superiore al volume d’affari, tenuto conto che trattasi di una fattispecie in cui la genesi
del credito IVA non appare direttamente giustificata dall’attività economica esercitata dal
soggetto nel periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, deve essere effettuata
l’integrale verifica della corrispondenza tra la documentazione e i dati esposti nelle scritture
contabili.
Per tutti i contribuenti che non rientrano nella condizione sopra esposta la verifica deve
riguardare la documentazione rilevante ai fini dell’IVA con imposta superiore al 10 per cento
dell’ammontare complessivo dell’IVA detratta riferita al periodo d’imposta a cui si riferisce la
dichiarazione.
In sostanza, il soggetto che appone il visto, deve verificare quali fattispecie hanno generato
l’eccedenza di imposta anche integrando la check-list con altre fattispecie idonee a generare
l’eccedenza di imposta.
In tale ottica, la prevalenza delle operazioni va considerata in funzione della capacità di
generare il credito nel caso concreto, tenuto conto che nella fase di apposizione del visto da
parte dei soggetti coinvolti nell’attività di controllo, deve essere verificata la corrispondenza
dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze delle scritture contabili nonché alla verifica
della documentazione come specificato in sede di prima applicazione delle disposizioni stabilite dall’articolo 10 del decreto-legge n. 78 del 2009.
Con la predetta circolare n. 57, inoltre, è stato chiarito che tale verifica non comporta
valutazioni di merito, ma il solo riscontro formale della loro corrispondenza in ordine
all'ammontare delle componenti positive e negative relative all'attività esercitata e rilevanti ai
fini dell'imposta sul valore aggiunto

1.3 Copertura assicurativa per l'attività prestata dai singoli professionisti
D: I professionisti che rilasciano il visto di conformità devono sottoscrivere una polizza
assicurativa, che, come stabilito dall’articolo 6 del decreto 164 del 1999, deve avere un
massimale adeguato al numero dei contribuenti assistiti, nonché al numero dei visti di
conformità, delle asseverazioni e delle certificazioni tributarie rilasciati, e comunque, non deve
essere inferiore a euro 1.032.913,80. Le originarie istruzioni (circolare 134/E del 1999) si sono
però limitate a richiamare solo quest’ultimo importo. Si può quindi ritenere comunque adeguata
una polizza con questo massimale, e/o verranno rilasciate ulteriori istruzioni sull’adeguatezza
della polizza? Occorre al riguardo considerare che analogo adempimento non è richiesto ai
centri di assistenza fiscale alle imprese (CAF-imprese). La circolare 57/E considera regolare la
polizza assicurativa dello studio associato, purché preveda una autonoma copertura assicurativa
per l’attività prestata dai singoli professionisti. Peraltro in uno studio associato non tutti i
professionisti svolgono questa attività.
In termini operativi, significa che la polizza deve individuare il singolo professionista che
rilascerà il visto di conformità, e che per ciascuno di essi opera il massimale non inferiore a
1,03 milioni di euro?
R: La circolare n. 57/E del 2009 ha elencato i requisiti che la polizza assicurativa deve avere
al fine di garantire il completo risarcimento dell’eventuale danno arrecato al contribuente,
anche di entità minima. In particolare:
a) la copertura assicurativa deve riferirsi alla prestazione dell’assistenza fiscale senza alcuna
limitazione della garanzia ad un solo specifico modello di dichiarazione;
b) il massimale della polizza, come stabilito dall’articolo 6 del decreto n. 164 del 1999, deve
essere adeguato al numero dei contribuenti assistiti, nonché al numero dei visti di conformità, delle asseverazioni e delle certificazioni tributarie rilasciati, e comunque, non deve essere
inferiore a euro 1.032.913,80;
c) la copertura assicurativa non deve contenere franchigie o scoperti in quanto non
garantiscono la totale copertura degli eventuali danni subiti dal contribuente, salvo il caso in
cui la società assicuratrice si impegni espressamente a risarcire il terzo danneggiato,
riservandosi la facoltà di rivalersi successivamente sull’assicurato per l’importo rientrante in
franchigia;
d) la polizza assicurativa deve prevedere, per gli errori commessi nel periodo di validità della
polizza stessa, il totale risarcimento del danno denunciato nei cinque anni successivi alla
scadenza del contratto, indipendentemente dalla causa che ha determinato la cessazione del
rapporto assicurativo.
Con particolare riferimento al professionista che svolge l’attività nell’ambito di uno studio
associato, è stato precisato che è possibile utilizzare la polizza assicurativa stipulata dallo
studio medesimo per i rischi professionali, purché la stessa preveda un’autonoma copertura
assicurativa per l’attività di assistenza fiscale con l’indicazione dei professionisti abilitati e
rispetti le condizioni richiamate.
Anche in questo caso, il massimale della polizza assicurativa deve essere non inferiore a euro
1.032.913,80 e comunque adeguato al numero dei contribuenti assistiti, nonché al numero dei
visti di conformità, delle asseverazioni e delle certificazioni tributarie rilasciati,
indipendentemente dal numero dei professionisti associati. Per completezza, si ricorda che
l’articolo 6 del decreto n. 164 del 1999 prevede l’obbligo della polizza di assicurazione anche
per i centri di assistenza fiscale.

1.4 Check list dei controlli da eseguire per il rilascio del visto
D: La circolare 57/E indica una check list dei controlli da eseguire per il rilascio del visto di
conformità. Questo termine postula anche la compilazione e la conservazione in atti di un
“foglio di lavoro”, da cui risulti il concreto svolgimento dei controlli eseguiti, riportando – per
esempio – gli estremi delle fatture che sono state controllate a campione, e in particolare quelle
di rilevante importo, che possono aver generato la situazione di credito?
R: La circolare n. 57 del 2009, ha chiarito che nel caso in cui il credito d’imposta destinato
dal contribuente all’utilizzo in compensazione sia pari o superiore al volume d’affari, tenuto
conto che trattasi di una fattispecie in cui la genesi del credito IVA non appare direttamente
giustificata dall’attività economica esercitata dal soggetto nel periodo d’imposta cui si
riferisce la dichiarazione, deve essere effettuata l’integrale verifica della corrispondenza tra la
documentazione e i dati esposti nelle scritture contabili.
Per tutti i contribuenti che non rientrano nella condizione sopra esposta la verifica deve
riguardare la documentazione rilevante ai fini dell’IVA con imposta superiore al 10 per cento
dell’ammontare complessivo dell’IVA detratta riferita al periodo d’imposta a cui si riferisce la
dichiarazione.
Riprendendo l’esempio della citata circolare n. 57, in caso di ammontare complessivo IVA
detratta di euro 100.000, devono essere controllate tutte le fatture d’acquisto con imposta
superiore a euro 10.000.
Al fine di attestare lo svolgimento dei controlli previsti, il soggetto che appone il visto deve
conservare copia della documentazione controllata.
Inoltre, deve attestare l’effettuazione della verifica della fattispecie che ha generato
l’eccedenza di imposta. A fine esemplificativo, è stata fornita una check-list contenente le
fattispecie che, in linea generale, sono idonee a generare l’eccedenza di imposta e che sono
presenti nel modello di richiesta di rimborso VR. In tale ottica, la prevalenza delle operazioni
va considerata in funzione della capacità di generare il credito nel caso concreto.
L’indicazione della fattispecie che ha generato il credito è sempre dovuta, anche se non
indicata tra le fattispecie esemplificate nella circolare.

2 APPLICAZIONE DISPOSIZIONI COMPENSAZIONI

2.1 Compensazioni per crediti superiori a 10.000 euro
D: Non è chiaro il regime dei crediti originati dalla dichiarazione del periodo di imposta 2008
e/o dalle istanze di rimborso per i primi tre trimestri del 2009. Si tratta di importi risultanti da
dichiarazioni o istanze già presenti nel sistema informativo dell’Agenzia, per le quali non era
possibile l’apposizione del visto di conformità o la sottoscrizione del soggetto incaricato del controllo contabile, in quanto non prevista all’epoca. Si può quindi ritenere che la
compensazione sia comunque possibile sino alla data di presentazione della dichiarazione
annuale per il 2009, quando il dato delle compensazioni eseguite per tali periodi deve essere
inserito nel modello (codici VL9 e VL22 della bozza di dichiarazione)?
R: La circolare n. 1/E del 15 gennaio 2010 ha chiarito che i crediti Iva emergenti dalla
dichiarazione relativa all’anno 2008 e dalle istanze infrannuali relative ai primi tre trimestri
del 2009 possono essere utilizzati in compensazione senza scontare i vincoli imposti
dall’articolo 10 del decreto-legge n. 78 del 2009. A tali crediti continua perciò ad applicarsi la
normativa previgente, fin quando non verrà presentata la dichiarazione annuale relativa
all’anno 2009, in cui i predetti crediti andranno a confluire nella liquidazione dell’imposta
dovuta o dell’eccedenza a credito relativa all’anno 2009.

2.2 Utilizzazione dei servizi telematici per compensazioni di crediti che superano il limite di 10.000 euro
D: La nuova procedura si applica solo alle compensazioni per importi superiori a 10.000 euro
annui. Sembrerebbe quindi possibile iniziare ad utilizzare i primi 10.000 euro senza le regole
del provvedimento del 21 dicembre 2009, ad esempio eseguendo la compensazione in un
modello F24 home banking.
Se in un secondo tempo il soggetto di imposta decidesse di avvalersi di ulteriori
compensazioni, sarà ovviamente tenuto a seguire la procedura. Il fatto che abbia già utilizzato i
primi 10.000 euro non limita la conoscenza delle compensazioni eseguite, in quanto l’Agenzia
dispone dell’informazione in tempo pressoché reale attraverso le comunicazioni telematiche da
parte delle banche o della posta.
E’ corretta questa procedura?
R: Il comma 49-bis dell’articolo 37 del decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006, introdotto
dall’articolo 10 del decreto-legge n. 78 del 2009, prevede che «I soggetti di cui al comma 49,
che intendono effettuare la compensazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo 9
luglio 1997, n. 241, del credito annuale o relativo a periodi inferiori all'anno dell'imposta sul valore aggiunto per importi superiori a 10.000 euro annui, sono tenuti ad utilizzare
esclusivamente i servizi telematici messi a disposizione dall'Agenzia delle entrate secondo
modalità tecniche definite con provvedimento del direttore della medesima Agenzia […]».
Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 21 dicembre 2009 ha poi
precisato che «L’utilizzo dei servizi di home banking messi a disposizione dalle banche e da
Poste Italiane, ovvero dei servizi di remote banking (CBI) offerti dalle banche, è consentito
esclusivamente a coloro che effettuano compensazioni di crediti Iva inferiori a 10.000 euro.».
La circolare n. 1/E del 15 gennaio 2010 ha infine chiarito che, fermo restando l’obbligo di
utilizzare i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia per le compensazioni che
superano il limite di 10.000 euro (singolarmente o per cumolo con le precedenti), è comunque
opportuno utilizzare tali servizi anche per le compensazioni che non hanno ancora superato il
predetto limite. Tale comportamento garantisce al contribuente la tempestiva comunicazione
dell’esito della trasmissione.

2.3 Obbligo nelle procedure concorsuali di rispettare gli adempimenti concernenti le nuove disposizioni in materia di crediti IVA superiori ai 10.000 euro
D: Anche in considerazione del sistema di controlli esistenti per le procedure concorsuali, le
stesse possono ritenersi escluse dagli adempimenti previsti dalla nuova procedura di
compensazione dei crediti IVA superiori ai 10.000 euro introdotta dall’articolo 10 del decreto
legge n. 78 del 2009?
R: Ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del D.P.R. n. 322 del 22 luglio 1998, “In caso di
fallimento o di liquidazione coatta amministrativa, la dichiarazione relativa all'imposta dovuta
per l'anno solare precedente (…) è presentata dai curatori o dai commissari liquidatori con le
modalità e i termini ordinari (…) ovvero entro quattro mesi dalla nomina se quest'ultimo
termine scade successivamente al termine ordinario. Con le medesime modalità e nei termini
ordinari, i curatori o i commissari liquidatori presentano la dichiarazione per le operazioni
registrate nell'anno solare in cui è dichiarato il fallimento ovvero la liquidazione coatta
amministrativa. (…)”.
Pertanto, in assenza di una specifica norma che escluda il curatore o il commissario liquidatore dagli obblighi ordinari previsti ai fini IVA (come ad esempio l’articolo 74-bis del
DPR n. 633 del 26 ottobre 1972 che esonera i curatori dall’obbligo di prestare garanzia nel
caso di rimborsi IVA), si ritiene che gli stessi debbano rispettare gli adempimenti previsti dalle
nuove disposizioni concernenti la compensazione dei crediti IVA superiori ai 10.000 euro.

2.4 Deroga all'inclusione della dichiarazione annuale IVA nel modello UNICO
D: La deroga per l’inclusione della dichiarazione annuale IVA nel modello UNICO è disposta
per i contribuenti che intendono utilizzare in compensazione ovvero chiedere a rimborso il
credito risultante dalla dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto. Si può
ritenere che questa formulazione abbia le seguenti conseguenze?
1) Le dichiarazioni a debito o con saldo zero devono essere necessariamente comprese in
UNICO
2) Le dichiarazioni a credito possono essere presentate separatamente, anche se l’intenzione di
procedere alla compensazione o di chiedere il rimborso non trova riscontro nel successivo
comportamento del contribuente, che prosegue nel riporto a nuovo del credito.
La situazione del punto 2) potrebbe conseguire, per esempio, all’andamento di vendite e/o
acquisti non conforme alle ipotesi che erano state poste a base della decisione originaria.
R: La circolare n. 1/E del 15 gennaio 2010 ha chiarito che la facoltà di non comprendere la
dichiarazione annuale Iva all’interno del modello Unico riguarda tutti i contribuenti dalla cui
dichiarazione annuale scaturisca un credito. Non rileva, a tal fine, l’utilizzo che di tale credito
si intende effettuare (in compensazione con il modello F24, in detrazione in dichiarazione
ovvero a rimborso).
L’obbligo di presentare la dichiarazione annuale Iva all’interno del modello Unico permane
quindi solo per i contribuenti che determinano un saldo Iva a debito (o pari a zero), salvo che
non esistano altre cause di esclusione (ad esempio periodo d’imposta ai fini delle imposte sui
redditi non coincidente con l’anno solare o partecipazione alla liquidazione Iva di gruppo).

2.5 Ipotesi di versamento insufficiente
D: La circolare n. 11/E del 3 marzo 1989 aveva precisato che, qualora la dichiarazione annuale
non risulti già presentata entro il termine della prima liquidazione periodica, il contribuente può
tener conto dei dati relativi al credito di imposta e/o alla percentuale di indetraibilità che siano
disponibili sulla base delle annotazioni eseguite nelle scritture contabili. Premesso che la nuova
normativa non si applica alla compensazione verticale, cioè nell’ambito dell’imposta sul valore
aggiunto, facciamo il caso di un’impresa di costruzioni che ha chiuso a credito di 100 la
liquidazione periodica di dicembre. A gennaio effettua vendite che generano – per il periodo –
un debito di 100,00 euro e non versa l’imposta in quanto capiente nell’ultimo dato conosciuto
in contabilità. Quando presenta la dichiarazione, l’eccedenza a credito dell’anno precedente
scende a 40 euro, ad esempio per la rettifica del pro-rata, da cui un versamento insufficiente per
gennaio di 60 euro. Con quali modalità e in quali termini il contribuente può eseguire il
versamento di questo importo, considerando la buona fede nell’utilizzare i dati a sua
disposizione?
R: Preliminarmente si osserva che laddove la circolare n. 11/E del 1989 ha chiarito che è
possibile tener conto, ai fini della liquidazione dell'imposta relativa al mese di gennaio,
l’eccedenza IVA a credito dell’anno precedente, applicando – in presenza di operazioni esenti
- la percentuale di indetraibilità (ora di detraibilità) risultante dalle “annotazioni eseguite
nelle scritture contabili”, ha inteso fare riferimento alla percentuale di detraibilità definitiva
che emerge dalle scritture contabili annuali e che deve essere poi evidenziata nella
dichiarazione annuale IVA, e non certo alla percentuale provvisoria emergente dalle sole
scritture relative all’ultima liquidazione periodica.
D’altronde, ai sensi dell’articolo 30 del DPR n. 633 del 1972, il contribuente ha diritto di
computare in detrazione nell’anno successivo l’eccedenza annuale di credito IVA che emerge
dalla dichiarazione annuale e che tiene conto della corretta percentuale di detraibilità.
Pertanto, il caso di specie integra un’ipotesi di versamento insufficiente, che il contribuente
può regolarizzare avvalendosi del ravvedimento operoso ex articolo 13, lettera a) e b), del
D.Lgs. n. 472 del 1997, pagando la differenza del tributo, pari a 60 euro, e la sanzione
corrispondente, pari al 30 per cento, ridotta ad un dodicesimo ovvero ad un decimo a seconda del termine entro cui regolarizza la violazione.

2.6 Compensazione dei crediti Iva sotto soglia
D: Dalle disposizioni del dl 78/2009 e del provvedimento dell’Agenzia delle entrate del
21/12/2009 sembra evincersi che i nuovi vincoli sulle compensazioni dei crediti Iva, introdotti
dal dl 78/2009, si rendono operanti soltanto al superamento delle soglie stabilite (10.000-
15.000 euro nell’anno solare), indipendentemente dall’ammontare del credito risultante dalla
dichiarazione annuale o dall’istanza trimestrale. Si conferma che il contribuente la cui
dichiarazione annuale evidenzia, per esempio, un credito di 25.000 euro computato a nuovo
nell’anno successivo, potrà compensarlo liberamente fino al limite di 10.000 euro, senza dover
richiedere il visto di conformità e dover utilizzare la procedura telematica dell’Agenzia?
R: Si conferma che il ricorso ai servizi telematici dell’Agenzia delle entrate è obbligatorio solo
in caso di utilizzo di crediti Iva in compensazione “esterna” superiori a 10.000 euro. Si
precisa tuttavia che, qualora il contribuente intenda destinare in compensazione l’intero
credito di 25.000 euro, è opportuno che lo stesso utilizzi comunque i servizi telematici
dell’Agenzia delle entrate, anche per i crediti il cui ammontare in compensazione non ha
ancora raggiunto la soglia dei 10.000 euro.
Rientrano nella fattispecie della compensazione “esterna” le compensazioni dei crediti Iva con
imposte, contributi, premi e altri versamenti diversi dall’Iva dovuta a titolo di saldo, acconto e
di versamento periodico, ossia tutte le compensazioni che necessariamente devono essere
esposte nel modello F24.
Conseguentemente non configurano compensazioni “esterne” le compensazioni dei crediti Iva
con l’Iva dovuta a titolo di saldo, acconto e di versamento periodico, la cui esposizione in F24
rappresenta un’alternativa alla detrazione in dichiarazione.

2.7 Credito annuale sotto soglia
D: Un contribuente presenta la dichiarazione annuale per il 2009 con un credito Iva di 14.000,
00 euro computato a nuovo. Nel primo trimestre 2010, matura un credito infrannuale rimborsabile di 10.000,00 euro che intende utilizzare in compensazione. Nel corso del 2010,
quindi, i crediti Iva utilizzati in compensazione supereranno 15.000 euro. E’ corretto ritenere
che la compensazione possa effettuarsi anche se la dichiarazione annuale non è stata “vistata”
(perché il credito non superava la soglia di 15.000 euro)?
R: Come esplicitato nella circolare n. 1/E del 15 gennaio 2010, paragrafo 2, i controlli sono
effettuati distintamente per ciascuna tipologia di credito (annuale o infrannuale) in base
all’anno di maturazione.
Non è richiesta l’apposizione del visto di conformità sulle istanze trimestrali; tale onere ricade
solo sulle dichiarazioni annuali da cui emerge un credito Iva di importo superiore a 15.000
euro che il contribuente intende utilizzare in compensazione.
Pertanto, con riferimento all’esempio prospettato, se il contribuente nel corso del 2010 utilizza
in compensazione “esterna” tutto il credito a disposizione, complessivamente pari a 24.000
euro, per l’utilizzo dei 14.000 euro di credito annuale, non superando il limite dei 15.000 euro,
non è obbligatoria l’apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione.

2.8 Compensazione crediti pregressi
D: In relazione alle nuove disposizioni del dl 78 del 2009, si chiede di sapere se per l’utilizzo in
compensazione, nel corso del 2010 e prima della presentazione della dichiarazione per il 2009,
del credito annuale Iva 2008 e dei crediti trimestrali 2009 si rendano applicabili, in tutto o in
parte, le disposizioni introdotte dall’art. 10 del dl 78del 2009.
R: Le nuove disposizioni si applicano a decorrere dal 1 gennaio 2010 e riguardano il credito
Iva emergente dalla dichiarazione annuale relativa al 2009 e i crediti Iva chiesti in
compensazione con le istanze trimestrali relative al 2010. Sull’utilizzo in compensazione del
credito annuale Iva 2008 e dei crediti trimestrali 2009 continuano pertanto ad applicarsi le
vecchie disposizioni.
Infatti, come esplicitato nella circolare n. 1/E del 15 gennaio 2010 «il tetto di 10.000 euro è
riferito all’anno di maturazione del credito e non all’anno solare di utilizzo in compensazione,
ed è calcolato distintamente per ciascuna tipologia di credito (annuale o infrannuale)».
Ciò significa che il credito annuale Iva 2008 e i crediti trimestrali 2009 possono essere
utilizzati in compensazione senza i vincoli imposti dalle nuove disposizioni, fino alla data di
presentazione della dichiarazione 2009, da cui emergerà il credito sottoposto alla nuova
disciplina.

2.9 Esclusione dal modello F24 delle compensazioni utilizzate per i versamenti IVA periodici in acconto e in saldo
D: Si chiede di sapere se le disposizioni del dl 78/2009 e del provvedimento dell’Agenzia delle
entrate del 21/12/2009 trovino applicazione anche nel caso in cui i crediti Iva siano utilizzati
per effettuare mediante compensazione pagamenti di somme ai sensi del DM 31/3/2000.
R: L’articolo 1 del decreto del Direttore generale del Dipartimento delle entrate del 31 marzo
2000, in materia di versamento unitario con compensazione, dispone l’estensione dell’utilizzo
del modello F24 per il pagamento delle somme dovute a titolo di imposte, premi, contributi,
nonché relativi interessi e sanzioni, a seguito di conciliazione giudiziale, accertamento con
adesione, controlli automatici e formali, ravvedimento operoso ed altre attività di
accertamento.
Le nuove disposizioni introdotte dal decreto legge n. 78 del 2009 riguardano, genericamente,
l’utilizzo in compensazione di crediti Iva tramite modello F24. Il provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate del 21 dicembre 2009 ha poi individuato un particolare tipo di
compensazioni a cui le predette disposizioni non si applicano: le compensazioni utilizzate per i
versamenti Iva periodici, in acconto e a saldo. Ciò in quanto, per tale tipo di pagamenti,
l’esposizione della compensazione nel modello F24 rappresenta solo una modalità alternativa
di esercitare la detrazione prevista dall’articolo 30 del D.P.R. n. 633 del 1972, che può essere
evidenziata all’interno della dichiarazione annuale.
Al di fuori di tale eccezione, tutte le altre ipotesi di compensazioni di crediti Iva soggiacciono
alle nuove regole e, perciò, anche quelle utilizzate per il pagamento delle somme individuate
dal citato decreto direttoriale.

2.10 Possibilità di utilizzare le ritenute subite per compensare debiti dell'associazione o della società
D: È possibile applicare le regole della circolare del 23 dicembre n. 56/E già con riferimento
alle ritenute subite dallo studio associato nel corso del 2009, laddove l’atto autorizzativo dei
soci, avente data certa, sia stipulato nei primi mesi del 2010? Lo studio può, in tal caso,
compensare la parte di ritenute ritrasferita dai soci, immediatamente dopo la sottoscrizione
dell’atto, come per ogni altro credito utilizzabile in compensazione che figurerà nella
dichiarazione dei redditi?
R: Con la circolare del 23 dicembre 2009, n. 56, è stato chiarito che lo studio associato, che
subisce in proprio le ritenute, e che deve poi provvedere al trasferimento delle stesse agli
associati in proporzione alle quote di partecipazione, può avocare a sé le ritenute che
residuano dopo il loro scomputo dall’ IRPEF dovuta dai medesimi, per utilizzare in
compensazione il credito ad esse relativo, purché i soci diano il loro assenso con atto avente
data certa o nell’atto costitutivo. Relativamente al momento in cui l’assenso degli associati
deve essere manifestato, la medesima circolare ha chiarito che lo stesso deve precedere
l’utilizzo in compensazione da parte dello studio associato del credito relativo alle ritenute
residue.
Pertanto, nulla osta a che il credito relativo alle ritenute residue subite nell’anno 2009 sia
utilizzato in compensazione dallo studio associato già a partire dal 1° gennaio 2010 (mediante
lo specifico codice tributo), purché l’atto di assenso degli associati abbia data certa
antecedente la data di compensazione, ed il credito risulti dalla dichiarazione annuale dello
studio associato da presentare entro il termine di ordinario del 30 settembre 2010.

2.11 Modalità per operare le ritenute e loro utilizzo in compensazione dei crediti tributari
D: Si chiede se sia consentito che i soci dello studio associato attribuiscano a quest’ultimo un
ammontare di ritenute inferiore a quello che residua dopo aver compensato l’IRPEF, in modo
tale da chiudere la propria dichiarazione individuale con un credito da compensare con il debito
per addizionali locali o per altri tributi propri (Ici, eccetera). Si chiede inoltre quale sia il criterio da utilizzare, in presenza di ritenute ulteriori rispetto a quelle attribuite dallo studio
associato (per esempio, da altre attività autonome o da lavoro dipendente), per individuare
l’importo prioritariamente utilizzato per compensare l’IREPF netta e, dunque, per stabilire
l’ammontare che può essere restituito all’associazione.
R: Con circolare del 23 dicembre 2009, n. 56, è stato chiarito che i soci o associati possono
consentire - in maniera espressa – che le ritenute relative ai redditi da partecipazione, che
residuano una volta operato lo scomputo dal debito IRPEF, siano ritrasferite alle società o
associazioni che le hanno subite, perché sia utilizzato in compensazione il credito che da esse
deriva.
Al riguardo, si è, comunque, dell’avviso che il socio – prima di ritrasferire le ritenute residue
alla società – possa trattenerne un’ulteriore quota da utilizzare per il pagamento di altri debiti
di imposta o contributivi.
Diversamente, una volta che la società ha avocato a sé le ritenute residue, non è ammesso il
ritrasferimento dalla società ai soci di eventuali importi residui di credito.
Inoltre, anche in presenza di ulteriori ritenute rispetto a quelle attribuite dallo studio
associato, non sussiste alcun criterio di priorità per l’imputazione delle ritenute da
compensare.

2.12 Scomputo delle ritenute per le associazioni professionali e ritrasferimento in capo all’associazione
D: Sul tema del “ritrasferimento” in capo all’associazione o società professionale delle ritenute
residuali da parte degli associati, stante l’assenza di una totale soggettività passiva del soggetto
collettivo e dalla presenza di alcune situazioni peculiari, si rende necessario conoscere se:
a) nel caso in cui il socio abbia erroneamente utilizzato le ritenute senza scomputare totalmente
il proprio debito IRPEF ed abbia, quindi, ritrasferito all’associazione più ritenute di quelle
spettanti, la stessa sia solidalmente responsabile con il cessionario dell’errore compiuto e se
possa essere soggetta all’eventuale recupero del credito emergente dalle ritenute residue,
ritraferito in misura superiore e a sua volta compensato;
b) si può confermare che lo scambio di corrispondenza, anche tramite PEC, ha validità ai fini della data certa;
c) l’atto avente data certa può essere redatto, con riferimento alle ritenute dell’anno 2009,
contestualmente alla data di definizione delle dichiarazioni UNICO 2010, della società o
associazione e dei soci o, addirittura, appena prima dell’utilizzo del credito in compensazione
in F24.
R: a) Per quanto concerne l’ipotesi in cui il socio abbia utilizzato erroneamente le ritenute,
senza scomputare totalmente il proprio debito IRPEF, ed abbia, quindi, ritrasferito
all’associazione un ammontare di ritenute residue superiore rispetto a quelle spettanti, si è
dell’avviso che non possa configurarsi una responsabilità solidale della società per l’errore
compiuto.
Resta inteso, naturalmente, che il socio dovrà assolvere mediante il pagamento diretto il debito
residuo IRPEF non scomputato dall’ammontare delle ritenute oramai ritrasferite alla società.
b) Con riguardo alle modalità con cui i soci o gli associati possono formalizzare il loro
assenso a che la società o associazione utilizzi in compensazione il credito relativo alla
ritenute residue, si ritiene che nulla osta all’utilizzo dello strumento della posta elettronica
certificata (PEC), in quanto tale strumento risulta idoneo ad attestare la certezza della data in
cui viene manifestata la volontà di autorizzare la compensazione.
c) Relativamente, infine, al momento in cui l’assenso degli associati deve essere manifestato,
con la circolare n. 56/E del 2009 è stato chiarito che lo stesso deve precedere l’utilizzo in
compensazione da parte della associazione del credito relativo alle ritenute residue. Pertanto,
nulla osta a che il credito relativo alle ritenute residue subite nell’anno 2009 sia utilizzato in
compensazione dall’associazione già a partire dal 1° gennaio 2010 (mediante lo specifico
codice tributo), purché l’atto di assenso degli associati abbia data certa antecedente la data di
compensazione, ed il credito risulti dalla dichiarazione annuale della associazione da
presentare entro il termine di ordinario del 30 settembre 2010.

2.13 Recupero credito vantato dai soci per effetto del ritrasferimento in capo alla società
D: Si chiede se, per effetto del ritrasferimento in capo alla società professionale delle ritenute
residue subite dalla società professionale (una volta scomputato il debito IRPEF del socio):
- il conguaglio debba essere regolato tra i soci sulla base dell’atto sottoscritto o se, quanto
ritrasferito, si debba ritenere un mero credito vantato dal socio nei confronti dell’associazione;
- tale conguaglio e/o scambio resta indenne da qualsiasi tipo di tassazione diretta.
R: Non rileva ai fini tributari il modo in cui i soci recuperano il credito da loro vantato, per
aver consentito alla società medesima di avocare a sé le ritenute che residuano una volta
operato lo scomputo del debito IRPEF, al fine di compensare il credito che da esse deriva.
Tali partite di giro hanno natura finanziaria e non sono, pertanto, soggette ad alcun tipo di
tassazione.

3 QUESITI IN MATERIA DI IVA

3.1 Inversione contabile su operazioni non imponibili o esenti
D: Per le operazioni effettuate in Italia da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi
residenti, debitore dell’imposta è il destinatario, che deve procedere all’autofatturazione. Nel
caso di operazioni non imponibili o esenti, si chiede di sapere se sia confermato l’obbligo di
emettere comunque autofattura e, in caso affermativo, se sia corretto ritenere che l’importo
dell’autofattura, annotata esclusivamente “per memoria” nel registro dell’art. 23 del D.P.R. del
1972 n.633 (al fine di non interrompere la consecuzione della numerazione delle fatture attive),
non debba essere riportato nel quadro VJ della dichiarazione annuale.
R: Nel caso in cui un’operazione rilevante ai fini IVA in Italia sia effettuata da un soggetto
passivo non stabilito nel territorio dello Stato nei confronti di un soggetto passivo ivi stabilito,
tutti gli adempimenti relativi all’applicazione dell’imposta gravano sul cessionario, il quale
dovrà procedere all’assolvimento dell’IVA secondo il meccanismo del c.d. reverse charge.
Quindi, nell’ipotesi di operazioni non imponibili o esenti, effettuate in Italia da soggetti non
residenti nei confronti di cessionari o committenti nazionali, questi ultimi provvedono
all’autofatturazione indicando in fattura, anziché l’IVA dovuta, gli estremi normativi in base ai
quali l’operazione risulta non imponibile o esente.
Il suddetto documento deve essere annotato nel registro delle fatture emesse e in quello delle fatture di acquisto (articoli 23 e 25 del DPR n. 633 del 1972), ma non deve essere riportato nel
quadro VJ della dichiarazione annuale, trattandosi di fattura senza esposizione di IVA.

3.2 Integrazione fattura fornitori Ue
D: Con riferimento alla riforma della territorialità, si chiede di sapere se i committenti soggetti
passivi italiani che ricevono fatture per prestazioni “generiche” da soggetti passivi Ue possano,
ai fini dell’assolvimento degli obblighi, continuare ad applicare l’imposta integrando
materialmente la fattura del fornitore anziché mediante emissione di autofattura, stante la
sostanziale equivalenza dei due sistemi.
R: Com’è noto, a decorrere dal 1° gennaio 2010, le prestazioni di servizi cosiddette generiche,
per le quali, cioè, non sono previste specifiche deroghe ai criteri di territorialità, rese da
soggetti passivi stabiliti all’estero nei confronti di soggetti passivi stabiliti in Italia, si
considerano territorialmente rilevanti nel territorio dello Stato (cd. criterio del luogo del
committente previsto dall’articolo 44 della Direttiva IVA, come modificato, a decorrere dal 1°
gennaio 2010, dall’articolo 2, n. 1), Dir. 12 febbraio 2008, n. 2008/8/CE).
In particolare, in ambito comunitario, la prestazione di servizi continua ad essere documentata
dal prestatore con fattura, ancorché trattasi di operazioni “fuori campo” IVA. Ciò stante il
committente (nonostante la norma contenuta nella bozza di decreto legislativo faccia
riferimento all’autofattura) conserva la facoltà di integrare il documento ricevuto dal
prestatore con l’IVA relativa, fermo restando l’obbligo di rispettare le regole generali sul
momento di effettuazione dell’operazione.

3.3 Trasporti extraUe
D: Impresa italiana commissiona una prestazione di trasporto di merci dalla Svizzera alla
Turchia. Secondo la nuova disciplina, tale prestazione, ancorché avente ad oggetto beni
trasportati fra due paesi extracomunitari, è territoriale in Italia, paese del committente. Ciò
premesso, si chiede se si tratti di un’operazione imponibile.
R: Trattandosi di prestazione di servizi tra due soggetti passivi, dei quali il committente è
residente nel territorio dello Stato, la stessa prestazione si considera territorialmente rilevante
in Italia.
Ai fini della individuazione del regime di imponibilità o di non imponibilità della predetta
prestazione occorre far riferimento all’articolo 9, comma 1, n. 2) D.P.R. n .633 del 1972 ai
sensi del quale sono operazioni non imponibili “ i trasporti relativi ai beni in esportazione, in
transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione”.
Nel caso oggetto della domanda, non ricorrono le condizioni previste dalla richiamata norma
per applicare il regime di non imponibilità, atteso che i beni trasportati non formano oggetto
di una operazione di esportazione, transito, importazione temporanea o definitiva.
Ne consegue che alla prestazione di trasporto oggetto di domanda si applica il regime di
imponibilità.

3.4 Rimborso ai non residenti
D: L’articolo 38-bis del D.P.R. n.633 del 1972 introdotto dallo schema di decreto legislativo
approvato dal governo il 12 novembre scorso, prevede che i soggetti residenti non possono
richiedere il rimborso dell’imposta assolta in un altro stato della Ue se hanno effettuato
unicamente operazioni esenti o non soggette senza diritto alla detrazione.
Quindi se un contribuente italiano ha effettuato operazioni esenti per esempio per il 90% del
proprio volume d’affari può chiedere il rimborso?
Si tenga conto che l’articolo 6 della direttiva 9/2008 fa riferimento al pro-rata.
R: Secondo quanto disposto dall’articolo 6 della Direttiva 2008/9/CE del Consiglio del 12
febbraio 2008, in fase di recepimento con il decreto legislativo sopra menzionato, “per poter
ottenere un rimborso nello Stato membro, il soggetto passivo che non sia nello stesso stabilito,
deve effettuare operazioni che danno diritto alla detrazione nello Stato membro in cui è
stabilito”. Ne consegue che il rimborso non è ammesso se durante il periodo di riferimento del
rimborso, il soggetto passivo abbia effettuato unicamente operazioni esenti o non soggette, che
non danno diritto alla detrazione dell’imposta.
Al fine di evitare distorsioni applicative del meccanismo di rimborso agevolato si deve ritenere che, nell’ipotesi in cui il soggetto passivo abbia effettuato solo in parte operazioni esenti,
l’ammontare del rimborso è ammesso in misura proporzionale alle operazioni che danno
diritto alla detrazione, conformemente a quanto disposto dall’articolo 6 della richiamata
direttiva che espressamente richiama il concetto di pro-rata dell'importo dell'IVA
rimborsabile.

3.5 Rimborso del credito finale IVA per cessata attività
D: In relazione ai crediti Iva risultanti dall’ultima dichiarazione annuale per cessata attività, ma
non richiesti a rimborso in tale sede, entro quale termine può essere presentato il modello VR
per la richiesta di rimborso? E nel caso in cui il credito sia stato indicato nella sezione 3 del
quadro RX del modello Unico, e pertanto “rigenerato”?
R: Ai sensi dell’articolo 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, per la richiesta di rimborso del
credito IVA va utilizzato l’apposito modello VR, da presentare a decorrere dal 1° febbraio
dell’anno successivo a quello di riferimento e fino al termine previsto per la presentazione
della dichiarazione annuale IVA, anche in forma unificata (è, comunque, considerato valido il
modello VR presentato entro 90 giorni dalla scadenza del termine). In assenza del modello VR
il credito IVA indicato nella dichiarazione annuale si intende imputato in detrazione e/o in
compensazione.
Pertanto, il soggetto passivo che ha cessato l’attività, può indicare il predetto credito IVA nel
quadro RX del modello Unico dell’anno successivo, quale credito proveniente da precedenti
periodi d'imposta. Ciò facendo, infatti, "la validità del credito viene rigenerata ed equiparata a
quella dei crediti formatisi nello stesso periodo" (cfr. Istruzioni al Modello Unico, Quadro RX,
sezione II), con possibilità di una sua utilizzazione in compensazione

3.6 Concessionario competente per rimborso credito annuale
D: Considerata l’attribuzione delle attività di accertamento e controllo dei contribuenti di
grandi dimensioni alle Direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate, si chiede di precisare a
quale agente della riscossione tali contribuenti devono presentare il modello VR.
R: Il passaggio alle Direzioni regionali dell’attività di accertamento e controllo dei
contribuenti di grandi dimensioni, operata in forza dell'art. 27, del decreto legge 29 novembre
2008, n. 185, non ha mutato l’ambito territoriale di competenza del concessionario della
riscossione che rimane, pertanto, invariato.

3.7 Regolarizzazione di violazioni concernenti il plafond
D: Nel corso del 2010, anteriormente al termine per la presentazione della dichiarazione
annuale per l’anno precedente, un contribuente procede alla regolarizzazione di acquisti in
sospensione d’imposta eccedenti il plafond effettuati a settembre 2009, emettendo autofattura e
versando l’imposta con il modello F24, codice tributo 6009. Premesso che le operazioni
regolarizzate e la relativa imposta versata confluiranno nella dichiarazione per il 2009, si
chiede conferma della legittimità dell’esercizio della detrazione dell’imposta risultante
dall’autofattura, previamente registrata ai sensi dell’art. 25, nella medesima dichiarazione.
R: Con più documenti di prassi (cfr. circolare 17 maggio 2000, n. 98/E, circolare 12 giugno
2002, n. 50/E, circolare 19 giugno 2002, n. 54/E, circolare 19 febbraio 2008, n. 12/E, cui si
rinvia), sono state chiarite le modalità per regolarizzare l’acquisto di beni e servizi senza
applicazione d’imposta oltre il limite del plafond.
Nel caso indicato nel quesito il contribuente che emette autofattura è obbligato, tra l’altro, a
versare, mediante il modello F24, l’imposta e gli interessi con il codice tributo relativo al
periodo in cui erroneamente è stato effettuato l’acquisto senza applicazione dell’IVA (nel caso
in esame, codice tributo 6009), nonché le sanzioni (codice tributo 8904) in misura ridotta ad
un decimo in caso di ravvedimento (di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del
1997), entro il 30 settembre 2010. L’autofattura deve essere annotata nel registro degli
acquisti e un esemplare deve essere presentato al locale ufficio delle entrate.
Attraverso tale procedura, l’imposta oggetto di regolarizzazione confluirà nell’ammontare
dell’imposta in detrazione della dichiarazione annuale relativa al 2009 e nell’ammontare dei
versamenti effettuati. Al fine di evitare la doppia detrazione dell’imposta regolarizzata sarà
necessario indicare nella dichiarazione annuale l’imposta regolarizzata anche in una posta di
debito, ossia nel quadro VE tra le variazioni e arrotondamenti di imposta (cfr istruzioni al modello di dichiarazione annuale IVA 2010 punto 4.2.2.).

3.8 Enti non commerciali non obbligati all’apertura della partita IVA
D: Un ente istituzionale, che non effettua alcuna attività rilevante ai fini IVA e che non ha
effettuato acquisti intracomunitari di beni e che, pertanto, non è dotato di partita IVA, se riceve
un servizio da un soggetto non residente è tenuto ad assolvere particolari obblighi?
R: In via preliminare si osserva che, nella normativa comunitaria vigente, diversamente da
quanto accade per i beni, in relazione alle prestazioni di servizio acquistate da enti non
commerciali residenti non è prevista alcuna soglia superata la quale sia dovuta l’imposta in
Italia e nasca l’obbligo di identificazione ai fini IVA.
Nell’ipotesi descritta, il servizio sarà soggetto ad IVA nel Paese del prestatore in quanto il
committente non rientra nella definizione “allargata” di soggetto passivo di cui all’articolo 43
della Direttiva 2006/112/CE.
Ciò resta valido a prescindere dall’ammontare dei servizi acquistati.

3.9 Tassazione immobili strumentali non ultimati
D: Un’impresa edile cede degli immobili strumentali in corso di costruzione a un’altra impresa
edile. La cessione viene regolarmente assoggettata a Iva, all'aliquota del 20%, senza
l'applicazione del regime dell'inversione contabile previsto dall'articolo 17, comma 6, lettera a)-
bis del DPR 633/72, perché gli immobili, non essendo ancora ultimati, non rientrano nella
disposizione dell’articolo 10, comma 1, n. 8-ter) del DPR 633/72. Vorremmo sapere se è
corretto applicare le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa per questa cessione, tenuto
conto che l'imposta proporzionale sarà poi applicata dalla seconda impresa edile che, una volta
ultimata la costruzione, venderà l’immobile strumentale al cliente “utilizzatore” finale.
R: Con la circolare n. 12/E del 1 marzo 2007 è stato precisato che la cessione di un fabbricato,
effettuata da un soggetto passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione
del medesimo, è esclusa dall’ambito applicativo dei nn. 8-bis) e 8-ter) dell’articolo 10 del DPR
n. 633 del 1972, in quanto trattasi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione, pertanto, deve essere in ogni caso assoggettata ad Iva con applicazione dell'aliquota ordinaria
del 20%.
Nel caso in esame, pertanto, trattandosi di cessione di immobili strumentali in corso di
costruzione - operazione esclusa dall’ambito applicativo dell’articolo 10 nn. 8-bis e 8-ter citati
- non si applicano, rispettivamente, l’articolo 1-bis della Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347 del
31 ottobre 1990 (imposta ipotecaria proporzionale del 3%) e l’articolo 10, comma 1, del
medesimo decreto (imposta catastale proporzionale dell’1%), in quanto le disposizioni citate si
applicano agli atti che comportano trasferimento di proprietà di beni immobili strumentali ai
sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 8-ter), del decreto IVA, da cui, come sopra ribadito, sono
esclusi i fabbricati non ultimati.
Conseguentemente, risulta pienamente operante, nella fattispecie rappresentata, il principio di
alternatività tra IVA e imposte di registro, ipotecaria e catastale, per cui queste ultime sono
dovute in misura fissa.
Nello specifico, per quanto concerne l’imposta ipotecaria, si rientra nell’ambito applicativo
della nota all’articolo 1 della Tariffa allegata al D.Lgs. n. 347 del 1990, laddove viene
stabilito che “L’imposta si applica nella misura fissa di euro 168,00 per i trasferimenti
soggetti all’imposta sul valore aggiunto, nonché per quelli di cui all’articolo 1, comma 1,
quarto e quinto periodo, della Tariffa, parte prima” allegata al DPR 26 aprile 1986, n. 131.
Per quanto concerne l’imposta catastale, invece, l’imposta è dovuta nella misura fissa di euro
168,00, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, del D.Lgs. n. 347 del 1990.
Va da sé che alla cessione dell’immobile ultimato effettuata dalla seconda impresa edile si
applicano le imposte catastale ed ipotecaria in misura proporzionale.

4 ESCLUSIONE DA IMPOSIZIONE FISCALE DEGLI AUMENTI DI CAPITALE

4.1 Mantenimento dell’incremento di patrimonio
D: Sul tema dell’agevolazione per aumenti di capitale di cui al comma 3-ter dell’articolo 5 del
D.L. n. 78/2009, si chiede se:
- l’incremento di capitale deve essere mantenuto per tutto il periodo di vigenza
dell’agevolazione (5 anni);
- la riduzione del patrimonio netto si verifica anche nel caso di distribuzione di riserve di utili
esistenti alla data di entrata in vigore dell’agevolazione;
- la riduzione del patrimonio netto ha effetto a partire dal periodo d’imposta in cui detta
riduzione si realizza o ha anche effetto retroattivo, con conseguente recupero dell’agevolazione
fruita negli esercizi precedenti.
R: Con circolare n. 53/E del 21 dicembre 2009 è stato specificato che “il rendimento presunto
del 3 per cento annuo escluso da imposizione in ciascun periodo di imposta di vigenza
dell’agevolazione si applica sull’aumento di capitale effettivamente versato che costituisce un
permanente incremento di patrimonio netto rispetto all’ammontare esistente al 4 agosto 2009
(giorno antecedente alla data di entrata in vigore della norma in esame), escludendone gli utili
di cui è stata già deliberata la distribuzione ai soci alla suddetta data e i versamenti in conto
aumento capitale sociale per aumenti di capitale deliberati in precedenza e perfezionati dal 5
agosto 2009”.
Al riguardo, con riferimento ai quesiti posti, si precisa che la distribuzione di riserve di utili
facenti parte del patrimonio netto esistente al 4 agosto 2009 rileva quale riduzione del
patrimonio netto ai fini della determinazione dell’importo dell’agevolazione spettante. Le
riduzioni di patrimonio netto assumono rilievo anche se effettuate dopo il 5 febbraio 2010, e
hanno effetto nel periodo d’imposta in cui verificano e nei periodi d’imposta successivi. In
altre parole, le riduzioni di patrimonio netto non hanno effetto sulla detassazione operata nei
periodi d’imposta antecedenti al loro verificarsi.
Il rendimento presunto escluso da imposizione fiscale in ciascun periodo di imposta di vigenza
dell’agevolazione deve, quindi, essere calcolato applicando l’aliquota del 3 per cento
sull’importo dell’aumento di capitale che residua dopo la riduzione di patrimonio netto. Ad
esempio, se una società interamente partecipata da persone fisiche il 1° febbraio 2010
aumenta il capitale di 200.000 euro e il 30 ottobre 2011 distribuisce riserve ai soci per
100.000 euro, l’importo rilevante ai fini del calcolo del rendimento presunto è di 200.000 euro
per il periodo d’imposta 2010 e di 100.000 euro per il periodo d’imposta 2011 e per i periodi
di imposta successivi.

4.2 Aumenti di capitale sociale perfezionati prima del 5 agosto 2009
D: Nel caso di aumento di capitale deliberato il 10 gennaio 2009, con versamento soltanto del
25% e ulteriori decimi residui (75%) versati in dicembre 2009, si deve ritenere l’operazione
agevolabile in quanto i versamenti sono effettuati successivamente alla data del 5 agosto 2009?
La circolare n. 53/E del 21 dicembre 2009 ha, infatti, individuato come elemento necessario per
il calcolo dell’agevolazione l’effettivo “versamento”, cioè il materiale afflusso di risorse nella
società.
R: Con circolare n. 53/E del 21 dicembre 2009 è stato precisato che gli aumenti di capitale
sociale s’intendono perfezionati alla data di iscrizione della delibera di aumento nel registro
delle imprese. Tale iscrizione deve avvenire a decorrere dal 5 agosto 2009 e fino al 5 febbraio
2010. Per gli aumenti di capitale sociale così perfezionati rilevano i versamenti effettuati entro
il 5 febbraio 2010. Pertanto, la descritta operazione di aumento del capitale sociale non è
agevolabile trattandosi di delibera di aumento iscritta nel registro delle imprese prima
dell’entrata in vigore della norma agevolativa (5 agosto 2009). Al riguardo non rileva la
circostanza che i versamenti degli importi residui nella misura del 75 per cento dei
conferimenti siano stati effettuati nel mese di dicembre 2009.

4.3 Rinuncia incondizionata del socio al credito
D: La circolare 53/E del 2009 ha chiarito che gli aumenti di capitale debbono essere eseguiti
mediante versamenti di denaro a fondo perduto e mediante rinuncia incondizionata al diritto
alla restituzione di crediti da parte dei soci, naturalmente “persone fisiche” e si debbono
intendere perfezionati, rispettivamente, nella data in cui il versamento stesso è effettuato o nella
data dell’atto di rinuncia.
In tale ultimo caso si chiede se l’atto di rinuncia debba essere effettuato con atto avente data
certa (scambio di corrispondenza o mail certificata) o basta una delibera dei soci, regolarmente
trascritta sul registro dei verbali, anteriormente alla chiusura in cui si vuol fruire
dell’agevolazione.
Lo stesso dicasi anche per i versamenti in c/capitale effettuati a seguito di scambio di corrispondenza, anche mediante posta elettronica certificata.
R: Con circolare n. 53/E del 21 dicembre 2009, è stato che precisato che “i conferimenti e i
versamenti, in qualunque forma, devono essere effettuati mediante modalità che consentano di
verificarne con certezza la data in cui sono avvenuti e il relativo importo”. Si ribadisce che
l’atto di rinuncia incondizionata al diritto alla restituzione di crediti da parte di soci persone
fisiche deve avvenire mediante modalità che consentano di verificarne con certezza la data. Ai
fini dell’agevolazione in esame può far fede, ad esempio, la data risultante dalla “posta
elettronica certificata” (c.d. PEC) inviata dal socio alla società o la data di consegna al
servizio postale risultante dal timbro datario apposto su lettera raccomandata. La data della
delibera dei soci, se il relativo verbale non è redatto da un notaio, non è sufficiente a tal fine.
Si ricorda che gli aumenti di capitale proprio eseguiti mediante versamenti di denaro a fondo
perduto si intendono perfezionati nella data in cui il versamento è effettuato.

5 AGEVOLAZIONE TREMONTI-TER

5.1 Destinazione dei beni compresi nella divisione 28 della tabella ATECO 2007
D: La circolare 44/E del 2009 ha chiarito che gli investimenti in beni della divisione 28
rilevano ai fini della Tremonti ter anche se sono destinati a essere inseriti in impianti e strutture
più complessi già esistenti e non compresi nella divisione 28. Questa precisazione può valere
anche per beni che non vengono inseriti ma costituiscono solo dotazione per l’utilizzo di
impianti non compresi?
R: Come specificato dalla prassi richiamata, sono considerati agevolabili gli investimenti in
beni nuovi compresi nella divisione 28 della tabella ATECO 2007, in qualunque modo
impiegati all’interno di un processo produttivo, con la sola esclusione dei c.d. beni merce e di
quelli trasformati o assemblati per l’ottenimento di prodotti destinati alla vendita. Si ritiene,
pertanto, che possono essere agevolabili anche gli investimenti in beni della divisione 28 della
tabella ATECO 2007 costituenti una semplice dotazione di impianti non compresi nella citata
divisione 28.

5.2 Investimenti in beni non compresi nella divisione 28 della tabella ATECO 2007
D: La circolare 44/E del 27 ottobre 2009 ha precisato che gli investimenti complessi in beni
nuovi non agevolabili in quanto non compresi nella divisione 28 potrebbero comunque essere
agevolabili nei limiti del costo dei nuovi macchinari e delle nuove apparecchiature compresi
nella divisione 28 che fanno parte del bene complesso. Come si fa a determinare tale valore? E’
necessaria una perizia o può essere sufficiente la certificazione del dato da parte del cedente?
R: Nell’ipotesi di investimento in un nuovo bene complesso non compreso nella divisione 28
della tabella ATECO 2007, costituito anche da nuovi macchinari e nuove apparecchiature
compresi nella divisione 28, l’agevolazione spetta limitatamente al costo riferibile a questi
ultimi beni oggettivamente individuabili. Al riguardo si ritiene che, ove non risulti
distintamente indicato nella fattura d’acquisto del bene complesso, il costo dei beni agevolabili
può essere determinato anche sulla base di una dichiarazione rilasciata dal cedente del bene
che indichi i macchinari e le apparecchiature agevolabili che fanno parte del bene complesso e
il costo ad essi riferibile.

6 LA RIVALUTAZIONE DEI TERRENI E DELLE QUOTE

6.1 Valore della nuda proprietà in caso di estinzione dell'usufrutto
D: Se la rivalutazione è effettuata dal solo nudo proprietario e se l’usufrutto si estingue prima
della cessione del bene (ad esempio per morte dell’usufruttuario), in sede di cessione della
piena proprietà da parte dell’ex nudo proprietario (ora pieno proprietario) è possibile che questi
possa portare in aumento del valore periziato anche il valore dell’usufrutto che era in capo all’
usufruttuario ?
R: La Circolare n. 12/E del 31 gennaio 2002, con riferimento alla disciplina dettata dalla
legge 28 dicembre 2001, n. 448, ha precisato che possono usufruire della rideterminazione del
valore dei terreni o delle partecipazioni i contribuenti che, alla data di riferimento
(attualmente, il 1° gennaio 2010), possiedono i beni rivalutabili a titolo di proprietà ovvero siano titolari di altro diritto reale sugli stessi.
Con particolare riguardo al diritto di usufrutto, pertanto, la rideterminazione dei valori spetta
sia al nudo proprietario che all’usufruttuario relativamente ai diritti di ciascuno.
Tuttavia, occorre tener presente che, ai sensi dell’articolo 979 del codice civile, l’usufrutto
deve avere una durata limitata, visto che lo stesso non può eccedere la vita dell’usufruttuario.
Pertanto, nell’ipotesi di estinzione dell’usufrutto (a titolo successorio ovvero ad altro titolo), i
beni sono detenuti dal nuovo possessore a titolo di piena proprietà per effetto del principio di
riespansione del diritto di proprietà. Di conseguenza, il nuovo possessore, in sede di cessione
dei beni, non può assumere come costo il valore del diritto di usufrutto.

6.2 Rivalutazione dell'usufrutto e consolidazione dell'usufrutto con la nuda proprietà
D: Se la rivalutazione è stata effettuata sia dall’usufruttuario che dal nudo proprietario e se
l’usufrutto si estingue, il nudo proprietario (che sia o meno erede dell’usufruttuario) può
aumentare il valore periziato della nuda proprietà con il valore periziato in capo
all’usufruttuario? In altri termini, l’estinzione dell’usufrutto rende irrilevante la rivalutazione
che l’usufruttuario abbia compiuto ?
R: Il contribuente che diventi pieno proprietario del terreno non può portare ad aumento del
proprio costo il valore rideterminato del diritto di usufrutto in quanto il bene è posseduto a
titolo di piena proprietà per effetto del principio di riespansione del diritto di proprietà che
avviene automaticamente con l’estinzione dell’usufrutto.

7 SCUDO FISCALE: LA TASSAZIONE DEI REDDITI EMERSI E I NUOVI
OBBLIGHI SUL QUADRO RW

7.1 Esonero dalla compilazione del modulo RW per i beni oggetto di operazioni di
rimpatrio

D: Qual è la norma di legge che esonera dalla compilazione del modulo RW coloro che hanno
effettuato un rimpatrio giuridico di beni patrimoniali diversi dalle attività finanziarie (circolare
49/E del 26 novembre 2009, risposta 2.6)?
R: L’esonero dalla compilazione del modulo RW riguarda tutti i beni (di natura finanziaria e
di natura patrimoniale) oggetto di operazioni di rimpatrio, fisico e giuridico. Ciò in quanto
l’intermediario che assume l’incarico di ricevere in deposito o in amministrazione i beni
rimpatriati, indipendentemente dal luogo di effettiva collocazione delle attività, applica le
ordinarie ritenute alla fonte o imposte sostitutive ed effettua le comunicazioni
all’Amministrazione finanziaria dei redditi soggetti a ritenuta a titolo d’acconto ovvero delle
operazioni suscettibili di produrre redditi imponibili non assoggettati al prelievo.

7.2 Applicazione dell'imposta sostitutiva sui proventi da parte dell'intermediario
finanziario

D: Perché la circolare 49/E, paragrafo 7.1, afferma che nel caso in cui la compagnia estera non
applichi la ritenuta di cui all’articolo 26 ter del Dpr n. 600 del 29 settembre 1973 il
contribuente è tenuto anche agli obblighi dichiarativi derivanti dalle disposizioni relative al
monitoraggio fiscale contenute nell’articolo 4 del decreto legge 167 del 1990, mentre le
istruzioni al modulo RW dicono che il modulo RW deve essere compilato solo se “le
prestazioni non sono pagate attraverso un intermediario italiano”?
R: L’articolo 4, comma 4, del decreto legge n. 167 del 28 giugno 1990 accorda l’esenzione
dagli obblighi di evidenza nel modulo RW ai contratti conclusi per il tramite di intermediari
finanziari residenti all’ulteriore condizione che anche tutte le vicende contrattuali successive
alla stipula del contratto che determinino flussi di pagamento a favore del contraente
avvengano attraverso l’intervento di intermediari residenti (es. estinzione del contratto,
pagamento dei proventi). Le conclusioni indicate nella circolare n. 49/E, par. 7.1., non si
pongono in contrasto con il disposto normativo in quanto la circostanza che il provento
derivante dal riscatto di una polizza sia assoggettato all’imposta sostitutiva di cui all’articolo
26-ter del D.P.R. n. 600 del 1973 non esime, di per sé, il contribuente dagli obblighi
dichiarativi se lo stesso non ha conferito ad un intermediario finanziario italiano l’incarico di
regolare tutti i flussi connessi con l’investimento, disinvestimento ed il pagamento dei proventi.
I presupposti che determinano l’applicazione della predetta imposta sostituiva sui proventi possono prescindere, infatti, dall’esistenza di un incarico a regolare i flussi di pagamento
relativi al contratto affidato ad un intermediario residente – che, invece, è il presupposto per
l’esonero previsto dall’articolo 4, comma 4, del decreto legge n. 167 del 1990 - in quanto
l’imposta sostitutiva può essere applicata direttamente dall’impresa di assicurativa estera
anche nel caso in cui il contraente non abbia affidato alcun incarico di amministrare i flussi
connessi al contratto ad un intermediario residente.

8 GLI STUDI DI SETTORE, IL REDDITOMETRO E LE ALTRE NOVITÀ
SULL’ACCERTAMENTO

8.1 Incremento dell’accertamento sintetico
D: I primi dati diffusi da alcune DRE dimostrano un forte impulso all’accertamento tramite
redditometro nel corso del 2009. Quanto merito deve essere ascritto, anche in termini di
recuperi medi, ai nuovi indici di ricchezza (viaggi all’estero, circoli privati, etc)?
R: Il forte incremento, rispetto all’anno 2008, dell’accertamento sintetico, di cui il
redditometro costituisce uno strumento di ricostruzione del reddito complessivo, è da attribuire
anche alla capillare raccolta di dati avvenuta sia con flussi informatici strutturati che tramite
l’acquisizione di dati sul territorio. In tale ambito hanno assunto particolare rilievo gli
elementi che caratterizzano la capacità di spesa relativa a beni non di prima necessità quali: le
imbarcazioni, le auto di lusso, possesso di cavalli, iscrizione a scuole e circoli esclusivi,
acquisto di opere d’arte ecc.

8.2 Personalizzazione del risultato degli studi di settore utilizzati in contraddittorio
D: Con le sentenze 26638, 26637, 26636, 26635 della Corte di cassazione a sezioni unite,
depositate il 18 dicembre 2009, è stato ribadito che il risultato degli studi di settore deve
necessariamente essere personalizzato nell’ambito del contraddittorio. E ciò, evidentemente,
deve essere fatto con elementi che riguardano l’attività d’impresa o di lavoro autonomo.
Ritiene, pertanto, l’Agenzia di mutare il proprio orientamento circa l’utilizzo di semplici
elementi “indice” estrapolati dal redditometro, come le autovetture e gli immobili, che non hanno alcuna attinenza con l’attività d’impresa o di lavoro autonomo, per avvalorare
l’eventuale posizione di “non congruità” derivante dal software Gerico?
R: Le sentenze della Cassazione non fanno riferimento alle caratteristiche degli elementi che,
nell’ambito del necessario contraddittorio, possono contribuire alla “personalizzazione” del
risultato degli studi di settore (rectius: alla conferma della alta probabilità che il risultato sia
coerente con l’effettiva situazione del contribuente).
L’Agenzia non ritiene di mutare il proprio orientamento, dato che lo stesso non riguarda
affatto, come spiegato in numerosissime occasioni, l’utilizzo di elementi “indice” estrapolati
dal redditometro.
In base alle direttive recentemente impartite, infatti, gli Uffici utilizzano elementi di conferma
delle risultanze degli studi di settore sia direttamente connessi all’attività d’impresa o di
lavoro autonomo (indicatori di coerenza, redditività a livello pluriennale, e così via), sia
concernenti il maggior reddito d’impresa o lavoro autonomo derivante dai ricavi o compensi
risultanti dagli studi, in tal caso rappresentati da elementi denotanti una capacità contributiva
significativamente superiore a quella espressa dai detti redditi dichiarati (ovviamente
considerando l’eventuale esistenza di redditi di diversa natura). Tale orientamento sta dando
risultati assai significativi, sia in termini di recupero di evasione pregressa, sia in termini di
definizione degli accertamenti (quest’ultima certamente favorita dalla particolare
“persuasività” degli elementi utilizzati per supportare le risultanze degli studi la cui efficacia
viene immediatamente colta dagli stessi contribuenti interessati).

8.3 Presunzione legale relativa dell'accertamento fondato sul redditometro
D: L’accertamento fondato sul redditometro si fonda su una presunzione legale relativa.
Secondo l’Agenzia, il contribuente deve dare dimostrazione che il reddito presunto non esiste o
esiste in misura inferiore oppure è sufficiente dimostrare la capacità di mantenimento dei beni e
dei servizi “indice” ai fini del redditometro, come, per esempio, le abitazioni, le autovetture, gli
aeromobili, eccetera ?
R: La presunzione relativa può essere contrastata con vari elementi di prova contraria. Tra questi va certamente compresa la dimostrazione che le spese per il mantenimento dei beni e
servizi indice di capacità contributiva (dalle quali viene desunto il maggior reddito
determinato sinteticamente) sono state coperte con elementi patrimoniali accumulati in periodi
d’imposta precedenti o sono state finanziate da economie terze.

8.4 Scostamento rispetto al reddito dichiarato
D: Ai fini del redditometro lo scostamento rispetto al reddito dichiarato deve riguardare almeno
due periodi d’imposta. Questi due periodi d’imposta devono essere consecutivi?
R: Il tenore letterale dell’art. 38, 4° comma, del D.P.R. 600/73, non impone che lo scostamento
debba riguardare periodi d’imposta consecutivi.

9 SANZIONI

9.1 Definizione agevolata delle sanzioni

D: L’art. 17 del D.Lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997 consente al contribuente il pagamento
delle sanzioni collegate al tributo in misura ridotta entro il termine di proposizione del ricorso.
Tale facoltà viene puntualmente evidenziata nell’avviso di accertamento. Il contribuente può
quindi pagare le sanzioni (in misura ridotta) ma impugnare la pretesa impositiva da cui
scaturiscono le sanzioni.
Nel caso in cui all’esito del ricorso avverso il tributo la Commissione tributaria rettifica a
favore del contribuente la pretesa dell’Ufficio, è possibile richiedere la restituzione delle
sanzioni a suo tempo versate e, all’esito della sentenza, risultanti in eccedenza? Tenendo
presente che in tema di esecuzione delle sanzioni a norma dell’art. 19, comma 6, del medesimo
D.Lgs. n. 472 del 1997 viene previsto che “se in esito alla sentenza di primo o di secondo grado
la somma corrisposta eccede quella che risulta dovuta, l'Ufficio deve provvedere al rimborso
entro novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza”.
R: La definizione agevolata della sanzione - attraverso il versamento in misura ridotta entro il
termine per proporre ricorso - determina l’estinzione della potenziale controversia afferente la contestata violazione delle norme tributarie con l’effetto che colui che se ne è avvalso non
potrà invocare l’esito positivo dell’eventuale contenzioso radicatosi in ordine alla violazione
sottesa alla sanzione definita.
Quindi, nell’ipotesi in cui il contribuente abbia versato il quarto della misura afflittiva
connessa ad una pretesa impositiva e, contestualmente, abbia adito il Giudice tributario per
contestare la maggiore imposta richiesta, la sentenza che dovesse definire il giudizio, negando
la sussistenza della violazione, non darebbe comunque titolo alla ripetizione di quanto
percepito dall’Ente impositore in base alla definizione agevolata della sanzione, stante
l’intangibilità della definizione stessa.
Tale principio è stato affermato dalla Cassazione relativamente all’analoga procedura di
definizione agevolata delle sanzioni di cui all’abrogato art. 58, quarto comma, del D.P.R. n.
633 del 1972. I giudici di legittimità hanno infatti affermato che “il versamento previsto dal
D.P.R. n. 633 del 1972, art. 58, comma 4, - integrando esercizio di una facoltà del
contribuente, con pagamento di una percentuale della pena massima edittale senza alcun
collegamento con la sanzione pecuniaria in concreto irrogata - presenta i connotati
dell'oblazione o definizione agevolata, per prevenire od elidere ogni contesa sull'an ed il
quantum della sanzione medesima e così si sottrae ad ogni possibilità di ripetizione, in
conseguenza della non sindacabilità dei presupposti di detta irrogazione (v. Cass. 11154/06,
12695/04, 1853/00)” (cfr. Cass. n. 12447 del 27 maggio 2009, in senso conforme Cass. n.
19558 del 16 luglio 2008, n. 13042 del 14 luglio 2004).
Si segnala inoltre che di recente la CTP di Bergamo con la sentenza n. 64 del 30 ottobre 2008,
relativamente ad un'ipotesi di definizione agevolata delle sanzioni di cui al citato art. 17 del
D.Lgs. n. 472 del 1997 ha affermato che “le sanzioni pagate rimangono definitivamente ed
irreversibilmente acquisite dal Fisco, a prescindere dall'esito del ricorso sui rilievi principali
che hanno dato luogo all'irrogazione delle sanzioni”.

9.2 Applicabilità dell’art. 101 c.p.c. al processo tributario
D: La legge n. 69 del 18 giugno 2009, ha introdotto all’art. 101 c.p.c. la previsione secondo cui
il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio,
riserva la decisione, assegnando alle parti a pena di nullità un termine non inferiore a 20 e non superiore a 40 giorni per il deposito in cancelleria di memorie concernenti osservazioni sulla
questione. L’Agenzia delle entrate ritiene applicabile anche al processo tributario tale
previsione?
R: Con la modifica di cui all’art. 101 c.p.c., il legislatore, sulla falsariga di quanto già
previsto per il giudizio di legittimità dall’art. 384, terzo comma, c.p.c., ha previsto che, anche
nei gradi di merito, le parti possono depositare memorie scritte, ogniqualvolta il giudice
decida di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio.
Tale modifica dovrebbe trovare applicazione anche nel processo tributario in quanto nel
D.Lgs. n. 546 del31 dicembre 1992 non sussistono norme che risultino incompatibili con tale
disposizione (quindi il novellato art. 101 c.p.c. trova applicazione quando la Commissione
tributaria intende porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio come, ad
esempio, il difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992).

9.3 Mancanza di sottoscrizione degli atti di accertamento
D: Alcune volte l’avviso di accertamento non viene sottoscritto dal Direttore dell’Ufficio ma da
un funzionario, senza che sia stata allegata la delega eventualmente rilasciata dal Direttore.
Secondo alcune sentenze della Suprema Corte (nn.14626/2000 e 10513/2008) “…l’avviso di
accertamento è nullo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, art 42, se non reca la
sottoscrizione del Capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.
Se la sottoscrizione non è quella del Capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale
direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in
caso di contestazione, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza
della delega del titolare dell’Ufficio. Fermi, infatti, i casi di sostituzione e reggenza di cui al
D.P.R. 8 maggio 1987, n.266, art. 20, comma 1, lett. a) e b), è espressamente richiesta la
delega a sottoscrivere: il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla
sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al Capo
dell’ufficio (Cass. sez. 5, n.14626 del 10.11.2000)”.
In relazione a quanto precede si chiede di precisare se sia sufficiente citare la delega o se essa
debba essere allegata.
R: Le regole per la sottoscrizione degli avvisi di accertamento sono dettate dal comma 6
dell’art. 5 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate.
Il citato articolo prevede che “…Gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione
provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, su delega di questi, dal direttore
dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari, a seconda
della rilevanza e complessità degli atti”.
Non è necessario che la delega sia allegata.
La giurisprudenza ha più volte escluso l’obbligo di allegare la delega di firma (cfr. Cass. n.
28036 del 30 dicembre 2009, in senso conforme Cass. n. 874 del 15 gennaio 2009, n. 13908 del
28 maggio 2008 e n. 3058 del 6 dicembre 2007).
Del resto, l’obbligo di allegazione della delega non viene affermato neppure dalle sentenze
citate nel quesito.

9.4 Ricorrenza del Santo patrono – Termini processuali
D: Tra i giorni festivi che consentono la proroga della scadenza di diritto al primo giorno
seguente non festivo (art. 155 c.p.c.) non sembra rientrino le festività del Santo patrono
cittadino, fatta eccezione per la festa dei Santi Pietro e Paolo con riferimento al comune di
Roma. Si ritiene, infatti, che occorra far riferimento all’elenco delle festività previsto dall’art. 2
della legge n. 260 del 1949 che non include la festività del Santo patrono (fatta eccezione per il
comune di Roma).
Tuttavia nel giorno della ricorrenza del Santo patrono gli uffici pubblici (ad esempio, segreterie
delle Commissioni tributarie) ubicati nel comune, di norma, sono chiusi, e, sovente, anche gli
uffici postali. Quindi, qualora l’ultimo giorno utile per il deposito del ricorso presso la
segreteria della Commissione tributaria provinciale o regionale coincida con la festività del
Santo patrono, il contribuente e l’ufficio non possono costituirsi in giudizio, con tutte le gravi
conseguenze del caso (inammissibilità del ricorso).
Poiché in queste ipotesi di fatto verrebbe negata al contribuente la possibilità di fruire dei
termini previsti per legge per cause a lui non imputabili, è possibile procedere agli adempimenti
comunque il giorno seguente non festivo? In caso negativo che azioni potrebbe esperire il contribuente per non essere penalizzato dal fatto che la scadenza coincide con la festa del Santo
patrono?
R: La ricorrenza del Santo patrono non è considerata giorno festivo ai fini della proroga dei
termini processuali prevista dall’art. 155 c.p.c..
Eccezion fatta per la festa dei Santi Pietro e Paolo con riferimento al comune di Roma, la festa
del Santo patrono, ai fini del compimento di atti giuridici, non può essere considerata giorno
festivo, non essendo inserita nell’elenco delle festività di cui all’art. 2 della legge 27 maggio
1949, n. 260.
Pertanto nel caso in cui la scadenza dovesse coincidere con la ricorrenza del Santo patrono,
non è possibile procedere agli adempimenti il giorno seguente non festivo.
Con riferimento agli Uffici postali, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 12533 del 14
dicembre 1998, ha precisato che “La circostanza che in detto giorno, festa religiosa locale,
l’Ufficio postale non distribuisse la corrispondenza non può determinare la proroga ed il
conseguente prolungamento del termine perentorio per la proposizione dell’appello fissato
dall’art. 325 c.p.c. Il ricorrente aveva l’onere di conoscere gli orari degli Uffici postali e
assumere provvedimenti opportuni per evitare la decadenza, anticipando, ad esempio, la
spedizione dell'atto da notificare o ricorrendo alla notifica a mezzo di Ufficiale giudiziario. In
proposito è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale, respingendo la questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost., dell’art. 3 legge n. 260 del
1949 (norma che, in materia di solennità civili, mentre prevede la riduzione dell'orario dei
pubblici Uffici non dispone la proroga al giorno successivo dei termini processuali) ha statuito
che sul diritto di difesa come su quello della tutela giurisdizionale in nessun modo incide
l’orario dei pubblici Uffici che il soggetto privato ha l’onere di conoscere per una diligente
cura dei suoi interessi”.
Peraltro, valendo il principio per tutte le parti processuali e quindi anche per l’Agenzia delle
entrate, nessuna disparità di trattamento è riscontrabile.

9.5 Sospensione dell’esecuzione dell’avviso di accertamento
D: L’art. 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992 consente al contribuente di chiedere al giudice la
sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato. Di norma il contribuente già in sede di ricorso
introduttivo contro un avviso di accertamento chiede alla Commissone tributaria provinciale la
sospensione in quanto l’Ufficio, in pendenza del giudizio di primo grado, deve iscrivere a ruolo
la metà delle maggiori imposte oggetto di accertamento. Questa procedura è in linea con
l’orientamento espresso dall’amministrazione in varie circolari (per tutte, la 98/E del 1996).
Tuttavia alcune commissioni tributarie ritengono invece che tale richiesta possa essere proposta
solo dopo la notifica della cartella di pagamento contenente l’iscrizione a ruolo della metà delle
maggiori imposte. Talvolta anche alcuni uffici chiedono l’inammissibilità della sospensiva
riferita all’avviso di accertamento.
In relazione a quanto precede si chiede di confermare l’orientamento dell’Agenzia delle entrate
in base al quale la sospensione dell’esecuzione dell’atto può riguardare anche l’avviso di
accertamento senza necessità di attendere la successiva cartella di pagamento e quindi con
dispendio di risorse per il contribuente.
R: Al riguardo, si conferma l’orientamento espresso a commento dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546
del 1992, nella circolare n. 98/E del 23 aprile 1996, secondo cui l’istanza di sospensione “è
ammissibile per l’avviso di accertamento dei tributi, nelle sue varie forme di rettifica delle
dichiarazioni di accertamenti d’ufficio e di accertamento valori, per l’avviso di liquidazione
del tributo, per il provvedimento che irroga la sanzione, per il ruolo e la cartella di pagamento
e per l’avviso di mora”, nonché nella circolare n. 291/E del 18 dicembre 1996, in cui si è
riconosciuto che “l’esecutività del ruolo può arrestarsi anche per effetto di un precedente
provvedimento di sospensione dell’efficacia dell’avviso di accertamento del tributo”.
Peraltro, non è ammessa l’impugnazione della cartella di pagamento al solo fine di chiederne
la sospensione dell’esecuzione, posto che, ai sensi dell’art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del
1992, la cartella è impugnabile esclusivamente per vizi propri.
È da considerare, peraltro, che la valutazione della gravità ed irreparabilità del danno di cui
all’art. 47 del D.Lgs. n. 546 del 1992 va puntualmente riferita alle condizioni esistenti alla
data di scadenza della cartella di pagamento emessa in esecuzione dell’avviso di accertamento, posto che prima di tale momento la condizione dell’esistenza e dell’attualità di
un danno grave ed irreparabile può difficilmente configurarsi.
Si ritiene inoltre che la valutazione della concreta ed effettiva sussistenza della gravità ed
irreparabilità del danno vada fatta tenendo presente anche la possibilità che al contribuente
possa essere concessa la dilazione del pagamento di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 602 del 1973.
In particolare, il danno grave ed irreparabile va valutato in relazione all’ammontare ed alla
scadenza delle rate in cui può essere dilazionato il debito.

9.6 Autorizzazione all’appello
D: L’art. 52 comma 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992 prevede che gli uffici devono essere
previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale dal responsabile del servizio
del contenzioso della competente Direzione regionale.
Talvolta gli uffici citano gli estremi dell’autorizzazione ma omettono di allegarla. Si chiede se
sussiste questo obbligo in capo agli uffici e se sono state impartite direttive in tal senso alle
unità operative che operano nel settore del contenzioso.
R: Con riferimento all’assetto organizzativo precedente all’attivazione delle Agenzie fiscali,
l’orientamento dei giudici di legittimità si è consolidato nel senso che “l’esistenza di una
autorizzazione rilasciata da organo competente e prima della proposizione dell’appello
principale costituisce presupposto processuale, la cui mancanza determina l’inammissibilità
dell’appello, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, e che pur non dovendo detta
autorizzazione essere notificata alla controparte né sussistendo l’obbligo di riportarne gli
estremi nell’atto di impugnazione, è necessario che essa (non una attestazione relativa alla sua
esistenza) sia depositata fra gli atti di causa, necessariamente nell’ambito del giudizio di
secondo grado, per consentire al giudice di verificare la sua esistenza e validità con riguardo
al soggetto autorizzante e ai tempi di rilascio di tale autorizzazione” (cfr. Cass. n. 27052 del
13 novembre 2008; in senso conforme, Cass. n. 26522 del 5 novembre 2008; n. 21236 del 6
agosto 2008; n. 1914 del 29 gennaio 2008).
Ai fini dell’ammissibilità dei ricorsi in appello notificati al contribuente è, quindi, sempre
necessario che l’autorizzazione all’appello sia depositata in Commissione tributaria regionale.
In particolare, la Corte di cassazione ha chiarito che “l’autorizzazione a proporre appello può
essere prodotta, con effetti retroattivi, nel corso del relativo giudizio, fino alla udienza di
discussione del ricorso innanzi alla commissione tributaria regionale (v. tra le altre Cass. n.
12702 del 2004), posto che, se è vero che l’autorizzazione deve essere anteriore alla
proposizione del gravame, è tuttavia sufficiente che essa sia depositata fra gli atti di causa
nell’ambito del giudizio di secondo grado - e non necessariamente entro il termine di
costituzione - (v. Cass. n. 4747 del 2004 e n. 20516 del 2006)” (cfr. Cass. n. 26526 del 5
novembre 2008).
A seguito tuttavia della modifica intervenuta nell’organizzazione dell’Amministrazione
finanziaria con l’istituzione delle Agenzie fiscali, la Corte di cassazione ha ritenuto non più
suscettibile di applicazione l’art. 52, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, in quanto da tale
norma non possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle Agenzie di appellare le
sentenze ad esse sfavorevoli delle Commissioni tributarie provinciali (Cass., Sez. un., n. 604
del 14 gennaio 2005, seguita, da Cass. n. 25382 del 2 dicembre 2009).
Prescindendo peraltro da quest’ultimo orientamento della giurisprudenza di legittimità, sono
state impartite istruzioni alle articolazioni periferiche affinché provvedano a depositare in
giudizio l’autorizzazione all’appello e, in caso di mancato deposito dell’autorizzazione,
procedano sollecitamente al deposito dell’originale dell’autorizzazione rilasciata dalla
Direzione regionale anteriormente alla proposizione dell’appello.


Fonte: Circolare Agenzia Entrate n. 12/E del 12 marzo 2010

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